lunedì 26 novembre 2012

Quando


Quando c’è stato il sorteggio dei super-poteri e io ho pescato la Felicità ho pensato: bah, almeno è facile. Ma non avevo capito proprio niente.’

domenica 18 novembre 2012

Fino a quel momento


La chiesa era in penombra e i banchi tutti occupati. Il microfono amplificava l’inutilità delle parole e i miei occhi vagavano sulle spalle dei cappotti, qui riuniti in questo giorno. Il tremolio delle candele e l’eco della cupola rendevano plausibile l’idea che la preghiera mormorata qui ed ora compisse il suo lungo viaggio verso il cuore del dolore.
Lo vedevo avvolto in un cappotto troppo largo, il cuore del dolore, protetto da spalle curve e da una testa china, come nel tentativo di dargli un po’ di sollievo dai venti. Lo vedevo e chiedevo per lui coraggio e forza, e speranza e fiducia.
Poi la preghiera mormorata giunse al suo amen e tacque, e i cappotti si scomposero nel segno della croce. Quel cappotto troppo largo si girò verso il fondo della chiesa e verso di me e io di quel dolore vidi il volto. Allora chiesi un’altra cosa, una cosa che fino a quel momento non avevo capito affatto: l’oblio.

lunedì 12 novembre 2012

San Martino

Patate, tante. Farina, quanto basta. Un uovo. Sempre uno.
La ricetta più arbitraria delle tradizioni familiari. Come a ricordarci che ricette non ce ne sono e che per fare buoni gnocchi bisogna essere stati bambini che hanno infilato l'indice e il medio nel cubetto paffuto e lo hanno rotolato allegramente nella farina, mentre mamme, nonne o zie sorvegliavano attente, senza smettere di sagomare serpentelli e ridurli a tocchetti con spietato ritmico batter di coltello. Bisogna aver rubato un gnocco dal tagliere infarinato approfittando lesti di una mescolata al soffritto, per fare buoni gnocchi: non è questione di ricette.
Ma non c'è da preoccuparsi: non è mai troppo tardi per essere quei bambini, per una sera almeno.

lunedì 5 novembre 2012

.....di amarti e onorarti.....


Era da un bel pezzo che mi chiedevo cosa volesse poi dire, in pratica, quell’’onorarti tutti i giorni della mia vita’ che ho sentito pronunciare a decine di spose e di sposi a vari stadi di commozione, estasi o puro panico.
 Me lo chiedevo da bambina, quando tutta la liturgia era circonfusa da un'aura fiabesca in cui ogni parola aveva un significato arcano – tipo quella Rosanna nell’alto dei cieli che per anni mi sono immaginata volteggiare fra le nubi al colmo della serenità, tanto per intenderci.
Me lo chiedevo da adolescente, tra un commento sull’abito e un aggiustatina alla frangia, e poi qualche anno più tardi, quando le spose hanno iniziato ad essere le mie amiche e le volte delle chiese hanno iniziato a risuonare di contrastanti, colorate e sfarfallanti emozioni. 
Me lo chiedevo quando ai matrimoni degli amici ho iniziato ad avere Lui accanto, seduto scomodo nel banco troppo stretto, e stavo attenta attenta a non guardarlo nel momento delle promesse - e naturalmente me lo sono chiesta quando in quello scrigno qualcosa ha iniziato a trasformarsi e quando ho pensato ‘lo voglio’.
 
A quel punto però il grillo parlante che abita poco sopra al mio orecchio destro mi ha intimato di cercare una risposta con maggior convinzione e così ho chiesto in giro. Alle mogli ovviamente.
Qualcuna rispondeva che voleva dire non contraddire il marito in pubblico (ed in quel caso sarebbe stato per me bastevole motivo di rinuncia a tutta quanta la faccenda), altre sostenevano che significava accoglierlo ogni sera sorridente e festosa con una buona cena in forno e tutto il resto (e anche in questa accezione scampanio di allarme e proteste a profusione), ma la maggior parte di loro concordava sul fatto che fosse ampiamente sufficiente come promessa quella della fedeltà nella gioia e nel dolore e via discorrendo e che comunque ‘amarsi’ racchiudeva in sé tutto il resto, dunque non c’era da preoccuparsi. 
A me sembrava che questo nascondesse una pericolosa leggerezza. Stavo per prometterlo anche io, non potevo accontentarmi. Allora rivoltavo la domanda e chiedevo loro quando si sentivano ‘onorate’ dai loro mariti. A quel punto solitamente iniziavano a parlare di ricette o dell’ultimo film visto al cinema.
Fu così che finii per farmene una ragione e promettere, come una scriteriata qualunque,  che avrei onorato un uomo ogni giorno della mia vita senza avere idea di cosa significasse in pratica –avendo però, per sicurezza,  ben chiarito a tu per tu con l’interessato che non gli avrei dato necessariamente ragione né in pubblico né in privato e che non avrei cucinato leccornie ogni sera.  Poi nei mesi e negli anni a venire ho accantonato il problema, cullandomi nella constatazione che Lui non pareva lamentare manchevolezze in questo senso.

Finchè casualmente l’altro giorno non capito sulla Treccani e alla voce Onorare, sign.2  leggo ‘rendere onorato, costituire motivo di onore: un bel morir tutta la vita onora..’ ecc ecc. In un lampo mi torna in mente tutta la mia ricerca vana e resto interdetta. Rileggo. Lentamente. Santo cielo. Vuoi vedere che quell’’onorarti’ che ho promesso non ha niente a che vedere col blandirti o festeggiarti o incensarti ma significa che devo ‘renderti fiero di me’?  Ho promesso di fare in modo che tu possa sentirti onorato dell’essere mio marito, ogni giorno della mia vita. Ogni giorno dovresti sentire una gran voglia di spalancare porte e finestre e dire ‘ehi ragazzi, vi rendete conto che fortuna che ho? Questa è mia moglie!’ Ogni giorno?? Sì. Ok. Mi serve un attimo per riprendermi.  Ma intanto una domanda: com’è che di tutte quelle mogli che ho interpellato ... nessuna che abbia avuto la compiacenza di avvertirmi?!