Attenti al gatto, recita un cartello, buffo solo per finta, che ho scoperto grazie a una bambina che ha messo il coraggio nel cestino e si e' messa di buzzo buono a pedalare verso il bosco. Attenti al gatto, perché can che abbaia non morde, ma coi gatti non si sa. Perfino il lupo, perlomeno, perde il pelo, ma col gatto, se non l'hai nel sacco, meglio andarci piano. Piano piano, come con certe bici con le rotelle, che può anche capitare che ne manchi una. Quindi attenti, attenti al gatto, che in fondo in fondo abbiamo tutti grandi orecchie e un certo amore per il gruviera. Puo' anche suonare un jazz da far girar la testa - le rotelle- a tutti quanti (perche' tutti quanti, tutti quanti voglion fare jazz), ma se si chiama Silvestro non puoi sbagliare. Silvestro, proprio come certi santi sconsiderati. Mi è sembrato di vedere un gatto. Attenti.
lunedì 30 dicembre 2013
martedì 24 dicembre 2013
Cento
Cento rose bianche, ho nel cuore oggi.
Facevo la fila, fra agrifoglio e rami di pino: la gente usciva con le stelle di Natale e il centrotavola con le pigne e io compravo la mia rosa bianca per il tuo compleanno. Bianca, come si addice ai tuoi baffi. Una rosa, perché a sentire la fiorista Carla e' l'unico fiore che si può regalare a un uomo; e se c'è qualcuno che può dirsi un Uomo, lascia che lo dica, sei tu.
Mi manchi, nonno. Mi manchi, eppure, sei dentro ai miei giorni più che mai. Le tue sopracciglia si accigliano sulle mie titubanze, il tuo indice si solleva a sollevare dubbi sulle mie scorciatoie pigre. Le tue braccia si allargano a dirmi la vita e' questa, cocca, fai del tuo meglio e così sia. Si allargano i tuoi occhi, ad indignarsi per la disonestà che vedo, e i pugni battono sul tavolo, non sia mai che mi rassegni. Si rischiara il tuo viso, e i baffi si distendono a dirmi brava questo e' un trenta e lode, con le sue mille lire, come quelle di quando apparecchiavo e in tavola non mancava niente - che, ovviamente, non capitava quasi mai. E sento le tue mani che mi accarezzano la testa mentre scrivo, ed ora, che le parole tremano e le guance mi si bagnano un po'. Ma tu mi dici in marcia, come un alpino, un passo dopo l'altro, questa e' la via.
Ho cento rose bianche nel cuore, e domani sarà Natale.
sabato 21 dicembre 2013
Post it
Ricordati che il tuo compito non è insegnare a volare, ma regalare piume.
E comunque, a volare non sei poi granché.
giovedì 12 dicembre 2013
Cara Santa Lucia
Cara Santa Lucia,
è già passato un anno, il tempo vola. E tu dirai, mi hai scritto per fare i convenevoli? No, è che - pensavo - mi sento come se avessi fatto tanta di quella strada quest'anno e invece, a ben guardare, se ho percorso trecento metri sarà tanto. E per fortuna che hai più buonsenso di quella tua amica, la Smemorina, e mi hai dato scarpe buone da mettere ai piedi: già così ho le vesciche, figuriamoci in che condizioni sarei se avessi calzato quei cosi di cristallo. No va bene, scusa, lo so che tu non c'entri con la Smemo e la sua bacchetta, che la tua magia è sul serio, mica una favola per bambini. E poi mi immagino che anche l'asino stia ben attento a mantenere le distanze... se le capita a tiro, quella là è capace di trasformarlo in cocchiere. O autista. O pilota. Ti immagini? Va bene va bene, la smetto, l'ho capito che non gradisce. Lui questo humor inglese non è che lo apprezzi tanto, eh?!
Allora dicevamo, mi sembrava di aver fatto tanta strada ma poi oggi, lucidando le scarpette, mi accorgo che sono andata ben poco lontana. Certo, ho assaporato perfino il gusto delle vetta, e lungo la via ho fatto incontri memorabili. Di questo c'e' proprio da esser grati. Eppure, nonostante, mi ritrovo sempre qui a fare i soliti conti coi miei difettucci miseri e con le mie paure da poco. Forse è perchè in fondo - in fondo al cuore - faccio sempre il biglietto di andata e ritorno. Giro sempre intorno al mio cortile.
Allora sai cosa ti dico, Santa Lucia? Che mi son stufata di far quella che chissà dove deve andare. Io adesso sto un po' qui e metto su il tè e faccio due biscotti. Tu, casomai, portami se puoi un bello zerbino con su scritto benvenuti e dì all'asino che vi aspetto alla fine del giro, che vi scaldate un po'. Cosa dice? Lui vuole il vin brulè? Va bè, direi che si può fare.
p.s. C'è una mia amica che è stata molto buona, e lei sì che di strada ne ha fatta e ne farà. Siccome la conosco e so che in questa lettera ci verrà a sbirciare, metto nella busta un paio di biscotti anche per lei. Percio' scusa se ci trovi qualche briciola burrosa....
domenica 1 dicembre 2013
Oggi
E' per caso se nasciamo un certo giorno oppure un altro. Io però sono nata intorno a mezzogiorno e mi è sempre piaciuto raccontarmi che il caso abbia voluto assicurarsi che - per un prolungarsi delle cose o un accelerarsi degli eventi - non finissi per nascere il giorno prima o il giorno dopo. Mezzogiorno, per star sicuri. Perchè il caso ha voluto che io nascessi il giorno del trentesimo anniversario di nozze dei miei nonni.
Ho una bella foto di me coi miei nonni. E’ una foto in bianco e nero, scattata al matrimonio di mia sorella. E’ stato un giorno speciale, quello del matrimonio di mia sorella. Forse perché lei incarnava magistralmente e dolcemente l’archetipo della sposa, forse perché l’abito da sposo lo indossava l’amico di sempre. Forse perché la giornata era splendida, noi ci sentivamo tutti molto belli, abbastanza giovani e piuttosto propensi ad abbandonarci ad un raro giorno di gioia pura.
Tutto questo si vede, in questa foto in bianco e nero. Siamo in piedi, al centro del prato. Io sono in mezzo e tengo i nonni sottobraccio. Sorridiamo. Ho una gonna lunga mossa dall’aria e una messa in piega fantastica. Mia nonna ha un tailleur che le sta a pennello, i capelli splendenti e un fiore bianco appuntato sulla giacca. Mio nonno è dritto nel suo abito scuro e i baffi bianchi non gli celano il sorriso. Mia nonna guarda dritta in macchina, io guardo un po’ in alto, verso il cielo o altri ospiti, chissà. Mio nonno è un po’ girato, non guarda me, nè il fotografo, né il panorama. Mio nonno guarda lei.
Sono andata a controllare. In tutte le foto, mio nonno guarda sempre lei.
venerdì 22 novembre 2013
Bianca, bandiera
Valigia e passaporto, un documento da stampare. Come un cucciolo
fra i piedi, con la sua pallina in bocca, il mondo è una carezza. Pazienza, se
non c’è da andarne fieri.
sabato 16 novembre 2013
Ben avvolta dal bosco ignoto
Ben avvolta dal bosco ignoto attraversò il buio frusciante.
La pazienza, se c'era, era acquattata nel folto, come i cinghiali, d'altronde, nè orme di lupo venivano a galla, nel piccolo cerchio che illuminava, tremulo, i suoi passi. Ma non fece in tempo a sentirsi confortata, che avvertì, forti e chiari, familiari fantasmi, ed altri, stranieri, sporgersi dalle foglie nere e sfiorarle il capo.
Si affrettò e giunse alla strada asfaltata, dove un alto muro di cinta saliva verso la rocca. La vastità del buio le si aprì davanti, così immensa che perfino la pazienza arrivò, intimorita, a strusciarsi sui suoi polpacci. Proseguirono insieme verso il paese, il passo svelto che risuonava sull'asfalto, le ombre oltre il ciglio.
Le accolse una chiesa diroccata, col suo scampanare sinistro, una porta medioevale, una scalinata dagli alti gradini. E appena giunte nella piccola piazza ecco il bar, col suo bravo oste panciuto, e una sorpresa: la biblioteca. Due vetrate, bei tavoli circondati dagli scaffali carichi e le bibliotecarie sulla porta, senza occhiali e con le braccia cariche di libri, a finire le chiacchiere e a dirsi arrivederci.
