Quello che fa di una sfida una sfida (grande o piccola, epica o quotidiana che sia) è il fatto di poterla anche declinare. Puoi dire alla vita no grazie, io aspetto qui.
Quello che rende grandi certe persone, e certe storie, non è il fatto di aver vinto la sfida, ma di averla raccolta (e meno che mai è l’aver fatto cose grandi quando non c’erano alternative).
Io ne ho lasciate tante, di sfide, a marcire sui rami, inutili prede degli uccelli. Ma so cosa vuol dire anche raccoglierne qualcuna. So anche cosa vuol dire pensare che non ce la farai, che questa volta la vita ti ha battuto, eppure sapere che quell’unico punto che hai segnato valeva il sudore della partita e forse anche i fischi dagli spalti.
Poi se ci penso le sfide che ho vinto sono passate attraverso quelle che ho perso. Se vinci sempre è solo fortuna, o è perché ti piace vincere facile. Se vinci sempre sei il primo ad iniziare a farti l’idea che ci sia sotto un imbroglio e che forse in realtà tu altro non sia che un impostore. Però quando vinci dopo aver guardato negli occhi la sconfitta, quando vinci e senti in ogni muscolo l’ombra della paura e i denti ti fanno male da tanto li hai stretti per non mollare, ecco che allora ti viene proprio da battere un cinque alle stelle.
Quindi oggi tra Rogoredo e Lambrate vorrei appendere uno striscione, e scriverci su con la bomboletta spray. Scriverei raccogli quel guanto da per terra e non lasciare che sia l’aria che tira a decidere se poggiartelo sui piedi o farlo rotolare via.
E poi in piccolo scriverei p.s. conta su di me. Lo scriverei perché se c’è una che lo sa bene quanto conta nelle sfide il tuo fan club, quella sono io.