sabato 31 dicembre 2016

Trentundodici

Caro 2016, mi sembra impossibile che tu sia stato solo uno. Che un anno solo mi abbia appiccicato in faccia tutte queste rughe nuove. Ciao 2016, vai vai, che mi sembra come quando iniziano a mettersi il cappotto certi ospiti...che poi, chissà chi ce l'ha messa in testa questa cosa che la sorte - o la ventura - vadano ad anno solare. Come il bilancio d'esercizio. Come se non l'avessimo inventata noi, questa cadenza, con le teste chine su calcoli astrusi pur di non far coincidere questo nostro tempo di umani intelligenti con la naturale banalità delle lune o delle stagioni. 
Bambini che inventano regole minuziose per costruire un complicato gioco tutto loro, per sfuggire al controllo degli adulti. Che pure arrivano, con l'ora di andare a dormire e la minestra in tavola. Trentundodici, anni bisesti, trentagiornihanovembre. Mura di sabbia per dare il nostro ritmo al Tempo. E la marea sorride. 
Dunque ciao 2016, metteremo i vestiti della festa ed i lustrini, brinderemo, faremo fuochi e botti, mangeremo l'uva e le lenticchie e forse indosseremo pure le mutande rosse, per salutare come si conviene il 2016 e i suoi affanni e per far bella impressione al 2017, come ad un nuovo professore con cui poter ricominciare. Il Tempo, la sorte e la ventura, lassù sorrideranno. Bambini andiamo, è pronto in tavola. 

domenica 25 dicembre 2016

Buon Natale

Golf, campo pratica. Io seduta sulla panchina, con accanto la sacca delle mazze. Cielo azzurro, freddo, sole. 
Si avvicina un uomo. 80 anni direi, vistosamente claudicante, viso segnato, asciutto. Non fosse politicamente scorretto, un vecchio. 
'Sono sue le mazze?' gli trema un po' la mano che stringe una pallina, la voce, quella no.
'Si..'
'Me ne presta una? Sono otto mesi che non vengo, per un problema di salute, e vorrei tirare una palla, una sola'
'Certo'
Prende a caso, il pitch. Si posiziona sul tappetino, zoppicante ma sicuro. È un golfista, penso.
'E' un po' corta per me', dice, gentile 'ma tanto la prenderò in testa, non partirà...sono otto mesi...'
'Aspetti. Prenda almeno il ferro 7' glielo allungo e torno a sedermi. Guardo altrove mentre lui addressa, sotto questo cielo limpido, carico d'inverno e di luce. Trattengo il fiato. Sento il rumore. Guardo la palla volare, la parabola perfetta, e mi si apre il sorriso.
Mi restituisce la mazza, e il sorriso.
'E' andata bene' dice, il sollievo della fiducia che torna a splendere.
'Benissimo' rispondo, come fosse un inchino.
Siamo soli in questo prato. Penso alla stella cometa. Penso alla rosa bianca che ho appena comprato. Penso alla fatica e alla bellezza di questo swing. 
'Buon Natale', e lo dice come potrebbe dire sono tornato.
'Buon Natale', e lo dico come potrei dire è un privilegio essere stata qua.
E poi penso a come sarebbe bello se il mio sorriso fosse un pezzetto di sole su questa sua meravigliosa mattina, perché il suo lo è stato per me.

