lunedì 25 aprile 2016

Dieci

Uno per contare fino a dieci e poi partire, imparare a camminare senza pensare.
Due per imparare qualcuno dei mille nomi del dolore, sfidarlo a braccio di ferro, vincere perdere e riprovare.
Tre per saltare sul gommone, il giorno che avevi segnato sul calendario tanto tempo fa, e andare a vedere gli squali:  trovare un sistema, nonostante.
Quattro per togliere le bende e imparare a mostrare: il vestito da sposa più corto del west. 
Cinque per buttare la racchetta da tennis e far spazio negli armadi, imparare che per girare certe pagine ci vuole la forza che ci vuole: seppure sciocco, questo è.
Sei per imparare la costanza senza l’epica, l’avanzare zoppicante quotidiano del criceto sulla ruota e noi con lui, avanti ancora.
Sette per mettere la stampella rossa nel portaombrelli, imparare che qualche volta piove ed è normale.
Otto per ritrovare la strada delle Odle e la sete di sudore, imparare che la fatica e le vesciche possono avere sempre lo stesso meraviglioso sapore di vetta.
Nove per sedersi nella stanza dei bottoni e far l’occhiolino al dolore, imparare ad addomesticarsi un po’ l’un l’altro: ruvidi, nervosi eppure compagni.
Dieci per soffiare sulla rabbia e vederla, finalmente, volare. 


martedì 19 aprile 2016

Quel rimorso, forse

Quella malinconia un po' rabbiosa di sentire le rotaie divergenti, di ricordarci come eravamo, tutti quanti alla stazione, con gli zaini e l'impazienza allegra dell'inizio di una gita. Quel rimorso, forse, di non aver fatto caso alle curve che iniziavano dolci e innocue, una piccola distanza che ci sballottava e ci faceva ritrovare, dopo un tornante ardito o una lunga scura galleria, scivolati più vicini. Il peccato di non esserci mandati le cartoline, pensando che fosse la stessa gita, tutti quanti insieme, e invece forse sarebbe stato bello trovare la gita degli altri nella cassetta della posta. Quella malinconia un po' rabbiosa di sentire la penna pesante, le parole stentate come una conversazione in sala d'attesa, goffa di cappotti e stupidi ingombranti trolley da adulti in viaggio. 

venerdì 1 aprile 2016

Forse

Profumava di aprile l'aria, e il cielo aveva quella profondità segreta di lenzuola mosse, quel blu scuro e luminoso dei crepuscoli lunghi della primavera. 
C'era la pasta della pizza che lievitava lenta. Sarebbe stata pronta per la cena dell'indomani e questo le dava un senso come di quiete, di cova. 
Aveva la testa stanca come braccia che hanno lavorato. Una stanchezza muscolare che le faceva sentire la coscienza stranamente a posto e il sonno giustamente meritato. 
Le era venuta una gran voglia - pensava mentre chiudeva le finestre - di svegliarsi al mattino con quella curiosità del nuovo giorno, come certe mattina d'estate quando era bambina. Quando con la fessura di luce dalla porta entrava la voce argentina della nonna, con quel suo suono di avventura, e diceva 'alzati presto che c'è un bel sole'. 
Forse è questa la primavera, questa voglia che ogni anno prova a germogliare - aveva pensato - e mentre faceva quel pensiero si era improvvisamente ricordata dei tageti che aveva seminato. Si sarebbe ricordata di annaffiarli, domattina, i tageti e quella voglia?