La pazienza la guardava, compiaciuta: hai visto in che bel posto ti ho portato? Avrebbe avuto quasi voglia di darle ragione, accarezzarla dietro alle orecchie e andarsi a bere un bicchiere di vino con le bibliotecarie. Ma non poteva gustarsi il sollievo, si doveva rientrare, la strada asfaltata di buon passo, nel vano tentativo di seminare le ombre, e poi trovare il coraggio di rituffarsi nel bosco.
Potrete facilmente immaginare la sua esitazione a rimettersi in cammino. E potrete facilmente immaginare il suo sgomento quando, la mattina dopo, alla luce del sole, si rivelò impossibile ritrovare la strada che aveva percorso, la chiesa diroccata e perfino la porta medioevale. Chiesero anche in giro, ma nessuno sembrava sapere di che cosa parlasse. Cercò con gli occhi la pazienza, ma, neanche a dirlo, anche lei era scomparsa.
lunedì 4 novembre 2013
Si era incamminata
Si era incamminata, lungo il vialetto che portava al bosco, in cerca della pazienza, che - come al solito- le era scappata. Arrivata all'ultimo lampioncino, della pazienza ancora nessuna traccia. Non le era rimasto che accendere la torcia e inoltrarsi fra gli alberi ignoti.
Era già buio quando erano arrivati, con le loro borse del weekend e qualche centinaio di chilometri nelle ruote dell'auto, così il bosco non era per lei che una macchia nera fra l'agriturismo e il borgo vecchio.
Si può raggiungere a piedi - aveva detto il proprietario, consegnando loro il suo caloroso benvenuto, le chiavi della stanza e la mag lite. C'e' un sentiero che attraversa il bosco e finisce su una strada asfaltata, da li si vede il borgo. Al massimo potete incontrare qualche cinghiale.-
Qualche cinghiale, si era ripetuta a mezza voce muovendo i piedi verso il piccolo cerchio di luce, mentre il buio iniziava ad aleggiarle intorno. E non aveva quasi fatto in tempo a terminare il pensiero che aveva già fatto passi a sufficienza per considerare il dietro front una rinuncia. Fu così che il buio la spinse avanti e nel piccolo cerchio di luce affioro' danzante il bandolo di un'avventura.
lunedì 28 ottobre 2013
Lunedì, cronaca
Tutti i lunedì mattina c’era questa cosa della cronaca.
Dalla seconda alla quinta. In seconda bastava un pensierino, in quinta
bisognava riempire il foglio protocollo. Raccontare cosa avevamo fatto il
giorno precedente, domenica.
Che fosse un modo obliquo per dare una sbirciata
nelle case e nelle abitudini delle nostre famiglie era, per i genitori, più una
certezza che un sospetto. Da parte di una maestra come la maestra Teresa lo
consideravano peraltro accettabile. E quindi, a maggior ragione, se ne
preoccupavano. Si preoccupavano della panoramica che le cronache
avrebbero offerto sulle nostre domeniche: del voto che avrebbero meritato le
attività che proponevano alle loro bambine e ancora di più si preoccupavano delle
intimità familiari che le bambine, con la loro stilografica innocentemente implacabile,
avrebbero svelato sotto i grandi occhiali della maestra Teresa.
Io alla domenica andavo in campagna. Certo, c’erano anche le
domeniche delle gite e le domeniche del divano, ma il novanta per cento delle
domeniche la mia famiglia le trascorreva in campagna, nella casa dei nonni
sulle prime colline. La descrivevo ogni lunedì. La collina, il bosco intorno e
'la vista sul mondo'. Credo di aver scritto questa frase un migliaio di volte. La
maestra Teresa ogni lunedì pomeriggio era tentata di saltare a piè pari tutta
la prima parte – che conosceva a memoria – ma il senso del dovere la obbligava
a leggere per correggere eventuali a senz’acca o virgole messe a caso. Di
solito ce ne erano, e questo, almeno, la distraeva un po’. Esaurito il quadro
d'insieme si passava alle pennellate stagionali: le foglie d’autunno e le
castagne, gli scivoloni sulle neve e gli omini vari, con pittoresche
descrizioni delle mani gelate e dei nasi colanti, le primule nel sottobosco, la
terra dell’orto da vangare con relativo ritrovamento di lombrichi e lumache.
Qualche volta capitavano avventure con cagnolini, uccellini caduti o visite da
parte dei cavalli del vicino maneggio. Invariabilmente però, al calar del sole
'tornavamo a casa stanchi ma felici'. E stanca ma felice era pure la maestra
Teresa quando arrivavano le cronache in cui gli alberi erano carichi di
ciliegie e il maggiociondolo ‘era una nuvola d’oro’ perché questo voleva dire
che Giugno era arrivato.
Alla fine della quinta abbiamo invitato la maestra Teresa
per un pomeriggio in campagna. Io la osservavo mentre si guardava intorno e
faceva i complimenti ai nonni e speravo con tutta me stessa che avesse almeno
un attimo di deja vu. (E, naturalmente, che quella sera rientrasse a casa stanca ma felice).
lunedì 21 ottobre 2013
Rispondessero, almeno.
Certe volte sono gli alberi che corrono, ai lati dei finestrini. E noi, fermi, li salutiamo con la mano. Imperterriti.
domenica 13 ottobre 2013
Mezzanotte e un quarto
Smemo!
...
Smemo!!
Eccomi cara.
Santo cielo, Smemorina, mi hai fatto di nuovo le scarpe di cristallo...ma dove hai la testa?!
Oh, sono deliziose. Con quel piedino adorabile ti stanno un incanto.
Deliziose, certo. Proprio perfette per salire e scendere dal FrecciaBianca. E non parliamo di andarci in bici.
Bici? È perché mai dovresti andare in bici? Hai sbocciato ancora la zucca? Santo cielo, Cindarella...
Ecco appunto, dovresti vedermi, a parcheggiare quell'arnese. Una citycar no eh?!
Cocca mia, lo sai che non è questo il punto. Se tu non andassi sempre così di corsa, se facessi una cosa alla volta. Adesso per esempio, ascoltami, invece di pasticciare con quel telefonino.
Si dice smartphone, Smemorina. Massi ti ascolto, cosa mi volevi dire?
Eh, chi lo sa? Ormai è andato. Sto proprio perdendo la memoria
Sto...
Ma cocca, tu invece hai perso una scarpa!
Lo credo bene, tu dimmi come si può fare una fuga decente con questi affari di cristallo ai piedi. Perché vedi, quando la mezzanotte arriva - e arriva, credi a me, certe volte arriva in un lampo- ai piedi bisognerebbe avere le ali.
Ih ih, brava cara, anche questa volta ce l'hai fatta, in un modo o nell'altro.
In un modo o nell'altro non è la stessa cosa. Questo modo e' di Pollicino. Io mi son stufata di farmi trovare. E di tornare sempre a casa coi piedi neri e le vesciche. Guarda Smemo, ti ho portato il catalogo della Nike, vedi di farci un pensiero eh!?
domenica 6 ottobre 2013
Ok, proviamo
Ok proviamo. Come se fosse lo spezzone di un film. Come se
qualcuno, casualmente, avesse ripreso la scena.
Una piazzetta quadrata, con le panchine verdi e le aiuole e
il suo bel platano al centro. Io seduta con il mio libro sulle ginocchia e un’ora
d’attesa tutta per me. La gamba dolorante allungata sulla fedele stampella
rossa.
Suona la campanella e dalla scuola elementare sciamano fuori i bambini vocianti. Corrono fra le panchine e il platano e le aiuole, schiamazzando e giocando come tutti i bambini del mondo e della storia al suono della campanella. Non alzo la testa: il mio libro è troppo bello e il dolore troppo denso per lasciar spazio al minimo interesse per i dintorni della mia bolla. Percepisco visi e voci ai margini del mio campo percettivo, li registro in automatico, la testa immobile e gli occhi rivolti alle pagine.