lunedì 12 dicembre 2016

Cara Santa Lucia

Cara Santa Lucia,
porca vacca che mal di piedi... (Asino, tira pur giù quelle sopracciglia che se non erro -ed è un modo di dire- me l'hai insegnato tu che quando ci vuole ci vuole. E, detto fra noi, mi pare un gran bell'insegnamento!).
Dicevamo: porca vacca, che mal di piedi. Togliersi le scarpe per tirarle a lucido, stasera, mi pare un sollievo. Ed è cascato fuori pure qualche sassolino, che neppure sapevo di avere. Sarà finito dentro nella salita, che di salita, quest'anno, ne abbiamo fatta tanta, e io, stupida, qualche sassolino l'avevo confuso con gli acciacchi dell'età. Invece ha ragione l'asino, mica sempre bisogna farsene una ragione. Quando ci vuole ci vuole, bisogna pur tirare una scalciata e buttar fuori qualche sassolino e un bel paio di porca vacca.
Però, guarda, Santa Lucia cara, tu che con tutta la fatica che ti tocca fare hai sempre le mani piene di magia e di zucchero a velo, io te lo devo proprio confessare che anche quest'anno, all'esame di coscienza, non sono arrivata neanche a un sei meno meno (o benino, che dir si voglia). Perché fra i miei compagni di viaggio io sono quella che di salita ne ha fatta meno, eppure, invece di sorridere e cantare (bè sì Asino, cantare non è proprio il nostro asso nella manica ma tu mi capisci, è un modo di dire), invece di raccogliere tutti quei fiori che pure sul mio sentiero son sbocciati, avvolgerli in una carta bella e farne dono a chi faticava, io mi sono affannata a destra e a manca e manco da bere sono riuscita a dare loro.
Asino, tu invece pur mugugni, ma il sacco a Santa Lucia lo porti sempre, e lei con la sua luce, ti fa brillare la criniera anche nella notte più nera (hai visto? Pure le rime faccio stasera. E dai).
Quindi Santa Lucia cara, io volevo chiederti, intanto che lustro le scarpe, me lo dici come fai a portare a tutti tanti dolci buoni? Però poi, sfrega sfrega,  forse qualcosina anche quest'anno l'ho capita (Asino hai visto? Neanche io demordo!).
Dicevamo: qualcosina l'ho capita. Tu, Santa Lucia cara, non lasci niente sul sentiero. Nessun fiore calpestato. Tu metti tutto nel tuo sacco e lo trasformi in dono. Due occhi bruni che han ritrovato il sorriso, un arcobaleno fermo e chiaro nel vento, baci da tenere in tasca e caramelle, la stretta di mano che chiude un lavoro ben fatto, un vecchio cartone animato guardato insieme sul divano, mentre fuori è ancora giorno e ci sarebbero faccende da sbrigare, e poi stelle che sbucano sul far della sera, portando un consiglio, un'idea, un po' di pace. Ne avrei avuto da mettere nel sacco e trasformare in dono...
Cosa dici, sarà tardi? Magari, se stanotte tu e l'Asino venite a far rifornimento di chiacchiere e biscotti, mi potreste dar due dritte, perché io domattina, rimettendomi queste belle scarpe pulite, vorrei proprio cambiare strada.
(Vale come proposito? ...intanto, comunque, i biscotti son nel forno, e io son pronta: vi aspetto.)

venerdì 2 dicembre 2016

Ripostiglio

Ripostiglio - con quel suo sentore di bisbiglio e di posto delle cose a posto, a riposo. Chiudi la porta del ripostiglio, la sento la voce di mia madre, il rumore della porta accostata su quella penombra piena di cose utili e solo nostre. 
Socchiudo le ciglia e ascolto il respiro e penso al ripostiglio. Penso a mia nonna che dice 'non c'è neanche un ripostiglio' davanti alla piantina di questi appartamenti nuovi. Penso che sarebbe un gran peccato se rinunciassi al ripostiglio per allargare il salotto. Se portassi tutto in cantina, per dar più fasto e agio al ricevere. Perchè laggiù, al piano interrato, ci vai solo se proprio hai bisogno di quella cosa. E poi e poi. Invece del ripostiglio qualche volte apri solo un momento la porta. O magari non la apri neppure, ci passi davanti, sai che è lì. 

domenica 13 novembre 2016

Lupo, ci sei?

