giovedì 29 dicembre 2011

Welcome Home

Eccomi qui, nella mia nuova casa. Trasloco completato grazie ad un fantastico servizio proposto da Marco, che ha avuto un'idea strepitosa e che ha dimostrato una serietà, un'affidabilità e una disponibilità davvero non comuni. Al costo di una pizza.
Così il trasloco é stato fatto mentre io mi godevo un pomeriggio di shopping. Sono tornata e ho trovato tutto fatto, la mia nuova casa in ordine, coi maglioni già impilati nell'armadio e i piatti lavati e impilati nella credenza. Neanche una tazzina scheggiata, nessun segno sul muro e l'aspirapolvere già passato. Non mi é rimasto che prepararmi il te, allungare le gambe sul divano e guardare questo nuovo panorama che si vede dalla finestra.


Grazie Marco!

domenica 25 dicembre 2011

La Vigilia dalla Zia P.


La vigilia dalla zia P. iniziava con il profumo della pasta al forno e con l’abbraccio stritolante dello zio G.

C’era uno scintillio che partiva dall’albero di Natale dell’ingresso e si diramava per tutta la casa:  nei bicchieri per l’aperitivo, ordinatamente disposti sul vassoio in salotto, nel presepe con il pane, nel letto matrimoniale sommerso dai nostri cappotti, dalle borsette e dai colletti di pelo. Si adagiava sul pianoforte nero e sui suoi tasti, in attesa della tradizionale suonatina, si arrampicava nel filo argentato che decorava il cartellone di Natale: la sorpresa che tutti aspettavamo e che lo zio preparava di nascosto sui tavoli da disegno dello studio, dopo aver iniziato ad idearlo fin dall’estate, raccogliendo fotografie, poesie, immagini e pensieri.

Continuava, lo scintillio, portato in giro dalle mie ballerine di vernice, mentre tutti gli ospiti arrivavano e si scambiavano i baci e gli auguri e i bicchieri con le bollicine. Si fermava, lo scintillio, solo davanti alla porta del guardaroba, per l’occasione trasformato nel deposito di Babbo Natale: una porta alta e scura, piena di promesse segrete.

Riprendeva, lo scintillio, nella tavola apparecchiata, nei fiocchi dei cadeau per le signore, nei segnaposti in cui curiosavo alla ricerca del mio nome, nelle posate lucide e nelle caraffe, e poi risplendeva, nella fiamma fremente delle candele del centrotavola, quando la luce si spegneva e noi eravamo tutti lì, in piedi, vicini, a recitare l’Ave Maria, mentre la pasta al forno finiva di dorare.
 

domenica 18 dicembre 2011

Un Natale Bianco

Quest’anno ho voglia di un Natale da sussurrare, di strade buie e di candele, di nonni e di piatti antichi, di pochi regali e molti bigliettini. Ho voglia di un Natale stretto in una sciarpa fatta a mano, di scarponcini sporchi di pioggia e neve, che abbiano fatto tanta strada. Ho voglia di un albero da annusare e di un presepe che mi faccia venire in mente una preghiera, una di quelle che credevo di aver dimenticato.    

Quest’anno ho voglia di un Natale bianco, fatto di due soli ingredienti. Come gli spumini che ho appena sfornato.
 

domenica 11 dicembre 2011

Cambio di stagione


Avevo chiuso certe paure nell'armadio ma per far posto a qualche scheletro sono stata costretta a tirarle fuori.
 
Così si può dire che è stato grazie agli scheletri che han dovuto trovar posto nel mio armadio che ho scoperto che certe paure non son poi cosi brutte come le ricordavo, come certi maglioni relegati per anni nell'ultimo scaffale che poi, rivisti addosso, non son neanche male.
 

lunedì 28 novembre 2011

Tutto d'un fiato, riempiendo scatoloni


Non l'avevo programmato ma mi accorgo che é proprio il momento giusto per un trasloco. Ho riletto il Chi Sono di questo blog e mi sono accorta che non é più vero. E' passato il tempo e mi ha cambiata. Ho un'altra pettinatura, un altro paio di occhiali e un'altra tastiera su cui digitare. Le scarpe comode non mi servono più solo per camminare veloce ma anche per non zoppicare. Ho più pensieri guardando il profilo delle montagne dal mio terrazzo sui tetti che guardando le cravatte degli altri viaggiatori. Forse non sono più gli stessi pensieri quelli che mi sembra valgano qualcosa e alla brioche ho iniziato a preferire la pasta frolla.
Sono contenta che il tempo mi abbia cambiata, sono fiera della durezza nuova che hanno assunto le mie mani e della fragilità che mi spunta dalla fronte insieme a quella ruga che prima non c'era. Sono contenta di sentirmi più stropicciata e piena, di dimenticarmi le cose, di avere cosi spesso nostalgia e di sentire che so amare la vita e le persone con meno entusiasmo e con più calore. Mi sembra di aver imparato a guidare e che il finestrino da cui guardo il mondo sia sempre meno spesso quello del passeggero. Sono invecchiata e ne vado fiera. Quindi é il momento giusto per un trasloco, per un nuovo campanello su cui scrivere chi sono e per una nuova finestra da cui lanciare aeroplanini. Perché in questo, ancora, non son cambiata.