C’è la biondina con l’apparecchio e la gonna coi volants, c’è la magrebina un po’ timida coi capelli folti e gli occhi bellissimi, c’è il ciccione che urla e fa il gradasso e la mora con la frangia che corre più veloce di tutti, c’è anche quello alto alto che cerca di organizzare il gioco ma nessuno se lo fila e naturalmente c’è quello col ciuffo sugli occhi che ce la mette tutta per far capire che non gli interessa affatto di giocare e armeggia con gli auricolari. E via di seguito tutti gli altri.
Dopo un po' arriva anche il piccoletto con la bici nuova, che sgomma e impenna e inchioda perché deve far vedere che ha la mountain bike e ovviamente ad un certo punto arriva a un pelo dalla mia gamba stesa. Resto con gli occhi fermi sulla riga. Ma stà attento, non vedi? A quel punto alzo la testa, lentamente.
E’ il più normale dei bambini normali, che ha parlato. Maglietta benetton verde pistacchio e due belle guance da pastasciutta. Grazie. Lo dico guardandolo negli occhi, senza emettere suoni, muovendo solo le labbra. Il ciclista si è allontanato con uno sbuffo di ghiaia. Lui resta fermo, con gli occhi fissi nei miei, mentre le guance da pastasciutta lentamente si imporporano. Non distoglie lo sguardo, e neppure io. Ci guardiamo, e lui arrossisce e resta fermo in mezzo al gioco, come colto da un pensiero, o da un incanto. Finchè mi sembra di vedere lui che rivede la scena, in bianco e nero, fra molti anni. Una signora misteriosa, straniera, remota e immobile come una statua, aveva detto grazie a lui, solo a lui, che aveva fatto qualcosa per rendere il mondo un po’ più sicuro, un po’ più pulito.
Si riscuote al richiamo della madre. Dai, andiamo, che ci sono i nonni a pranzo. Mi assicuro di aver ripreso la lettura, quando si volterà indietro, solo un'attimo, infilando la cartella, all'altezza del platano.
Suona la campanella e dalla scuola elementare sciamano fuori i bambini vocianti. Corrono fra le panchine e il platano e le aiuole, schiamazzando e giocando come tutti i bambini del mondo e della storia al suono della campanella. Non alzo la testa: il mio libro è troppo bello e il dolore troppo denso per lasciar spazio al minimo interesse per i dintorni della mia bolla. Percepisco visi e voci ai margini del mio campo percettivo, li registro in automatico, la testa immobile e gli occhi rivolti alle pagine.
C’è la biondina con l’apparecchio e la gonna coi volants, c’è la magrebina un po’ timida coi capelli folti e gli occhi bellissimi, c’è il ciccione che urla e fa il gradasso e la mora con la frangia che corre più veloce di tutti, c’è anche quello alto alto che cerca di organizzare il gioco ma nessuno se lo fila e naturalmente c’è quello col ciuffo sugli occhi che ce la mette tutta per far capire che non gli interessa affatto di giocare e armeggia con gli auricolari. E via di seguito tutti gli altri.
Dopo un po' arriva anche il piccoletto con la bici nuova, che sgomma e impenna e inchioda perché deve far vedere che ha la mountain bike e ovviamente ad un certo punto arriva a un pelo dalla mia gamba stesa. Resto con gli occhi fermi sulla riga. Ma stà attento, non vedi? A quel punto alzo la testa, lentamente.
E’ il più normale dei bambini normali, che ha parlato. Maglietta benetton verde pistacchio e due belle guance da pastasciutta. Grazie. Lo dico guardandolo negli occhi, senza emettere suoni, muovendo solo le labbra. Il ciclista si è allontanato con uno sbuffo di ghiaia. Lui resta fermo, con gli occhi fissi nei miei, mentre le guance da pastasciutta lentamente si imporporano. Non distoglie lo sguardo, e neppure io. Ci guardiamo, e lui arrossisce e resta fermo in mezzo al gioco, come colto da un pensiero, o da un incanto. Finchè mi sembra di vedere lui che rivede la scena, in bianco e nero, fra molti anni. Una signora misteriosa, straniera, remota e immobile come una statua, aveva detto grazie a lui, solo a lui, che aveva fatto qualcosa per rendere il mondo un po’ più sicuro, un po’ più pulito.
Si riscuote al richiamo della madre. Dai, andiamo, che ci sono i nonni a pranzo. Mi assicuro di aver ripreso la lettura, quando si volterà indietro, solo un'attimo, infilando la cartella, all'altezza del platano.
giovedì 26 settembre 2013
I cani e i lupi
I libri, come i ristoranti, le borse e probabilmente le persone, si scelgono per certi particolari. Particolari che si incastrano giusti giusti nei nostri ingranaggi segreti e fanno partire il meccanismo della giustificazione razionale.
Io, questo libro, l'ho scelto per questo particolare: 'Fin da piccola Ada accompagnava spesso nei suoi giri il padre, un tipo mingherlino dagli occhi tristi, che le voleva bene e che trovava conforto nel tenerle la mano'. E accorgendomene mi é sorta una gran gratitudine per quella professoressa che ha sottratto un po' di tempo allo studio delle regole per dedicarlo ad allenare il nostro orecchio. Forse sapeva, che avremmo scelto per certi particolari.
mercoledì 18 settembre 2013
If Winter Comes*
A pensarci ha dell'incredibile che ci siano persone che
vivono senza le stagioni. Senza il cambio degli armadi e la voglia di lana che
ti invade alle prime luci d'oro di settembre, senza i piedi bianchi che si
rannicchiano nelle ballerine, vogliosi di sole, allo spuntare di maggio.
Chissa
com'è aver sempre piu o meno la stessa luce all'ora di cena e lo stesso peso
sulle membra quando si va a dormire. Chissà se manca a loro il virare dei
desideri del palato, che segue l'inclinazione dei raggi del sole e mi fa
entrare in letargo la voglia di granita, per risvegliarla poi, puntualmente,
insieme ai tulipani.
Chissà se manca a loro anche la metafora delle
stagioni, con la sua scontatezza rassicurante, e il pensiero consolatorio che
se soffia forte il vento dell'inverno la primavera non può essere
lontana.
(* 'If Winter comes, can Spring be far behind?' Percy Bysshe Shelly, Ode al Vento occidentale, 1819)
martedì 10 settembre 2013
Senza volere, mentre ti allontani
Davanti a certi tavolini, davanti a certe stazioni, davanti
a certi bicchieri di una cosa qualunque, e a certi occhi che hai conosciuto,
tanto tempo fa, certi occhi che tanto lo sai che non rivedrai, anche se dici
rivediamoci presto, ma, soprattutto, quello che sai, è che non importa a nessuno
se li rivedrai. E’ davanti a questi tavolini, a queste stazioni, a questi
bicchieri, che puoi raccontare dieci anni in venti minuti e farlo per davvero. Talmente
per davvero che mentre ti allontani, verso il tuo treno, ti rendi conto che fra
i saluti e i due baci sulle guance hai detto ‘è stato bello ritrovarsi’ e senza
volere è stato lì che hai detto tutto.
venerdì 30 agosto 2013
Le mie Odle
Ci sono luoghi talmente affollati di ricordi che pensi non ci
sia posto per altro. Menochemai per questo passo greve, per questa fatica contratta,
impaziente, graffiata.
E gli scarponi sono lì, zitti.
E tu fai finta di non guardarli.
Ma lo zaino lo riempi, e pure la borraccia. E il Sella ti
stende davanti un cielo che sfido chiunque.
Allora tu prendi tutte quelle mani,
quelle che ti afferrano lo zaino senza sentire ragioni, quelle che ti mettono
in mano il biglietto dell’ovovia, quelle che sono già pronte a massaggiarti
prima ancora che tu ti metta in cammino e poi quelle che ti accarezzano la
testa dalle nuvole e quelle minuscole che ti fanno un mezzo ciao ammiccante e appiccicaticcio
dietro la balaustra di un passeggino e quelle che hanno disegnato case mucche
ed elicotteri proprio per te. E anche quelle che ti hanno piegato a forza
quello che di piegarsi non voleva saperne, sì. E quelle che sbucano da ogni
panchina di questa valle, con te coi codini che stampi baci sulle gote, ovvio. Ok,
prendi tutte queste mani a mucchio e le lanci verso il cielo. E vai.