-Nonnina vorrei fare una sciarpa lunga lunga all'uncinetto, di questi colori, a righe irregolari...-
'Ah...'
'Non ti piace??-
-Ma...si...si...se piace a te...-
-Si dai, è bellissima! L'ho vista su una rivista! Senti, per cambiare colore come faccio, taglio il filo?-
-No, lo riporti così: ti faccio vedere...-
-Mmm è un po' difficile, forse è meglio se taglio il filo-
-No, no, guarda fai così, poi così...-
-Ma viene tutto questo bordo...-
-Be, poi se mai lo rifinisci a punto gambero-
-Ma se lo rifinisco tanto vale che tagli il filo... Nonna, ma perché non vuoi che tagli il filo?-
-Perche se poi la disfi non te ne fai più niente di tutti quei pezzettini...-
-E perché la dovrei disfare?!-
-Perche quando l'hai finita vedrai che non ti piace più!-
-.... -
(-Pronto? Lupo, ci sei?)

sabato 29 ottobre 2016

Oggi lascio

Oggi lascio che questo mare d'oro mi scaldi. Sorrido, all'entusiasmo con cui un bimbo ha staccato metà della sua merenda (senti come è buona), ad una penna che lontana e azzurra pensa a me, ai ciclamini che pure fioriscono, là nel bosco. Oggi voglio essere una foglia che rifulge, voglio cadere in uno sguardo, come a caso.

lunedì 24 ottobre 2016

Perché ti illuminino

Bussano, suonano e svolazzano, i ricordi. Gocce di rugiada, con l'arcobaleno dentro. Puoi tenerli abbracciati fra le ciglia o lasciarli rotolare, biglie sulla pista che hai tracciato col sedere sulla sabbia. Purché ti illuminino.

martedì 4 ottobre 2016

Occhi carichi di pioggia, bianche mani

Scivolano le foglie gialle nel cielo terso, azzurro e oro come il manto davanti a cui pregavo bambina.

Occhi carichi di pioggia, bianche mani, cuori stropicciati d’affanno e riccioli che danzano sulle spalle anche quando riccioli non sono più.

Impastare torte, inforcare le biciclette, infilare i vecchi scarponi, tendere le vele, sedersi accanto ai bimbi e lasciarsi amare.


Cosa sarà mai questo fiume che abbiamo dentro, quest’acqua che scorre e resta, questo essere stati tutti seduti accanto quel camino e tornarci sempre, trovare sempre il fuoco

lunedì 12 settembre 2016

Ci sono persone che ti ispirano

Ci sono persone che ti ispirano - e come potrebbero non farlo? Hanno avuto il coraggio e la fantasia di scavalcare l'oceano, molto prima che arrivassero skype e ryan air a rendere l'America a portata di mano. Hanno tenuto in mano i cuori, provando, provando e riuscendo a sintonizzare le valvole e i circuiti, e hanno pacatamente portato la rettitudine in giro per le sale della scienza così come nei corridoi delle case. 
Ma il motivo vero per cui ti ispirano è un altro. E' il calore che hanno nella loro voce bassa e nei loro occhi attenti ogni volta che ti salutano (come se ti dicessero, ogni singola volta, cose come 'sono felice di vederti' e ' mi piaci come sei'). E' la tenerezza con cui hanno tenuto ferma la telecamera sul soffio di candeline su candeline  e perfino sul tuo viso quel giorno che davanti all'altare hai detto sì. 
Ed è esattamente questo calore e questa tenerezza che vorresti avere nella tua preghiera, quando rintoccano le campane e gli dici Ciao. 

lunedì 5 settembre 2016

....e vanno pel tratturo antico al piano....

