Uscivamo dalla finestra della camera, dopo essere rientrate
dalla serata intorno ai tavolini del bar del paese, con i ragazzi del posto
e la compagnia dell’estate, quella che si radunava quando i villeggianti
riaprivano le case, portando i figli e gli amici dei figli dalle città vicine.
Mi piaceva immensamente, quella settimana sugli appenini, ospite dei genitori della mia migliore amica. Il bagno al fiume, la passeggiata a cavallo, i motorini,
uscire dopocena e rientrare a piedi con la pila, chiacchierando fitto
nonostante la salita. Nella cucina con le finestre sul bosco ci facevamo la camomilla - attente a non fare rumore- e staccavamo due grossi pezzi di
cioccolato dalla tavoletta. Poi scavalcavamo
la finestra della camera - usare la porta ci pareva prosaico - e attraversavamo il prato.
Ci sedevamo in faccia alla luna e, con
la tazza fra le ginocchia e il cioccolato sotto il palato, davamo la stura alla tristezza bella. La chiamavamo così, quella specie di nostalgia preventiva che riversavamo come un romantico rigurgito sui ragazzi che ci piacevano. Naturalmente ci piacevano immensamente di più quando erano lontani e potevamo sfocare la loro immagine a nostro piacimento. Perché la tristezza bella era
la nostalgia di qualcosa che ancora non avevamo provato. La dolce sfrontata certezza che lo avremmo provato. La paura segreta
di non provarlo mai.
Dopo un congruo numero di lui mi ha detto e io ho risposto e di cosa dici domani gli telefono – perché si andava al bar a telefonare coi gettoni e poteva anche capitare che non rispondesse nessuno o, peggio, sua madre – arrivavamo al punto. Il punto era che venti giorni fa ci sembrava di morire per uno che ora a ripensarci ci faceva venire i brividi. Come si fa a sapere se è quello giusto. Mia nonna dice che devi immaginartelo sul water: se ci riesci e non ti fa ridere è lui. Silenzio. Risata. Non è lui.
Dopo un congruo numero di lui mi ha detto e io ho risposto e di cosa dici domani gli telefono – perché si andava al bar a telefonare coi gettoni e poteva anche capitare che non rispondesse nessuno o, peggio, sua madre – arrivavamo al punto. Il punto era che venti giorni fa ci sembrava di morire per uno che ora a ripensarci ci faceva venire i brividi. Come si fa a sapere se è quello giusto. Mia nonna dice che devi immaginartelo sul water: se ci riesci e non ti fa ridere è lui. Silenzio. Risata. Non è lui.
Finivamo la camomilla ormai tiepida e gli scampoli di risata, scuotevamo l’erba
dai pigiami e tornavamo a scavalcare la finestra. Nei lettini gemelli, con la
luce spenta e le palpebre pesanti, chiedevo in un sussurro: ... Ba? ma per te esiste l’amore eterno?
Per me sì - rispondeva la mia migliore amica - scusa, pensa ai tuoi nonni.
Per me sì - rispondeva la mia migliore amica - scusa, pensa ai tuoi nonni.