Non resta che lasciarsi alle spalle la folla dei gitanti all’arrivo
della cabinovia sfoderando quello sguardo che avevi conservato nel cassetto per
chissaquale nostalgia. Che poi non c’è da andarne fieri, lo sai, arrogante che
non sei altro, ma è più forte di te. Quel modo di farsi largo un po’ sprezzante
di chi pensa che se la salita non la senti nelle gambe il panorama non sa di
niente. Come il quadretto di cioccolato se non hai sudato, peraltro.
E poi arrivi sotto l’ala delle Odle, insieme allo stormo dei
gracchi. E hai sudato abbastanza per scartare il cioccolato. E quando gli occhi
si riempiono di quello che vedi da lì, con la salita nelle gambe, allora capisci che c’è ancora posto, c’è
posto per questo e per altro. Quindi, quando Lui ti chiede, dolcemente, vuoi
una foto, tu rispondi sì. E non c’è nessun bisogno che Lui ti dica sorridi.
domenica 25 agosto 2013
San Giacomo, Valle Aurina
Non lo sapevo, che un tramonto potesse essere color smeraldo. Nè che si potesse attraversarlo, su un crinale stretto che sale verso la chiesa più piccola del mondo, con intorno il suo cimitero coi fiori e il cancello di ferro battuto e lo scampanio placido delle mucche.
Non lo sapevo, ma attraversare fianco a fianco un tramonto color smeraldo, dritti verso un'unica piccola stella appena accesa, certe volte, é come guadare un grande fiume. Uno di quelli per i quali pensavi fosse necessario il traghetto, uno di quelli per i quali il traghetto non arrivava mai.
lunedì 5 agosto 2013
Delle Brame, Specchio
Specchio specchio delle mie brame, chi è la più bella del
reame?
Dunque, intanto dobbiamo intenderci sul il concetto di
bellezza, che, come sappiamo, è relativo.
No, ti prego, non cominciamo con le risposte da
consulente.
Sul serio, Matrigna, questa bellezza mi pare che la
soppravvalutiate un po': non sarebbe ora di pensare a cose più serie, in questo
vostro bel reame?
Specchio, falla finita che se cosi non fosse tu neanche
saresti stato pensato, altro che star nella bambagia in questo po' po' di
cornice, sempre tirato a lucido e pure
guai a romperti...
Ecco appunto, stai calmina che se ti parte lo scettro in
men che non si dica ti becchi pure sette anni di sfortuna. Nera.
In che senso 'pure'?
No va bè niente. Dicevo così, visto che quella là fa
girar la testa ai sette nani, a Pollicino e ai suoi fratelli e pure il
cacciatore pare che per star dietro al suo faccino pallido si sia scordato la
nonna nella pancia del lupo... ecco a mio modesto parere hai già abbastanza
gatte da pelare...
Ma cosa ne vuoi sapere tu, che rifletti solo quello che
hai a un palmo dal naso?!
Eh, riflettere. Sarebbe mica ora che cominciassi a
riflettere un po' anche tu?!
Ma si può sapere cosa ti é preso? Sei stato ancora a cena
dal grillo parlante? No zitto, non voglio saper niente che poi ricominci a
tergiversare. Dai concentrati, sono o no la più bella del reame?
Ancora con sta bellezza?!! Non va di moda quest'anno! Non
li leggi i giornali? Quant'è che non vai dal parrucchiere?
No va bè é che una tipa con una scarpa sola mi ha
consigliato una certa Smemorina che ti fa la piega senza neanche il phon, che
sai, secca i capelli in un modo...
Ah questo sì che é un bel problema.
Oh ma la vogliamo finire con tutto questo sarcasmo
gratuito?
Ti piacerebbe! Al giorno d'oggi di gratuito non c'è più
niente. Nessuno da niente per niente. Neanche una misera mezza stagione.
Tu sragioni. Avrai mica fatto indigestione di quelle
belle mele rosse...
Ma quali? Quelle che levano il medico di torno, ma per
davvero?
Ma basta, cosa ti impicci!! Rispondi alla domanda e poi
taci, che mica ti pago per pensare. Allora: sono o no la più bella?
Sai cosa sei, Matrigna? Tanto simpatica...
giovedì 1 agosto 2013
Come quando
Ci sono sogni che non si avverano e fiori che non sbocciano. Ci sono bruchi che, semplicemente, si addormentano.
Sono uscita sul ponte della mia barchetta di carta e c'era solo quel cielo profondo e liscio, cui non ti verrebbe neanche in mente di far domande. Ho detto avanti capitano, che i pennarelli per disegnare il timone non me li hanno dati. Eppure il vento soffia ancora. E spruzza acqua alle navi sulla prora. Come quando ancora credevamo che vissero per sempre felici e contenti fosse un finale scontato. Avanti capitano, che il vento soffia, soffia ancora.
lunedì 22 luglio 2013
La Resa dei Nonni
Ognuno di noi é cresciuto con qualche regola inviolabile.
Ho conosciuto un uomo cui per tutta l'infanzia era stato così severamente
proibito di scendere le scale da solo che a quarant'anni ancora esitava e,
potendo, tendeva a preferire l'ascensore. Ho anche un'amica che anche a se ha
mangiato solo quattro foglie di insalata e la temperatura del mare é di 32
gradi, se non son passate tre ore dalla fine del pasto non si bagna neanche le
caviglie.
Bene, io sono cresciuta con il divieto di mangiare i
dolci tipici di una certa ricorrenza al di fuori di quella ricorrenza. E fin
che si tratta di non mangiare il panettone a ferragosto nessuna fatica. La
fatica ha sempre riguardato, per me, i biscottoni di pastafrolla ricoperti di
glassa che, nella mia città, si mangiano tradizionalmente il giorno dei morti e
il giorno del santo patrono. Rispettivamente prendono il nome - e la forma - di
'scarpette di Sant'Ilario' (la leggenda narra di un calzolaio e di scarpe
donate ad un povero viandante) e di 'ossa da morto' (sorvoliamo sull'aspetto
macabro). Che cosa accomuni il giorno del morti con la festa del patrono,
rendendoli festeggiabili con lo stesso dolce non l'ho mai capito, fatto sta che
ho sempre adorato, nella loro casalinga semplicità, tanto le ossa quanto le
scarpette, che arrivavano in casa nel loro pacchettino, ben decorate di codette
di zucchero multicolore, rigorosamente solo due volte l'anno.
Ad un certo imprecisato punto della mia infanzia -
probabilmente quando il mio naso ha raggiunto la soglia fatidica del bancone
della pasticceria- scoprii che il biscottone faceva la sua comparsa sulla scena
ben più di due volte l'anno. A carnevale, per esempio, si presentava in forma
di mascherina, a Pasqua sotto le mentite spoglie di campanella e via
discorrendo. Certi illuminati pasticceri trovavano praticamente ogni
giorno una forma che ne giustificasse la comparsa. Potete immaginare la mia
scodinzolante golosa felicità. Ma. Ma quando aprii la bocca per manifestare il
mio interesse all'acquisto la risposta fu chiara, irremovibile e
inequivocabile. Si mangiano solo a Sant'Ilario e per i Morti. Ma questi sono
fatti a cuore. Non importa.
Capite? Era la voce della rettitudine che non si
lasciava sviare dalle strategie di biechi pasticceri, pronti ad ogni blasfemia pur di far
tintinnare qualche moneta in più nel loro cassetto. Come avrebbe potuto, questa
voce, non lasciare un segno idelebile in una mente bambina assetata di verità
quale era la mia? E lo lasciò a tal punto che nonostante la gola, tutt'oggi non
mi sognerei mai di trasgredire e aspetto paziente la comparsa delle ossa e
delle scarpette, versione originale e solo per un giorno. Neppure se me le
offrono a casa d'altri riesco a mangiarle.
Ebbene, quella voce cosi retta e chiara, inequivocabile e
irremovibile, proprio quella stessa voce, l'altra sera (mancavano 122 giorni ai
morti e 194 al santo patrono) pronunciò le seguenti parole: vuoi un biscotto?
mentre mi allungava la pasta frolla con glassa e codette, beatamente adagiata
sul suo bel vassoietto dorato, in infingarda forma di innocuo alberello. E
poi, quando l'eco del mio gigantesco e feroce EH?!! accennava a spegnersi, quella voce
aveva proseguito, con serafica indifferenza: 'avevamo le nipotine oggi, so che
a loro piacciono'.
Nessuno, proprio nessuno é immune dalla sindrome dei
nonni.