Ci sono le estati di schizzi e spruzzi, gelati e caramelle e le estati dei respiri corti e del sudore della fronte: comunque sia, settembre giunge sempre col suo sapore di matite nuove. Niente come il primo lunedì di settembre ha quel gusto di quaderno intonso che mette in moto, suo malgrado, la buona lena. Così i piedi, che si siano gonfiati per il caldo e la fatica, che abbiano gioito della libertà delle infradito o goduto della salda guida dello scarpone, entrano pian piano nell'idea di calzare di nuovo le scarpe e accarezzano - tra la malinconia e la curiosità - la possibilità di entrare saltellando nel cortile di una scuola nuova. 
(Settembre, andiamo.)

lunedì 22 agosto 2016

Sassolino

'...chè tutto questo vento d'immagini e sogni, mi viene dal tuo avermi insegnato dolcezza di vivere ed essere buoni'

(Roberto Vecchioni, La vita che si ama - Storie di felicità)


venerdì 5 agosto 2016

Senza titolo, ma con dedica

Toc Toc - Vieni avanti, bambina mia - - Nonnina...ma....che orecchie grandi che hai... - - Per ascoltarti meglio - - Mmm questa l'ho già sentita ...sei proprio tu, Nonna?? - - E chi dovrei essere, il lupo?! Dai fammi vedere cosa hai portato in quel bel cestino...- - Sarà, ma hai due occhi grandi... - - Per vederti fino in fondo al cuore, bambina mia. Mi è sfuggito qualcosa, forse? Uhm..ti sei fatta così magrolina... - - Ma cosa c'entra...ooohhh (indietreggiando) Lupo non ti credere di fregarmi un'altra volta!- - Cocca, sei un po' agitata eh? Lo dico io che lavori troppo e poi sempre avanti e indietro nel bosco per badare a questa povera vecchia, vi do tanto disturbo, anche alla tua mamma che mi fa tutte quelle frittelle, col daffare che ha... (sospirando, mesta) .... è proprio ora che vada...... - - Ah okey, sei proprio tu. Senti, ti ho portato lo yoghurt e una bella mela! C'era una vecchina con un bel banchetto...
- Un banchetto?? Una mela?! Sarai mica matta?!? Chissà che anticrittogamici che ci mettono...Non hai sentito di quella là che per una mela a momenti... -
- Nonna, guardi troppa televisione. Dovresti giocare di più a burraco con quella tua amica, quella bella signora... - - Ah, quella lì ... ormai è andata...Non si ricorda mai a chi tocca. (In falsetto) Sta a me o sta a te? Cos'è che hai scartato? (Scuotendo la testa) Suonata come la mezzanotte ... E poi ad un tratto tric trac salagadula, non si capisce come, ha vinto! Non la sopporto... - - Sarà, ma fa quei vestiti così belli...scintillanti.. Hai visto sua nipote come va a ballare? Un incanto... Io ho sempre con questa mantellina rossa da sfig... - - Ma cosa dici? Sei un amore! - - Eh, appunto: l'Amore! (sospirando, mesta) perfino l'Aurora, che dorme in piedi, è partita col Principe, sul suo Bianco Destriero, alla volta della Felicità...e io...io...Oh nonnina, dove si sarà nascosto il mio Lieto Fine? Se lo sarà mangiato il lupo?!! - - Senti bambina mia, a proposito di lieto fine: è ora che tu sappia una cosa - - Che cosa? - - Quella storia là, che vissero felici e contenti per più di mille anni...ecco...Non andò proprio così, in verità- - E come andò? - - Andò che ebbero giorni buoni e altri meno buoni, alcuni, a dirla tutta, proprio di merd..- - NONNA! - - Va be, ma ciò che conta è che provarono a renderli tutti, ma proprio tutti, un pochino belli. - - Ah. - ....... - Nonnina? - - Dimmi - - E ci riuscirono? - - Quanto Basta -

lunedì 25 luglio 2016

Casa Base

Certe case sono e restano casa base. Potrebbe essere perché hanno grandi divani che non temono piedi stanchi e stanche teste o perché hanno un discreto numero di letti sempre pronti a vestire lenzuola fragranti di ninne nanne e sogni. Potrebbe essere perché nell' ingresso c'è il grande tavolo degli scambi: libri, chiavi, buste e biglietti e la carezza discreta di un mazzo di fiori. O perché nei cassetti del ripostiglio ci sono tenaglie e cacciaviti per cento e un bullone e per mille e un problema. Potrebbe essere perché vi si può sempre trovare il caffè più nero, forte e buono del mondo e la pastasciutta col sugo vero e il basilico profumato di cure. O perché da qualche sportello spunta sempre un biscotto buono e qualcuno con cui sgranocchiarlo è più buono. 
Ma sappiamo tutti che non è questo il punto, o meglio i due punti. E tutti lanciamo e corriamo, sudiamo e ci sbucciamo le ginocchia, raccogliamo palle e gattini e poi ci tuffiamo, grati in ogni cellula. Casa base, punto. O meglio due punti.