 

domenica 20 novembre 2011

Strategie


'Basta piangere, che a piangere tanto ti vengono gli occhi rossi e brutti come quelli del lupo cattivo. Invece se ridi ti vengono gli occhi brillanti e belli come le stelle.'
Nonna M.


'Basta piangere. Pensa a quello che ha sofferto Gesù Cristo sulla croce e smettila di piangere così tanto per un'iniezione'.
Nonna L.


Entrambe le nipotine - comunque - smisero di piangere
.
 

domenica 13 novembre 2011

Poesie dei ritagli di tempo - di P. Misuraca

Ridono le zie
zitelle come fate
dimenticate.




Un anticipo delle poesie di un amico di penna: il resto, lo trovate clickando qui http://pasqualemisuraca.com/sito/index.php/haiku-e-poesie/155-poesie-dei-ritagli-di-tempo.html


E' un click che vale la pena di fare, e avevo intenzione di raccontarvi il perchè, secondo me. Ma le parole che vogliono fare da cornice ad altre parole suonano spesso rigide e vuote. E chi assapora tace. Perciò, andate.

sabato 12 novembre 2011

Citazione

'Siamo una società decadente perchè non siamo in grado di immaginarci un futuro migliore.'
(nb: 'immaginare' non è sinonimo nè di 'sognare', nè di 'programmare')

domenica 6 novembre 2011

Occuparsi di occupazione - Sono o Faccio?


Per motivi che non sto a riassumere ma che la sociologia e la psicologia hanno ben studiato, il lavoro che facciamo ha assunto una valenza importantissima nella definizione della nostra identità e della nostra immagine di noi stessi. E' tuttavia probabile che il cambiamento socio culturale che caratterizza questo momento storico ci conduca verso una concezione del lavoro differente dal quella del passato - ed é normale, se assumiamo una prospettiva storica. Appare dunque evidente che l'irrigidimento di posizioni e schemi di pensiero riguardanti questo costrutto - per quanto perfettamente comprensibili se letti alla luce, appunto, dell'importanza che ha 'il lavoro che facciamo' nel definire (agli altri e a noi stessi) 'chi siamo' - risultano però, ad oggi, totalmente disfunzionali.
Oppure può darsi che, molto più semplicemente, il nostro mondo sia popolato da molte persone pigre, riluttanti a correre rischi, a mettersi in gioco e a rinunciare ad una stabilità e ad un relativo benessere considerato soddisfacente.

Indipendentemente da quale sia la ragione, sembra che spesso si dimentichi che non esitono gli Operai, nè gli Statali, nè i Professori, nè, meno che mai, i Politici. Esistono piuttosto uomini e donne che fanno gli operai, gli impiegati statali, i professori o i politici. E  se la nostra società ha sempre meno bisogno di 'operai', o di 'impiegati' o di 'politici', ma ha sempre più bisogno, ad esempio, di persone che si prendono cura degli anziani, che lavorino la terra, che facciano il pane o che insegnino il cinese, questi uomini e queste donne dovrebbero prendere in considerazione l'idea che fare un lavoro diverso da quello che hanno sempre fatto potrebbe essere una necessità e non un'ingiustizia. Neppure una tragedia.
In tutta sincerità io amo il mio lavoro e ho investito tanto per farlo, se la società non ne avesse più bisogno e io incontrassi evidenti difficoltà a vendere ciò che faccio, sarebbe per me un dispiacere e non sarei contenta di adattarmi all'idea di fare un lavoro diverso. Ma mi dispiacerebbe assai di più che venissero prese delle misure affinché io potessi continuare a fare il mio lavoro nonostante non serva a granché. In tutta sincerità, lo troverei umiliante.

 

martedì 1 novembre 2011

Occuparsi di occupazione


Ascoltando i dibattiti e leggendo i commenti alle cosiddette misure per lo sviluppo, c'e un aspetto in particolare che mi sollecita un gran fastidio. E' dunque con manifesto intento provocatorio, e anche un po' polemico, che affermo: sarebbe ora di smetterla di prendere a riferimento il tasso di occupazione come indice del benessere di un paese, o di un qualsivoglia sistema sociale, e di considerare così rilevante, nel valutare un'azione, o una misura, o un operatore economico,  il fatto che 'produca lavoro'.


