Perchè avevo capito più di quanto avessi capito di aver capito.
Galapagos è sopravvivere. E' la crudeltà, la durezza, la bellezza, l'intensità di sopravvivere. E' ciò che si prova quando si ha dolore, nel corpo o nell’anima, e, ad un tratto, ci si ascolta respirare. Ci si sente sopravvivere. E’ il dovere primordiale di sopravvivere scritto e riscritto nel nostro istinto da una fila di cellule lunga migliaia di generazioni.
Il messaggio delle Galapagos è per tutti, è necessariamente universale, non fosse altro che perché l’aria e l’acqua attorno a queste isole arrivano da ogni direzione. Tutte le correnti confluiscono qui, su questi pezzetti di lava in mezzo all’oceano, e portano a posarsi qui le forme di vita più diverse: dalla barriera corallina ai pinguini.
Galapagos è sopravvivere. E' la crudeltà, la durezza, la bellezza, l'intensità di sopravvivere. E' ciò che si prova quando si ha dolore, nel corpo o nell’anima, e, ad un tratto, ci si ascolta respirare. Ci si sente sopravvivere. E’ il dovere primordiale di sopravvivere scritto e riscritto nel nostro istinto da una fila di cellule lunga migliaia di generazioni.
Il messaggio delle Galapagos è per tutti, è necessariamente universale, non fosse altro che perché l’aria e l’acqua attorno a queste isole arrivano da ogni direzione. Tutte le correnti confluiscono qui, su questi pezzetti di lava in mezzo all’oceano, e portano a posarsi qui le forme di vita più diverse: dalla barriera corallina ai pinguini.
E’ stata proprio la ricchezza delle forme di vita che ci ha colpiti arrivando. Scesi dall’aereo, con quella sensazione di stupore un po’ stordito e vago che accompagna l’arrivo in un paese caldo, d’inverno, dopo un lungo viaggio, siamo stati colpiti dal volo dei pellicani che a frotte arrivavano e ripartivano, si posavano, rimanevano tranquilli a dondolarsi sul molo. Poi le otarie, coi loro occhi dolci e umidi, per nulla infastidite dall’andirivieni di turisti e gommoni, e molti altri uccelli che riempivano il cielo di strida e di ali.Con questo stupore è cominciato il nostro viaggio, dal porto di Baltra alla volta delle isole del nord. (....)
(...) Il nostro viaggio si conclude a Santa Cruz, con un’ultima visita a terra dedicata agli animali simbolo, dai quali deriva anche il nome di questo arcipelago: le tartarughe giganti. Il carapace che pesa un quintale, le zampe solide e piene di grinze che ricordano quelle degli elefanti, la testa da piccolo dinosauro, i movimenti lenti ed essenziali. Vivono più di cento anni, il loro cuore batte una volta all'ora, possono bere una volta all'anno, camminano solo in linea retta: di fronte agli ostacoli spingono. Sul sentiero del ritorno siamo così fortunati da trovare due tartarughe che si accoppiano (lo fanno una sola volta all’anno): i movimenti sono lentissimi, il verso del maschio è un lamento continuo e profondo che riecheggia a lungo nell’aria umida e pregna.
Ecco, ancora una volta, il messaggio delle Galapagos: la fierezza di poter sopravvivere. L’abbiamo riconosciuta nell’occhio nitido della sula dai piedi blu, nella serena giocosità dei cuccioli otarie, nella potente perfezione degli squali martello, nel volo dritto delle aquile di mare, nella curiosità spavalda dell’orca e nel lento, lunghissimo amplesso della tartaruga. Semi di vita, portati dai venti di tutto il mondo, che si aggrappano a una manciata di scogli in mezzo al mare, lontano da tutto, e vivono. Nella loro diversità e nella loro unicità, sono vivi.
E’ con questa lezione che, anche noi, riprendiamo il volo.
(febbraio 2004)