venerdì 15 luglio 2016

Il monte Pic

Sulla cima del monte Pic, che è un monte come quello che disegnano i bambini: un tratto che sale e uno che scende, in cima un albero e una panchina, sopra una nuvola bianca, intorno il cielo e davanti, dietro e di fianco la carrellata delle vette che chiamo per nome. Sulla cima del monte Pic, seduta a gambe incrociate (sì, a gambe incrociate, belle strette), abbracciata dal vento, accarezzata dal sole. Pensarmi così. 

mercoledì 29 giugno 2016

Chi ha camminato

Arriverà il momento in cui saprai con certezza che chi ha camminato per più lune di te avrà sempre qualcosa da insegnarti. Proprio sempre. Forse allora ti verrà voglia di stare semplicemente seduto ad ascoltare. Ma se tu non fossi arrivato fino a qua non avresti inteso e se non camminerai per le tue lune non intenderai. Un passo dopo l'altro, il senso si svela. 

martedì 14 giugno 2016

Come zucchero lieve

Vorrei avere parole inutili, come carezze leggere, come vento gentile. Parole sottili come echi, quelli di quando eravamo piccoli insieme - e di quanto piccoli siamo - e nitide, come il volo degli storni, formazione compatta, freccia tesa fra le nostre teste e le nubi. 
Vorrei avere parole antiche, come preghiere sempre uguali, come fiamme sempre accese, come certi alberi di certi giardini, come zucchero lieve sotto il palato. 
Vorrei avere occhi più acuti e orecchie più grandi, come certe nonne dagli eterni abbracci. 

venerdì 13 maggio 2016

e così via

I contorni netti delle nuvole nere a scongiurare l'azzurro totale, a dare calore al sole. La luce radente a caricare di verde i prati, a dare giri al motore. L'acqua generosa, l'aria fresca di bucato. Le ruote che girano, e girano le pagine. Andiamo, andiamo, il piatto piange, io punto, io vedo. Io getto semi nel vento, io vivo. La sera, la tazza, le tue braccia. Quando dormiamo siamo tutti bambini. Il mattino suona sempre due volte, andiamo andiamo, aspetta:  un bacio. E così via. 

lunedì 25 aprile 2016

Dieci

Uno per contare fino a dieci e poi partire, imparare a camminare senza pensare.
Due per imparare qualcuno dei mille nomi del dolore, sfidarlo a braccio di ferro, vincere perdere e riprovare.
Tre per saltare sul gommone, il giorno che avevi segnato sul calendario tanto tempo fa, e andare a vedere gli squali:  trovare un sistema, nonostante.
Quattro per togliere le bende e imparare a mostrare: il vestito da sposa più corto del west. 
Cinque per buttare la racchetta da tennis e far spazio negli armadi, imparare che per girare certe pagine ci vuole la forza che ci vuole: seppure sciocco, questo è.
Sei per imparare la costanza senza l’epica, l’avanzare zoppicante quotidiano del criceto sulla ruota e noi con lui, avanti ancora.
Sette per mettere la stampella rossa nel portaombrelli, imparare che qualche volta piove ed è normale.
Otto per ritrovare la strada delle Odle e la sete di sudore, imparare che la fatica e le vesciche possono avere sempre lo stesso meraviglioso sapore di vetta.
Nove per sedersi nella stanza dei bottoni e far l’occhiolino al dolore, imparare ad addomesticarsi un po’ l’un l’altro: ruvidi, nervosi eppure compagni.
Dieci per soffiare sulla rabbia e vederla, finalmente, volare. 


