martedì 27 marzo 2007

Col mio cuore in gola, col tuo cuore in mano

Si chiama Best Beat e pesa 520 grammi il primo “cuore artificiale” italiano. Si tratta di un dispositivo di assistenza cardiaco, realizzato da NewCorTec Srl,  in grado di fungere da “ponte al trapianto”, migliorando la qualità della vita di chi è in attesa di trapianto, e in grado di fornire un’assistenza permanente  ai pazienti non candidabili al trapianto. Lo stesso dispositivo può essere utilizzato anche per iniziare terapie di recupero della funzionalità cardiaca attraverso una sorta di “fisioterapia del cuore”. Best Beat  è stato impiantato per la prima volta su un essere umano lo scorso 12 marzo, presso il centro Cardiochirurgico dell’Università di Bochum.


 


Si chiama Stefano il fisico che ha diretto lo sviluppo di Best Beat. Non so quanto pesa ma più di 520 grammi.


Pensare a lui mi fa ricordare che dietro alla Scienza ci sono uomini, e vite di uomini. Dietro e davanti alla Scienza, per essere precisi. Ci sono uomini che hanno scosso la testa davanti a un test negativo, che hanno esultato quando l’ennesima pecora è sopravvissuta, che hanno chinato le spalle sotto al peso implacabile della burocrazia, che hanno preso aerei con valigie pesanti di no e hanno continuato imperterriti ad alzare la cornetta del telefono, ad alzare la testa, forse ad alzare la voce. E ci sono uomini a cui qualcuno ha detto “non c’è niente da fare” e uomini che hanno dovuto dire ad altri uomini “non c’è niente da fare”. Ci sono tanti e tanti uomini che hanno visto linee sul monitor decretare risposte.


 


Mi sono chiesta cosa ha pensato Stefano quando ha stretto la mano della persona che avrebbe ricevuto il “suo” cuore. E quando ha visto che la linea sul monitor diceva: sì.


Ho pensato che deve aver avuto il cuore in gola.

lunedì 19 marzo 2007

Guarire

E’ sciocco dire “quando sarò guarita”. Ogni giorno si è guariti, almeno un po’ più guariti del giorno prima. E contemporaneamente è anche vero che da certe ferite non si guarisce affatto. Non ci sarà un giorno in cui dirò “oggi sono guarita” come si potrebbe dire, “oggi finalmente piove”: la guarigione non è un temporale, caso mai è una sola piccola goccia, con la sua possibilità di fare un buco nella roccia. Quindi guarire non è salire un giorno in bicicletta e volare sull’asfalto con il vento nei capelli e la commozione fra le ciglia. Certo ci sono state lacrime quel giorno negli occhi, ed alcune di loro erano di commozione. Ma la bicicletta non volava sull’asfalto e i pedali erano di piombo e c’erano lacrime che erano come spilli piantati nel ginocchio, che si mescolavano alle altre e mettevano nella gioia la fatica e la paura e mettevano nel dolore la soddisfazione e l’orgoglio. Allora quella parola, pazienza, la puoi anche chiamare tenacia che magari ti si addice di più, o forse, semplicemente, ti fa più piacere indossarla. E magari se la chiami così può darsi che il buco nella roccia quella goccia lo farà. Un giorno, quel giorno, ogni giorno, ieri, oggi, domani e chissà per quanti altri giorni ancora. Goccia

giovedì 8 marzo 2007

Perchè non festeggio la festa della donna

Mimosa_1 1) Perché ci sono ancora troppe donne che non hanno nulla da festeggiare. Molte di queste abitano paesi lontani, altre vivono dietro ad un velo di fianco a casa nostra, ma non tutte hanno la pelle scura: tante mi assomigliano e hanno l’accento dolce e rotondo della mia città, ma non hanno la possibilità di essere considerate in primo luogo persone e poi donne.


2) Perché ci sono ancora troppe donne che non meritano di essere festeggiate: sono quelle che usano il loro doppio cromosoma ics per ottenere vantaggi che non si sono guadagnate e quelle che sfoderano l’alibi della loro presunta condizione femminile per giustificare comportamenti poco edificanti o risultati che non le soddisfano.


(Dedicato alla donna che mi ha dimostrato che si può essere Wendy, Pippi Calzelunghe e Wonder Woman in un unico gesto, senza clamore: mia madre.)



venerdì 2 marzo 2007

I sogni son desideri...

La consulente, tailleur gessato e lunga coda di cavallo, era seduta al grande tavolo da riunioni ingombro di carte e deserto di altri convenuti e riempiva distrattamente di linee curve e chiaroscuri i margini del blocco.


A intervalli regolari lanciava rapide occhiate alle lancette dell’orologio firmato appeso alla parete di fronte a lei, accanto alla stampa di Monet.


In fondo al corridoio del piano della direzione il silenzio era quasi perfetto.




La lancetta dell’orologio firmato aveva già compiuto quasi un intero giro quando L’Amministratore Delegato, con le sue anacronistiche guance rosee incorniciate dai residui capelli bianchissimi, fece il suo ingresso, seguito puntualmente dal Direttore Generale, gli occhietti puntuti ben al centro dei rassicuranti occhiali dalla montatura d’oro.


“Dottoressa, ci scusi per l’attesa ma sa, l’avvocato….”



Lei alzò lentamente un paio d’occhi improvvisamente diventati di un verde molto chiaro.


Dalla sua bocca uscirono altrettanto lentamente le seguenti parole:


“la finisca con queste str…zate”.


E non aspettò che i due nonnetti incravattati finissero di sussultare per proseguire: “sono stufa marcia delle vostre scuse del c…zo” e intanto la mano aperta salì verso il soffitto per abbattersi subito dopo sul tavolo con un tonfo che sembrò enorme.


Di fronte a lei due bocche si aprirono in simultanea, ma nessuna parola trovò il modo di uscirne prima che lei proseguisse. “Qui sta andando tutto a put….ane e la colpa è solo vostra. Siete degli ignoranti (e come scandì questa parola, mio Dio, come la scandì), degli ignoranti e degli illusi se pensate che qualcosa possa cambiare qui dentro finchè VOI rimanete con quei culi di pietra piantati sulle vostre poltrone e fate finta di niente.” Le bocche si chiusero faticosamente per consentire una nervosa, nervosissima, deglutizione, che non era ancora terminata quando un’altra manata si abbattè sul tavolo. “E non provate di nuovo a dirmi sì sì con quelle teste rimbambite finchè non avrete davvero capito quello che mi aspetto da voi, e finchè non sarete pronti a farlo. Me ne frego se mandate a put…ane il nostro contratto. Non so cosa farmene dei vostri soldi del c..zo. Sono stata chiara?” E con la terza manata i fogli ammonticchiati sul tavolo si alzarono in volo.





....


La lancetta dell’orologio firmato aveva già compiuto quasi un intero giro quando L’Amministratore Delegato, con le sue anacronistiche guance rosee incorniciate dai residui capelli bianchissimi, fece il suo ingresso, seguito puntualmente dal Direttore Generale, gli occhietti puntuti ben al centro dei rassicuranti occhiali dalla montatura d’oro.


“Dottoressa, ci scusi per l’attesa ma sa, l’avvocato….”



Lei sorrise, del suo sorriso bianco e aperto, e ammaestrato, e disse “Si figuri, succede. Dunque, stavamo parlando del piano di sviluppo…..”. E intanto che parlava con quel suo tono tranquillo, con la mano aperta lisciava la distesa di fogli ben fermi davanti a lei.


ooo



 


 


 


 


Consulente_ombrello