Io però, non l'ho mangiato. La rettitudine ha bisogno di
custodi.
Quanto ho detto che manca al due novembre?
domenica 14 luglio 2013
Con le mani a coppa
Escono goccia a goccia, le parole. Come da un rubinetto arrugginito, col suo affaticato cigolio.
Vengono da lontano, le parole, stropicciate e pallide.
Non resta che aspettarle, respirando.
Raccoglierle, le mani strette a coppa. Riempire una tazzina, un bicchiere. Quanto basta per poter essere sussurrato. Per poter chiedere in prestito una preghiera.
Vengono da lontano, le parole, stropicciate e pallide.
Non resta che aspettarle, respirando.
Raccoglierle, le mani strette a coppa. Riempire una tazzina, un bicchiere. Quanto basta per poter essere sussurrato. Per poter chiedere in prestito una preghiera.
martedì 2 luglio 2013
Ehi, tu
Ehi tu, con quei piedi nuovi, buoni giusto da mordicchiare.
Sì, dico a te, con quel naso che che segue le coccole, segugio d'affetto.
Guarda di non avere paura di sbucciarle, quelle ginocchia lisce che aspettano solo un bel paio di croste - e i baci che ne conseguono, d'accordo. Perchè sai una cosa? Non si può correre e proteggersi tutto nello stesso tempo. Ci sono altri che ci pensano, a quello. Tu pensa a correre, anche nelle pozzanghere se ti pare, e lasciali fare. Di solito sanno quello che fanno. E comunque, hanno pure una bella provvista di acqua ossigenata.
domenica 23 giugno 2013
Vorrei averle
Cercare una persona nei libri che ha amato.
Come cercheresti il suo odore negli armadi, le sue
impronte sul sentiero che va al pozzo. Come seguire il dito che indica le
costellazioni.
L'enigma e il racconto, il filo teso della caccia, il
tesoro promesso.
Vorrei averle, le parole per raccontarlo.
sabato 15 giugno 2013
Rosso, Capuccetto
Bella bambina dove vai?
Saperlo, lupo. Mi sono infilata in un bosco, ma in un bosco, che più nero non si può.
A me lo dici, che l'ultima volta che ho visto una radura non ho fatto neanche in tempo a dire bau che mi son ritrovato con la cuffia della nonna in testa e un coltello in pancia.
Lupo, ma perché mai avresti dovuto dir bau? Avrai mica perso pelo, vizio e senno in un sol colpo?
Pensa per te, che a quanto pare hai perso il cestino con frittelle. Dove l'hai smarrito?
La via ho smarrito lupo, la via. Altro che le frittelle.
Eppure hai trovato me. Come da copione.
Un gran bel copione, non c'è che dire. Trito e ritrito. Gira che ti rigira finisco sempre nella bocca del lupo.
Che bocca grande che hai, però, non l'hai ancora detto.
No, per quello aspettiamo la nonna.
Ancora malata?
Finge. Credo che sotto sotto voglia incastrare il cacciatore. Ma com'è che sei ancora qui a menare il can per l'aia e non sei ancora corso via per la strada più breve?
Ah, la mia artrosi.
Senti lupo, ti faccio una proposta. Lasciamo la nonna a giocare a burraco coi tre porcellini e ci facciamo un pisolino sotto questa bell'ombra.
I tre porcellini? Ma questa é un'altra storia.
Appunto. Facciamola va.
Saperlo, lupo. Mi sono infilata in un bosco, ma in un bosco, che più nero non si può.
A me lo dici, che l'ultima volta che ho visto una radura non ho fatto neanche in tempo a dire bau che mi son ritrovato con la cuffia della nonna in testa e un coltello in pancia.
Lupo, ma perché mai avresti dovuto dir bau? Avrai mica perso pelo, vizio e senno in un sol colpo?
Pensa per te, che a quanto pare hai perso il cestino con frittelle. Dove l'hai smarrito?
La via ho smarrito lupo, la via. Altro che le frittelle.
Eppure hai trovato me. Come da copione.
Un gran bel copione, non c'è che dire. Trito e ritrito. Gira che ti rigira finisco sempre nella bocca del lupo.
Che bocca grande che hai, però, non l'hai ancora detto.
No, per quello aspettiamo la nonna.
Ancora malata?
Finge. Credo che sotto sotto voglia incastrare il cacciatore. Ma com'è che sei ancora qui a menare il can per l'aia e non sei ancora corso via per la strada più breve?
Ah, la mia artrosi.
Senti lupo, ti faccio una proposta. Lasciamo la nonna a giocare a burraco coi tre porcellini e ci facciamo un pisolino sotto questa bell'ombra.
I tre porcellini? Ma questa é un'altra storia.
Appunto. Facciamola va.
lunedì 10 giugno 2013
Di zucchero, di tulle, di nuvole e farfalle.
Come farfalle azzurre, riempiono il prato. Un pasticcino, un
bicchiere, un bambino che tira la gonna – finalmente estiva – posso andare sull’altalena, chiedilo al papà;
un altro si improvvisa prestigiatore incantando la bisnonna col mazzo da briscola e aggiudicandosi un
altro bignè.
Ci sono tutte le età su
questo prato, legate con nastri di raso – bianco e azzurro, per l’occasione. Ci
sono parole di mandorle e zucchero, mescolate all’eleganza festosa e leggera
che tutto, su questo prato, suggerisce. Parole che vanno a segno senza rumore,
come farfalle.
Le giacche ormai tolte, i capelli liberati, la cupola solenne sotto alla quale avevano
pregato - una famiglia intorno ad un altare, un sacerdote senza microfono, una
veste bianca piccolissima e una candela e l’olio profumato- è sfumata in un cielo rotondo. C’è una grande
nuvola, a riparare dal sole. Naturalmente ha i baffi, e non è sola.
lunedì 3 giugno 2013
Piuma
Esiste la possibilità che i pensieri si affollino
all'ingresso dello stomaco, come ragazzine all'apertura dei saldi. La
possibilità che il respiro si trovi imbottigliato nel traffico assordante
dell'ora di punta di certi fantasmi.
Esiste.
Allora, tu, molla
la presa.
Apri le mani.
Lasciala salire, come marea di notte.
Senti la sua schiuma, ruvida, nella gola.
Il suo sapore di sabbia e muschio.
Non repingerla, respirala.
La paura.
Lascia che scenda nei polmoni, fino in fondo, poi fuori.
Lentamente.
Tutta.
Apri le mani.
Lasciala salire, come marea di notte.
Senti la sua schiuma, ruvida, nella gola.
Il suo sapore di sabbia e muschio.
Non repingerla, respirala.
La paura.
Lascia che scenda nei polmoni, fino in fondo, poi fuori.
Lentamente.
Tutta.
Guardami guardarti.
Perché ormai l'abbiamo capito, senza ombra di dubbio, che il contrario di paura è fiducia. Una piuma.
venerdì 24 maggio 2013
La tristezza bella
Uscivamo dalla finestra della camera, dopo essere rientrate
dalla serata intorno ai tavolini del bar del paese, con i ragazzi del posto
e la compagnia dell’estate, quella che si radunava quando i villeggianti
riaprivano le case, portando i figli e gli amici dei figli dalle città vicine.
Mi piaceva immensamente, quella settimana sugli appenini, ospite dei genitori della mia migliore amica. Il bagno al fiume, la passeggiata a cavallo, i motorini,
uscire dopocena e rientrare a piedi con la pila, chiacchierando fitto
nonostante la salita. Nella cucina con le finestre sul bosco ci facevamo la camomilla - attente a non fare rumore- e staccavamo due grossi pezzi di
cioccolato dalla tavoletta. Poi scavalcavamo
la finestra della camera - usare la porta ci pareva prosaico - e attraversavamo il prato.
Ci sedevamo in faccia alla luna e, con
la tazza fra le ginocchia e il cioccolato sotto il palato, davamo la stura alla tristezza bella. La chiamavamo così, quella specie di nostalgia preventiva che riversavamo come un romantico rigurgito sui ragazzi che ci piacevano. Naturalmente ci piacevano immensamente di più quando erano lontani e potevamo sfocare la loro immagine a nostro piacimento. Perché la tristezza bella era
la nostalgia di qualcosa che ancora non avevamo provato. La dolce sfrontata certezza che lo avremmo provato. La paura segreta
di non provarlo mai.
