lunedì 27 aprile 2015

Sfogliando

Perchè avevo capito più di quanto avessi capito di aver capito. 

Galapagos è sopravvivere. E' la crudeltà, la durezza, la bellezza, l'intensità di sopravvivere. E' ciò che si prova quando si ha dolore, nel corpo o nell’anima, e, ad un tratto, ci si ascolta respirare. Ci si sente sopravvivere. E’ il dovere primordiale di sopravvivere scritto e riscritto nel nostro istinto da una fila di cellule lunga migliaia di generazioni. 

Il messaggio delle Galapagos è per tutti, è necessariamente universale, non fosse altro che perché l’aria e l’acqua attorno a queste isole arrivano da ogni direzione. Tutte le correnti confluiscono qui, su questi pezzetti di lava in mezzo all’oceano, e portano a posarsi qui le forme di vita più diverse: dalla barriera corallina ai pinguini.


E’ stata proprio la ricchezza delle forme di vita che ci ha colpiti arrivando. Scesi dall’aereo, con quella sensazione di stupore un po’ stordito e vago che accompagna l’arrivo in un paese caldo, d’inverno, dopo un lungo viaggio, siamo stati colpiti dal volo dei pellicani che a frotte arrivavano e ripartivano, si posavano, rimanevano tranquilli a dondolarsi sul molo. Poi le otarie, coi loro occhi dolci e umidi, per nulla infastidite dall’andirivieni di turisti e gommoni, e molti altri uccelli che riempivano il cielo di strida e di ali.Con questo stupore è cominciato il nostro viaggio, dal porto di Baltra alla volta delle isole del nord. (....)

(...) Il nostro viaggio si conclude a Santa Cruz, con un’ultima visita a terra dedicata agli animali simbolo, dai quali deriva anche il nome di questo arcipelago: le tartarughe giganti. Il carapace che pesa un quintale, le zampe solide e piene di grinze che ricordano quelle degli elefanti, la testa da piccolo dinosauro, i movimenti lenti ed essenziali. Vivono più di cento anni, il loro cuore batte una volta all'ora, possono bere una volta all'anno, camminano solo in linea retta: di fronte agli ostacoli spingono. Sul sentiero del ritorno siamo così fortunati da trovare due tartarughe che si accoppiano (lo fanno una sola volta all’anno): i movimenti sono lentissimi, il verso del maschio è un lamento continuo e profondo che riecheggia a lungo nell’aria umida e pregna.

Ecco, ancora una volta, il messaggio delle Galapagos: la fierezza di poter sopravvivere. L’abbiamo riconosciuta nell’occhio nitido della sula dai piedi blu, nella serena giocosità dei cuccioli otarie, nella potente perfezione degli squali martello, nel volo dritto delle aquile di mare, nella curiosità spavalda dell’orca e nel lento, lunghissimo amplesso della tartaruga. Semi di vita, portati dai venti di tutto il mondo, che si aggrappano a una manciata di scogli in mezzo al mare, lontano da tutto, e vivono. Nella loro diversità e nella loro unicità, sono vivi.

E’ con questa lezione che, anche noi, riprendiamo il volo.

(febbraio 2004)

lunedì 20 aprile 2015

Un anno di yoga (... come fosse un sasso di Pollicino)

Ho conosciuto la mia maestra con una telefonata, una di quelle che sembra la tappa di una caccia al tesoro. Perchè ora ha il suo sito - con tutte le indicazioni e le foto, che solo a guardarlo vien voglia di cominciare - ma un anno fa c’era solo un volantino, trovato per caso, un numero di cellulare, boh. Nella borsa per un po’, poi quella mattina ‘dai chiamo’.  Voci di bimbi  in sottofondo e la mia richiesta:  già mentre la facevo mi dicevo mah.   Però la sua voce ha quel click  inconfondibile, quello di chi fa una fatica feroce a dirti non posso, senza neppure poi poterti raccogliere e re-indirizzare.  L’ho sentito subito che era più grande di lei, e già la sentivo un po’ sorella. Mi dispiace, il sabato proprio non posso… Certo capisco… Se mi viene in mente qualcuno ….  Grazie, mi fai un gran favore… Tutti quei puntini di sospensione.  Lui che chiama. Sei pronta? Arrivo.  E ancora non mettevamo giù.  Senti, ma stasera … una lezione di prova ...    E io, non so bene perchè – tanto è un caso che lui oggi sia a casa, e tutta questa cosa io la sto facendo per lui, no? quindi non so proprio perché, ma dico sì. 

Quando arriviamo troviamo persone di ogni età che stendono i tappetini e parlano piano. Nessuna assomiglia al mio stereotipo di 'quelli che fanno yoga'. Io tengo fra le braccia il mio tappetino, quello che usavo a vent'anni per dormire in tenda - va bene che ha detto uno qualunque, però insomma. E mentre penso al tappetino ad un tratto ho un flash. Io non posso piegare un ginocchio. Già li vedo, tutti nella posizione del loto (che questa la so anche io) e io non posso neppure cominciare. Ma cosa mi è venuto in mente?? Cosa pensavo di fare??! Però intanto la maestra è arrivata e non è che posso prendere la porta e filare, tanto più che mi ha già chiesto cosa mi aspetto dallo yoga e tutti stanno ascoltando. Come dice un certo scrittore, ‘potevo sentirli ascoltarmi’.  Allora rispondo, e, non che ne avessi l’intenzione, ma mi sembra pure di dire la verità. Poi mi sdraio, con la testa dalla sua parte, e chiudo gli occhi.  La voce della nostra maestra accompagna con fermezza dolcissima il giudizio e le aspettative fuori dalla porta e poi resta lì a fare la guardia. Succede davvero, con una semplicissima naturalezza.  E, potete credermi, a me non era riuscito mai.  Forse è proprio vero che per ognuno di noi c’è un tempo e un luogo per ogni cosa, che solo quando è sera vediamo la luce dei lampioni.

E' passato un anno, e io non ho ancora finito di stupirmi. Yoga io?!! Invece perfino io posso imparare a respirare, ad entrare nel battito del mio cuore e a rimanere lì. Per un po'. Mentre gambe e braccia entrano nella loro forma, che è diversa da quella di chiunque altro e ugualmente bella. E' passato un anno e nessuno ha mai detto 'sedete a gambe incrociate': la mia maestra dice sempre 'in qualunque posizione vi sia comoda'. Quanta splendida strada da fare. 

lunedì 13 aprile 2015

Ormeggio

Ho il generatore e il dissalatore. Mi hanno fatta così. Quando attaccarmi alla torretta della banchina si fa troppo costoso, io entro in modalità autonomia.

Se sia un dono o un peccato, questo non lo so: il confine mi pare come quello fra mare e cielo, nella bruma azzurra di certe albe. 
Forse neppure c'è. 

sabato 4 aprile 2015

Quattro Aprile

'La morte è la curva della strada, morire è solo non essere visto'. (F.Pessoa)
Perchè certe volte Pasqua è più Pasqua. E perchè ci sono luoghi dove l'eco dei passi non si spegne mai.