Uno per contare fino a dieci e poi partire, imparare a camminare
senza pensare.
Due per imparare qualcuno dei mille nomi del dolore, sfidarlo a
braccio di ferro, vincere perdere e riprovare.
Tre per saltare sul gommone, il giorno che avevi segnato sul
calendario tanto tempo fa, e andare a vedere gli squali: trovare un sistema,
nonostante.
Quattro per togliere le bende e imparare a mostrare: il vestito da
sposa più corto del west.
Cinque per buttare la racchetta da tennis e far spazio negli
armadi, imparare che per girare certe pagine ci vuole la forza che ci vuole: seppure
sciocco, questo è.
Sei per imparare la costanza senza l’epica, l’avanzare
zoppicante quotidiano del criceto sulla ruota e noi con lui, avanti ancora.
Sette per mettere la stampella rossa nel portaombrelli, imparare
che qualche volta piove ed è normale.
Otto per ritrovare la strada delle Odle e la sete di sudore,
imparare che la fatica e le vesciche possono avere sempre lo stesso meraviglioso sapore di
vetta.
Nove per sedersi nella stanza dei bottoni e far l’occhiolino al
dolore, imparare ad addomesticarsi un po’ l’un l’altro: ruvidi, nervosi eppure
compagni.
Dieci per soffiare sulla rabbia e vederla, finalmente, volare.