Dopo un congruo numero di lui mi ha detto e io ho risposto e di cosa dici domani gli telefono – perché si andava al bar a telefonare coi gettoni e poteva anche capitare che non rispondesse nessuno o, peggio, sua madre – arrivavamo al punto. Il punto era che venti giorni fa ci sembrava di morire per uno che ora a ripensarci ci faceva venire i brividi. Come si fa a sapere se è quello giusto. Mia nonna dice che devi immaginartelo sul water: se ci riesci e non ti fa ridere è lui. Silenzio. Risata. Non è lui.
Dopo un congruo numero di lui mi ha detto e io ho risposto e di cosa dici domani gli telefono – perché si andava al bar a telefonare coi gettoni e poteva anche capitare che non rispondesse nessuno o, peggio, sua madre – arrivavamo al punto. Il punto era che venti giorni fa ci sembrava di morire per uno che ora a ripensarci ci faceva venire i brividi. Come si fa a sapere se è quello giusto. Mia nonna dice che devi immaginartelo sul water: se ci riesci e non ti fa ridere è lui. Silenzio. Risata. Non è lui.
Finivamo la camomilla ormai tiepida e gli scampoli di risata, scuotevamo l’erba
dai pigiami e tornavamo a scavalcare la finestra. Nei lettini gemelli, con la
luce spenta e le palpebre pesanti, chiedevo in un sussurro: ... Ba? ma per te esiste l’amore eterno?
Per me sì - rispondeva la mia migliore amica - scusa, pensa ai tuoi nonni.
Per me sì - rispondeva la mia migliore amica - scusa, pensa ai tuoi nonni.
lunedì 13 maggio 2013
Ricevere
Avete un bel dire voi, che dobbiamo star tranquille, che
non importa. E' una causa persa, rassegnatevi.
Quando gli ultimi trenta minuti
iniziano a rintoccarci fra un'orecchia e l'altra, ecco che le spie cominciano a
lampeggiare. Se osservi bene la nostra fronte puoi
vederle in trasparenza.
Gialla: infornare lo sformato; blu: attenzione non hai messo le
salviette in bagno; rossa: bip bip bip gatto superstite a ore quattro, gatto
superstite a ore quattro biiip biiip; gialla: disporre gli aperitivi; blu: attenzione
non hai messo le salviette in bagno; gialla: il lavandino é ancora pieno di
pentole; rossa: biiip
biiiiiip ciabatte nell'ingresso biiiiip
biiiip; gialla: mescolare la zuppa; blu:
attenzione non hai messo le salviette in bagno; rossa: la zuppa é troppo
asciutta, assaggiare la zuppa, biiiiiip zuppa salata. E sopra tutto c'è quella
scritta che scorre, di un verde tenue, ingannevolmente innocua: p o t r e b b e r o a r r i v a r e
i n a n t i c i p o
Capisci? Non possiamo farci niente: a quelle come noi, in età prenatale, un essere diabolico ha impiantato sull'osso frontale il pannello di controllo. Non serve a nulla che ci diciate stai calma. Come quello sprovveduto di cameriere che disse alla padrona di casa: signora non si agiti, e lei rispose: certo che mi agito, mi agito moltissimo, e infatti poi riesce tutto bene. Che, nella fattispecie, era pure vero: in altri casi (ehm) magari basta a malapena per evitar disastri, ma questo é un altro discorso.

Quello che vorrei che capiste, però, è che proprio come per voi é un piacere la tensione di quella partenza, altrettanto é per noi il piacere di quei fatidici meno trenta, in cui rincorriamo a perdifiato l'idea che potremmo anche riuscirci, ad accogliere i nostri ospiti in uno sfavillare di semplice, allegra, domestica magia.
Come dici? Tante belle parole però poi quando sta per partire il gran premio a stare zitta non ce la faccio mai?
Ehm. Vabè facciamo così: ognuno si becca il proprio sssth
e amen.
lunedì 6 maggio 2013
Caccia
Sapevo che c’era. Schiacciata sul fondo, mimetizzata nella
sabbia. Ho nuotato piano piano tutt’intorno cercando di distinguere gli occhi,
come mi hai insegnato tu. Le gambe lente e il sole sulla schiena, finchè l’ho
vista guizzare – sapevo che c’era. Ha alzato uno spruzzo di sabbia leggero come
un velo di malinconia e si è riconficcata sotto. Sono rimasta immobile, senza
opporre resistenza alla corrente, senza perdere di vista i suoi occhi. Un bastoncino,
una foglia. Il tempo. Ho aspettato che
la sabbia tornasse a posarsi, poi ho spinto l’aria in fondo ai polmoni e mi
sono immersa fino a sentire i granelli sulla pancia. Ho mosso appena l’acqua
intorno, con le mani aperte, e subito si è sollevata svolazzante, ha preso il
largo, la tua allegria. Allora ho preso fiato e le sono andata dietro.
venerdì 26 aprile 2013
Sono in ritardo
Sono in ritardo. Sono sempre in ritardo.
All’inizio era l’autobus. La sagoma arancione si profilava sull’angolo e subito le gambe si facevano di piombo, il marciapiede una colata di sabbie mobili. Non mi sposto di un millimetro. L'autobus avanza. Devo correre.
All’inizio era l’autobus. La sagoma arancione si profilava sull’angolo e subito le gambe si facevano di piombo, il marciapiede una colata di sabbie mobili. Non mi sposto di un millimetro. L'autobus avanza. Devo correre.
Poi è toccato alle valige. Vestiti che non entrano, oggetti che si moltiplicano, le scarpe, mancano le scarpe e poi qualcosa di fondamentale che non trovo più, che
non trova posto, non si chiude, si rompe, è tardissimo, perdo l’autobus, il
treno, l’aereo. Devo correre.
Ad un certo punto si sono aggiunti i corridoi degli alberghi. Lunghissimi, uguali, sconvenientemente tortuosi. Non trovo la camera, non trovo l’uscita, non arriva l’ascensore, dove ho lasciato la valigia, non ho finito la valigia, perdo l’autobus, l’aereo, il treno, le gambe di piombo, le sabbie mobili. Devo correre.
Poi il telefono. Non riesco a digitare il numero, si pianta, non prende, non si accede alla rubrica, il numero, non so il numero, non l’ho messo nella valigia, dove ho lasciato la valigia, ho sbagliato corridoio, mi aspettano, devo avvisare, perdo l’autobus, il treno, l’aereo, le gambe di piombo, le sabbie mobili. Devo correre.
Ed infine, il parcheggio. Era ovvio. Non trovo l’auto. Le rampe, l’ascensore, le porte tagliafuoco. Eppure era d’angolo. Mi aspettano devo avvisare non prende il telefono la rubrica il numero la valigia dove ho lasciato la valigia perdo l’autobus il treno l’aereo le gambe di piombo le sabbie mobili. Devo correre.
Ad un certo punto si sono aggiunti i corridoi degli alberghi. Lunghissimi, uguali, sconvenientemente tortuosi. Non trovo la camera, non trovo l’uscita, non arriva l’ascensore, dove ho lasciato la valigia, non ho finito la valigia, perdo l’autobus, l’aereo, il treno, le gambe di piombo, le sabbie mobili. Devo correre.
Poi il telefono. Non riesco a digitare il numero, si pianta, non prende, non si accede alla rubrica, il numero, non so il numero, non l’ho messo nella valigia, dove ho lasciato la valigia, ho sbagliato corridoio, mi aspettano, devo avvisare, perdo l’autobus, il treno, l’aereo, le gambe di piombo, le sabbie mobili. Devo correre.
Ed infine, il parcheggio. Era ovvio. Non trovo l’auto. Le rampe, l’ascensore, le porte tagliafuoco. Eppure era d’angolo. Mi aspettano devo avvisare non prende il telefono la rubrica il numero la valigia dove ho lasciato la valigia perdo l’autobus il treno l’aereo le gambe di piombo le sabbie mobili. Devo correre.
Son sempre stata in ritardo, in fin dei conti. A giudicare
dai miei sogni ricorrenti, perlomeno. Sempre che vogliano dire qualcosa.