martedì 19 aprile 2016

Quel rimorso, forse

Quella malinconia un po' rabbiosa di sentire le rotaie divergenti, di ricordarci come eravamo, tutti quanti alla stazione, con gli zaini e l'impazienza allegra dell'inizio di una gita. Quel rimorso, forse, di non aver fatto caso alle curve che iniziavano dolci e innocue, una piccola distanza che ci sballottava e ci faceva ritrovare, dopo un tornante ardito o una lunga scura galleria, scivolati più vicini. Il peccato di non esserci mandati le cartoline, pensando che fosse la stessa gita, tutti quanti insieme, e invece forse sarebbe stato bello trovare la gita degli altri nella cassetta della posta. Quella malinconia un po' rabbiosa di sentire la penna pesante, le parole stentate come una conversazione in sala d'attesa, goffa di cappotti e stupidi ingombranti trolley da adulti in viaggio. 

venerdì 1 aprile 2016

Forse

Profumava di aprile l'aria, e il cielo aveva quella profondità segreta di lenzuola mosse, quel blu scuro e luminoso dei crepuscoli lunghi della primavera. 
C'era la pasta della pizza che lievitava lenta. Sarebbe stata pronta per la cena dell'indomani e questo le dava un senso come di quiete, di cova. 
Aveva la testa stanca come braccia che hanno lavorato. Una stanchezza muscolare che le faceva sentire la coscienza stranamente a posto e il sonno giustamente meritato. 
Le era venuta una gran voglia - pensava mentre chiudeva le finestre - di svegliarsi al mattino con quella curiosità del nuovo giorno, come certe mattina d'estate quando era bambina. Quando con la fessura di luce dalla porta entrava la voce argentina della nonna, con quel suo suono di avventura, e diceva 'alzati presto che c'è un bel sole'. 
Forse è questa la primavera, questa voglia che ogni anno prova a germogliare - aveva pensato - e mentre faceva quel pensiero si era improvvisamente ricordata dei tageti che aveva seminato. Si sarebbe ricordata di annaffiarli, domattina, i tageti e quella voglia?

lunedì 14 marzo 2016

Sentirlo arrivare

Come è bello sentirlo arrivare. Ascoltare il respiro farsi fondo, le viscere accomodarsi, illanguidire, i pensieri sfilacciarsi e impallidire. Il posarsi d'ali delle ciglia sulla mente che si acquieta. Abbandonarsi. Al sonno. 

lunedì 7 marzo 2016

Vincere la paura

Vincere la paura, si dice. E se invece la perdessimo, qualche volta? 
Come un palloncino che teniamo ben stretto. Lo sguardo schiavo che si alza a controllare. La mano sudata e i gesti impacciati. 
Finchè presi dal fare, dall'accarezzare, dal gesticolare, presi dal vivere in fondo, non allentiamo distratti il pugno e lo perdiamo. Ed è allora che ci accorgiamo di quanto stretti ci aveva legati. 

domenica 28 febbraio 2016

..che zitto finalmente

L'intimità della pioggia che batte sul tetto e un abbraccio che zitto finalmente contiene tutto. 
Abbiamo tutti un catino per l'acqua piovana, anche se non lo sappiamo. Non ritornerà al cielo senza aver compiuto ciò per cui è stata mandata. 

lunedì 15 febbraio 2016

Una palla ben tirata

Amava senz’altro la matematica e ne era ottimo esempio di rigore. Non amava gli studenti né insegnare, o quantomeno era abilissima nel nascondere questo amore sotto le falde del suo grembiule nero e sotto l’ala nera del terrore che si adoperava con costanza quotidiana a seminare fra i banchi e lungo i corridoi del liceo.

Il suo ricordo mi evoca, invariabilmente, lo stridio del gesso sulla lavagna.