Qualcosa oltre ai desideri. Perché poi ci sono giorni in cui ti svegli e scrivi la data
in cima al foglio, come quando a scuola la campanella era suonata e si apriva
il quaderno nella pagina nuova. Giorni in cui scrivi la data in alto e non
riesci a pensare ad altro che sono in ritardo. Devo correre.
(25 aprile 2013)
domenica 14 aprile 2013
Green Therapy
Ho messo la terra ad asciugare. Era intrisa, come di troppa malinconia assorbita nel buio soffice dell'erica che pure continuava a fiorire. Nonostante.
L'ho sgranata e rastrellata, l'ho distesa in vasi lunghi, ho cercato le chiazze di sole.
Come i capelli dopo lo shampoo. La salvietta che massaggia e stringe. Vieni al sole che si asciugano. Mani di mamma che ravviano, pazienti, la massa che si gonfia, tiepida.
Come i capelli dopo lo shampoo. La salvietta che massaggia e stringe. Vieni al sole che si asciugano. Mani di mamma che ravviano, pazienti, la massa che si gonfia, tiepida.
I semi aspettano, in croccanti sacchetti che credevamo dimenticati, in cantina, fra cesoie e zappette.
Sposto i vasi, lungo le chiazze di sole. Vieni al sole che si asciugano.
Verrà il tempo della semina.
Sposto i vasi, lungo le chiazze di sole. Vieni al sole che si asciugano.
Verrà il tempo della semina.
domenica 7 aprile 2013
Oggi tutte le nuvole hanno i baffi
Suonava il clacson appena prima dell’ultima curva. Due colpi
ravvicinati, ogni sera. Noi lasciavamo i giochi e gli correvamo incontro,
facendo a gara e strillando ‘c’è il nonno’.
Quando imboccava il cancello e iniziava la salita si sentiva
il rumore della ghiaia sotto alle ruote e noi eravamo pronti in fila al limite
del cortile. Si fermava piano piano e a turno ci faceva salire sulle sue
ginocchia, ci lasciava tenere il volante mentre scivolava lentamente nel garage
e potevamo dare anche noi il nostro colpetto di clacson.
Poi lui andava in cucina dove lei si affaccendava ai
fornelli, ma si vedeva che si era aggiustata i capelli ed il grembiule, e le brillavano gli
occhi quando lui, abbracciandola, scoperchiava le pentole e faceva mmmmh.
Mentre lui andava a togliersi il vestito dell’ufficio lei si
affacciava alla porta finestra e ci chiamava: ‘a lavarsi le maniii’. Certe
sere, prima di andare a rubarci la saponetta tutti e quattro intorno al
lavandino del bagno grande, ci fermavamo un attimo a guardare il sole che tramontava,
le nuvole all’orizzonte.
Oggi, tutte le nuvole hanno i baffi.
martedì 2 aprile 2013
Insight
Ci sono cose ovvie che pure impieghi anni a capire, a capire
davvero; e tanto più tempo ci hai impiegato tanto più ti sembrano importanti.
Probabilmente è per questo che qualcuno si è premurato di
tenerle ai margini del tuo campo visivo, mimetizzate fra mille altre.
Io, per esempio, sono sempre stata convinta che l'amore fosse il
miglior salvagente in caso di paura. Non avevo capito che invece è tutto il
contrario, che la paura fa da tappo all'amore.
lunedì 25 marzo 2013
Passepartout
E’ appeso ad una gruccia nell’armadio di ogni donna. Di solito è nero ed è
fatto di uno di quei tessuti che finchè non lo guardi da molto vicino non
sapresti dire esattamente cos’è, uno di quelli che puoi indossare quantomeno da
ottobre a maggio, per intenderci. E’ un abito che puoi mettere con le decolletè
o con gli stivali, con la giacca da consulente, con un morbido golfino pelosetto
o solo con una sciarpina di seta. Banale fin che si vuole, mai sbagliato, ti fa
fare la tua discreta figura dal convegno al vernissage passando per ogni sorta
di cena e senza dimenticare il teatro. Se
poi ti riesce di azzeccare l’accessorio, la discreta figura può evolvere in un
successo pieno nel tempo di infilare un paio di orecchini.
Instancabile dispensatore di sicurezza sociale e affidabile
salvatore ad ogni invito imprevisto o repentino cambio di stagione, il segreto del
suo successo - contrariamente a quanto
si possa essere portati a pensare - non
è la versatilità, bensì il mimetismo. Assorbe il tono dell’ambiente e lo riverbera,
così che agli occhi di chi guarda appare infallibilmente in sintonia. E’ il neutro fondale
sui cui lo sguardo appoggia ciò di cui è stato colmato.
Ecco, io vorrei avere, appeso ad una gruccia nel mio repertorio espressivo,
un sorriso che avesse le stesse caratteristiche di questo abito.
Perché può anche capitare, certe volte, di passare in
rassegna tutte le espressioni e di non trovarne nessuna che ci convinca. E dopo
averle gettate alla rinfusa sul letto e sulle seggiole, io resto lì in mutande
e mi dico che vorrei tanto che da un cassetto mi saltasse fuori un sorriso che
non dice niente di sé, se non che c’è.
domenica 17 marzo 2013
Quando il mio sentiero
Quando il mio sentiero sarà in vista della vetta, vorrò
averti e averti avuto accanto.
In fondo é solo questo che ci siamo detti quel giorno: che faremo di tutto, ma proprio di tutto, perché questo accada.
Perché sai, c'è anche chi ci é riuscito. Ma nessuno ci è riuscito da solo, mai.
In fondo é solo questo che ci siamo detti quel giorno: che faremo di tutto, ma proprio di tutto, perché questo accada.
Perché sai, c'è anche chi ci é riuscito. Ma nessuno ci è riuscito da solo, mai.
lunedì 11 marzo 2013
Aeroplanini
Prendiamo un'amica. Un'amica del tutto disinteressata al leggere e allo scrivere, al blogging e al networking e a tutto ciò che vi sta intorno. Mettiamo di scoprire che questa amica ha il vostro blog sulla homepage del suo telefono. Proprio il vostro blog, che non contiene notizie, informazioni, trick and tips, previsioni meteo o consigli di viaggio, nè nulla che possa in alcun modo considerarsi utile. E giusto per rincarar la dose, mettiamo pure che un giorno, chiacchierando del più e del meno, questa amica vi dica che ogni tanto fa leggere il vostro blog a sua figlia - perchè - dice - prenda un po' l'abitudine alla lettura.
Bene, si tratta senza ombra di dubbio di una prova certa dell'affetto che questa amica nutre per voi, dell'incondizionata stima di cui siete l'oggetto. Questo dovrebbe dunque farvi sentire grati dell'interesse che viene dedicato da questa persona ai vostri pensieri in libertà e probabilmente la cosa migliore da farsi sarebbe fermarsi qui.
Eppure io sfido chiunque sia vittima della passione del leggere e dello scrivere a non accarezzare, timidamente e distrattamente, una ancor più ambiziosa illusione. L'illusione che quei famosi aeroplanini che lanciamo fuori dalla finestra (o dal finestrino) possano, a certe condizioni, rivelarsi contagiosi. Che possano inoculare nelle mani di chi li raccoglie il germe del prurito della penna, o che un naso che vi si tuffi sconsideratamente dentro, venga irrimediabilmente impollinato dal gusto di cercar parole, o, ancora, che negli occhi che sorridono a legger certe frasi, in bella vista sulle ali, venga instillata la mania di metterne a fuoco di migliori, di più azzeccate e musicali.
E' un'illusione probabilmente, e la conferma di quella stima e quell'affetto incondizionato basta e avanza a rendere i miei aeroplanini fieri di affollare il prato di certi giardini. Eppure il dubbio, il dubbio non me lo leva nessuno....
lunedì 4 marzo 2013
E viceversa
Dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna. In fondo
è vero. Non perché nessun uomo possa
essere grande senza una grande donna dietro che tira i fili, bensì perché la
donna che un uomo sceglie di avere accanto è abbastanza spesso una buona misura
della sua grandezza.
Naturalmente, come sempre, vale anche il viceversa.
Questo significa, dunque, che ogni volta che siamo tentati
di pensare ‘una persona così ‘grande’ guarda te che partner ‘piccolo’ che si è
scelto’ dovremmo chiederci ben bene se siamo davvero di fronte all’eccezione – che
pur esiste ma, per definizione, rara è – o ad una nostra errata stima, dell’una
o dell’altra metà.
lunedì 25 febbraio 2013
Ho votato
Ho votato come avrebbe votato mio nonno, se fosse stato in
condizioni di recarsi alle urne.
Per settimane ho riepilogato fra me e me le ragioni logiche
e razionali di questo voto e le ho illustrate ad amici e conoscenti con un
fervore che raramente – forse mai in passato – avevo riversato su questioni
politiche. Per settimane sono andata dicendo che non è tempo di votare con la
pancia o con il cuore – come recitano gli appelli al voto di tante personalità influenti – ma che bisogna pensare bene, pensare
con la testa, perché c’è un mondo nuovo da capire e le vecchie etichette non si
appiccicano più a niente se non alle nostre dita impacciate e ai nostri occhi
miopi e perché col mal di pancia – ammettiamolo - c’è solo un posto dove si va
a finire.
Ho votato con la testa. Ci ho creduto finchè non sono
uscita, compiaciuta, dal seggio elettorale, dicendo compita buona sera ai
vicini e ai conoscenti. Poi, camminando attenta sul marciapiedi orlato di neve
che iniziava a ghiacciare, mi sono resa conto che nel mio voto ci sono pancia e
cuore questa volta più che mai.
C’è mio nonno, in questo voto, che finchè è riuscito a
cucire una riga con la successiva ha letto i giornali tutti i giorni e ha
ritagliato gli articoli che potevano interessare ai suoi nipoti. Il nome
scritto in alto, la pila ordinata sul tavolo dello studio. C’è mio nonno che
ascolta la televisione con le cuffie e qualche volta non è sicuro se sia
mattino o pomeriggio ma i nomi dei candidati li conosce e non si dimentica mai
di chiedermi il lavoro come va. C’è mio nonno che nel campo di prigionia usava
tutti i pezzi di carta che riusciva a trovare per disegnare le modifiche del
capannone, per fare i conti di cosa servirà per ripartire, per mandare a casa
la nota dei clienti e dei fornitori coi numeri e le cifre e la sua firma in
fondo.
Devo ammetterlo, è inutile: nonostante tutto, ho votato con
la pancia e con il cuore. Mi piaccia o non mi piaccia, sono la lanterna che fa
luce alla mia testa. E anche per queste elezioni, la lanterna aveva folti baffi
e capelli bianchi.
(p.s. per dovere di cronaca è opportuno precisare che 'come avrebbe votato mio nonno' non corrisponde a 'come ha votato mio nonno l'ultima volta che lo ha fatto')
lunedì 18 febbraio 2013
A matita
Quando il tempo lievita e le cose più piccole diventano ingombranti, si affollano nella sconsiderata liberà di uscire dalla fila e far ressa, vociare. Quando le linee pazientemente disegnate con lo scotch sul tuo pavimento cerebrale perdono colore, si sollevano ai bordi, finiscono pestate e arrotolate, nere, fra le rotelle delle valigie. Quando i foglietti coi numeri si ammucchiano e volano, sospinti dal primo spiffero, capita perfino di raccoglierne una manciata e scoprire che al posto dei numeri in rigorosa sequenza logica c'è scarabocchiato sopra un pensieroso fiore a cinque petali o un cuore sbilenco o una tremolante chiocciolina. A matita, per giunta.
lunedì 11 febbraio 2013
Senza titolo
Come un vento, un presentimento, come un lupo con le zampe infreddate di neve era arrivato, il mattino.
Aveva desiderato una carota al posto del naso e due sassolini, lo sguardo lucido e nero di un gufo remoto. E sciogliersi poi, nel pantano dell'erba nuova.
mercoledì 6 febbraio 2013
I Promessi Sposi
Saranno vent’anni – o più - che me lo chiedo: con tutti i
libri che han scritto da Dante Alighieri in poi, perché a scuola si studiano proprio
I Promessi Sposi? Un anno intero,
capitolo dopo capitolo: il ramo del lago di Como, la notte degli inganni, addio
monti, la peste, la conversione e via discorrendo, obbligatoriamente da non so
quante generazioni.
Bene, complice un’avveduta lettrice amica, ho scaricato il Romanzo sul kindle - per togliergli definitivamente di dosso quell’aria pesante e grigia di certe mattinate d’interrogazione – e sono andata in cerca di una risposta.
Son saltata dritta nel racconto, scartando prefazioni e
introduzioni dotte come fossero nient’altro che l’involto di un regalo e
ignorando con gran gusto di liberazione i numerini delle note.
Così ho capito: I Promessi Sposi è un romanzo bellissimo. Lo
è a prescindere dal suo valore storico: la struttura del romanzo, la lingua
parlata, la provvidenza e tutto il resto. E’ un romanzo bellissimo perché ha un
ritmo perfetto, personaggi meravigliosi e meravigliosamente dipinti, scene
magistralmente costruite e tutto il fascino narrativo da cui si possa
desiderare venir rapiti.
Ma io, che pure ero scolara interessata alla letteratura e
potevo far conto su una professoressa coi fiocchi, al liceo non me ne ero
accorta – e temo, come me, molti altri compagni.
Allora mi chiedo, non sarà che tutta quell’esegesi preventiva e le continue interruzioni e gli zoom su questo e quel particolare, rischiano di far perdere il filo e la tensione del racconto perfino al più bendisposto dei lettori? Non son certo un’esperta di didattica ma non sarebbe meglio – prima di dedicarsi a far le pulci alle parole – farsi travolgere dal racconto e lasciarsi innamorare? Anche quando studiamo un quadro, il primo sguardo è del suo insieme, è ignorante, eppure l’emozione che ci provoca sostiene e sospinge la curiosità con cui andiamo poi scoprendo il dettaglio e la storia dell’opera, guidati dalla sapienza degli esperti. Se cominciassimo osservandolo a francobolli, magari tenendo pure d’occhio di tanto in tanto la spada di Damocle del voto sempre in agguato, non credo proprio che sarebbe la stessa cosa.
Per questo, in fin dei conti, io consiglierei agli scolari di leggersi i
Promessi Sposi, in una versione tascabile leggera leggera, l’estate precedente
alla lettura obbligatoria del Romanzo. Consiglierei di leggerlo senza
soggezione, senza capirlo, saltando i paragrafi che li annoiano, liberi di
abbandonarlo, riprenderlo, immaginarlo, di macchiare le pagine di sabbia e salsedine
e nutella.
Poi consiglierei a tutti quelli che amano la letteratura di
rileggerlo, ogni tanto, dopo averlo studiato a scuola. Non solo per il piacere
di farlo, ma anche – mi prendo licenza di dirlo - per tener desto il senso
delle proporzioni di fronte a tanti ‘capolavori’ osannati da stampa e giornali
e premi.
venerdì 25 gennaio 2013
Ciao Ricky!
Sei arrivato pian piano – tanto che forse alla tua mamma sarà
sembrato di essere su uno di quei treni che prende tanto spesso, quelli che
partono e si fermano, partono e si fermano e sembra che non arrivino mai. Io
invece, dal mio comodo divano, ti immaginavo tra le braccia di un nonno-cicogna
che ti faceva fare voli radenti e mozzafiato e tu dicevi sempre ancora un giro
e lui ti accontentava, felice di viziarti, orgoglioso all’idea di portarti fin
fra le braccia dei tuoi genitori acceso di entusiasmo e di giochi.
E così sei arrivato, con il tuo fagotto di stelle, con gli
occhi pieni di sogni e le guance lisce e invitanti come le pagine bianche di un
quaderno nuovo.
E’ stato mentre ti guardavo per la prima volta che
finalmente l’ho capito. Ho capito che quello che proviamo quando arriva un
bambino, la tenerezza, la speranza, la felicità, la meraviglia,
tutto quel groviglio di emozioni – che è diverso come diverse sono le persone raggomitolate
e palpitanti nel cuore di questi cuccioli a colori pastello – ecco queste emozioni non sono qualcosa
che appartiene a noi, che sta dentro agli occhi di chi guarda. Sono invece polvere, rimasta
appiccicata alla pelle dei bimbi - o che qualcuno si è premurato di spennellare - dal posto da cui sono partiti.
E’ un indizio che loro ci portano, come fosse un regalo. Nell’indizio che mi ha portato Ricky,
oggi, c’era soprattutto un’irrefrenabile allegria.
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