Quel giorno però aveva nevicato e i rumori attutiti dalla strada, con la loro promessa di palle di neve appena oltre il suono della campanella, si erano frapposti come un soffice cuscino fra i suoi giudizi sprezzanti e la nostra fragile autostima.  E finalmente, dopo l’ennesimo ‘nella vita non combinerai mai niente di buono’ e ‘farti studiare sono tutti soldi sprecati’, la campanella era suonata.

Il tempo di scendere le scale seguiti dalla minaccia di un compito a sorpresa e la battaglia già infuriava, fra palle lanciate in ogni direzione e sgambetti e cappucci pieni di neve rovesciati sulle frange e sugli occhiali.

Sul più bello il grembiule nero si era affacciato alla porta, strepitante: siete dei delinquenti, andate a casaaa… e sull’ultima sillaba la palla tesa, lanciata con mano sicura e braccio potente da dietro la barricata delle auto parcheggiate, aveva compiuto la sua parabola perfetta colpendo il centro del grembiule nero e mandando la prof. a gambe all’aria.

Quindi ieri, quando sul giornale ho letto che l’autore di quel tiro magistrale – cui era stato appassionatamente e ripetutamente sconsigliato di proseguire nello studio delle materie scientifiche o meglio nello studio di alcunchè -  è oggi uno degli autori della scoperta scientifica che la stampa di tutto il mondo definisce ‘da Nobel’ è stato come se ci fossimo alzati tutti e 27 dai banchi di quell’aula e avessimo finalmente, fragorosamente, gioiosamente mandato a quel paese il nostro terrore di non essere all’altezza paludato nel grembiule nero.


P.S. per inciso e per dovere di cronaca: resta il fatto che la sua valutazione riguardo la mia inettitudine verso i numeri, per quanto sconvenientemente espressa, fosse comunque assolutamente corretta!

sabato 6 febbraio 2016

Affinità elettive (Sottotitolo: da Prishilla ci sono i biscotti)

 - È una storia lunga - rispose lei con un filo di voce e abbassando nuovamente gli occhi - molto lunga.
- Bè, non ha nessuna importanza. Le storie che vale la pena di raccontare sono sempre lunghe. Ma vorrei sapere se tu hai voglia di raccontarla oppure no. È questa l'unica cosa importante.- 
La bambina la guardò estasiata. E le repentine scintille d'entusiasmo che Miss Lunatic scopri in fondo ai suoi occhi lacrimosi le fecero pensare al sole quando sta per squarciare le nubi di un temporale.
- Se ne ho voglia? Oh sì, tantissima! Ma a chi la posso raccontare? - 
- A me per esempio - 
- Davvero? - 
- Certo. perché ti sembra tanto strano? (..) Ma non stare qui ferma, vieni, che tira un ventaccio gelato. Adesso andiamo a sederci in quel caffè e mi racconti tutto quello che vuoi. - 
- Tutto quello che voglio? È troppo. E lei avrà fretta. Avrà altre cose da fare. - 
- Fretta io? No. E se anche ne avessi...Non ho mai trovato niente di più importante dell'ascoltare storie.




sabato 23 gennaio 2016

A volte

Talvolta è una forzatura, riempire l'attesa. Ingannare il tempo a volte è un'arte, un prezioso gioco di prestigio. Altre volte è una dispendiosa quanto inutile pinneggiata contro corrente. Un rimpinzarci di cibo superfluo che neppure gustiamo. 

Cosa hai fatto oggi? Ti ho aspettato. A volte dovremmo dircela, questa verità. 

mercoledì 13 gennaio 2016

Sotto gli archi colmi d'organo

Ho rovistato, fino a sentirmi l'ugola e la testa bruciare come graffiate da artigli affannosi.  Non le ho trovate, le parole. Solo carta straccia ed echi. Finchè mi sono quetata, sotto gli archi colmi d'organo della cripta, nel rimbalzare delle formule sempre uguali, nel riverbero di un fuoco e di un camino. E mi sono ricordata che non puoi sciogliere un nodo tirando. Meno che mai se ce l'hai in gola.