Provo a spiegarmi: la quantità di occupazione non é, a mio avviso, un indicatore significativo: credo che abbia molto più senso, per identificare la capacità di un sistema sociale di produrre ricchezza (nei suoi diversi risvolti) fare riferimento, piuttosto, alla qualità dell'occupazione.
Mi sembra piuttosto evidente, infatti, che una società ricca é una società in cui il lavoro delle persone serve a produrre beni e servizi utili e ben fatti. Se il lavoro delle persone é ben fatto e i prodotti del lavoro sono utili possiamo dire che la qualità dell'occupazione é alta. Se  la qualità dell'occupazione é bassa significa invece che c'è una quota troppo elevata di lavoro mal fatto o inutile.
Ma non parliamo mai di questo: parliamo di quante persone lavorano, non di quali persone lavorano, di come lavorano e di perchè lavorano. Come mai? Forse perchè ci siamo abituati a pensare che il lavoro abbia un valore in sè, ma é un grosso inganno. Quello che conta non é il lavoro, ma ciò che il lavoro produce. La frase 'produrre lavoro', a  pensarci un attimo, non ha alcun senso. Produrre lavoro per produrre cosa?
Siamo certi di saperlo? E siamo certi che la risposta ci piaccia?

lunedì 24 ottobre 2011

Super Pippo


Oggi, fra Rogoredo e Lambrate, c’è voglia di parlar di moto.
No, non voglio fare la retorica dello sport, né, meno che mai, quella della morte del bravo ragazzo di talento.
Ho voglia, piuttosto, di raccontare di quando mi ha preso il gusto di guardare le gare del motomondiale e di quelle domeniche dei miei vent’anni e poco più, sul divano di quelli che sarebbero diventati i miei suoceri, con la schiena appoggiata al Suo torace e la ciotola delle caramelle mou sul tavolino di vetro e l’immagine di Lui, a quattordici anni, appesa sopra al pianoforte, con la moto da cross e il casco e le lentiggini e la voglia di vincere, tutto in tre riquadri a colori pastello.
Sua mamma, al di là della porta, cucinava manicaretti per il pranzo e la nonna leggeva la gazzetta con la lente d’ingrandimento. Lui mi insegnava i nomi dei piloti e le storie e la mescola morbida e le slick. Facevo il tifo per Harada, ma più di tutto per Lucchi, che arrivava sempre settimo, però una volta ha vinto e sul podio ha pianto e io non la smettevo di saltare su e giù è di dire ‘sìììì’.
Valentino era un bambino prodigio, che volava in 125 e festeggiava come un pazzo con gli amici a bordo pista e le 500 mi annoiavano perché tanto vinceva sempre Mick Doohan.
Non so se mi divertivo di più a guardar le pieghe o le interviste, o forse più di tutto mi piaceva essere considerata una femmina complice, almeno per questo, invece che una femmina rompiballe. Fatto sta che abbiamo cambiato diverse case e diversi divani, Nico Cereghini ha ceduto la lavagna e il pennarello e ha messo su un bel po’ di capelli bianchi, Valentino è diventato il campione dei campioni e in mezzo ho fatto il tifo per un sacco di altri personaggi, storpiando i nomi e immaginando le vite e i pensieri dietro i caschi e in giro per il paddock. Quando abbiamo avuto il nostro incidente ero ancora per terra accanto alla moto quando ho borbottato ‘ci vorrebbe il dottor Costa’. E quella domenica che c’era Laguna Seca e mi sono dileguata da una cena di lavoro per guardarla in una camera d’albergo, Lui, quando gli ho telefonato dicendogli ‘hai visto Ben Bostrom?’, che era in testa alla grande, è rimasto un po’ interdetto e poi ha riso come un matto al pensiero che ero scappata in camera, con la mia cena di lavoro in corso, per guardarmi il cavatappi.



E adesso viene il difficile, perché secondo una certa accezione di razionalità quello che sto per dire forse non ha senso. Eppure la voce di Guido Meda incrinata di pianto mi è rimasta dentro come carta vetrata, e sono molto triste al pensiero che Sic non correrà più. Almeno non qui da noi.
 

lunedì 17 ottobre 2011

Falstaff


Mi ero preparata in anticipo. Avevo comprato il cd e l'avevo ascoltato e riascoltato, affinché la musica mi entrasse sottopelle. Avevo pensato a quello che avrei indossato, avevo pensato e ripensato alla solennità misteriosa e nuda del teatro più antico della città. Avevo pregustato il silenzio e l'attesa del paloscenico allestito e l'orchestra che prendeva posto, ed il suo fruscio.
Avevo chiamato a raccolta lucciole di magia, per la mia serata all'opera. 


E  sono stata seduta incantata, le spalle avvolte nello scialle del colore dei miei occhi, accanto a Lui, che aveva indossato l'abito blu ed era elegante e giovane e oltremodo cortese.   Il canto ha riempito il teatro, si é gonfiato nel fascino della gradinate scolpite e nel calore del legno, travolgendo i pensieri. E' stato bello rientrare infreddolita, la testa piena di note e di storia. La tisana fumante, il sonno. Addormentantomi ho pensato, semplicemente, che davvero se la chiami con fiducia la magia non tradisce.

 

lunedì 10 ottobre 2011

Punto. A capo.


Ci sono giorni che sembrano punti. Anzi, punti a capo.
Sono giorni in cui, apparentemente all'improvviso, ci sembra venga sancito un avvenuto cambiamento. Un cambiamento che é, in realtà, progressivo.
Per esempio: è autunno.  O sono un adulto. Non ti amo più. Mi sento a casa sotto questo tetto. Sono guarita.

Ci sono dei punti a capo che capitano improvvisi, come quello che pare abbia fatto cadere tutte le foglie dagli alberi, l'altra notte, ed altri che segniamo in anticipo sulla nostra psico agenda, come fossero dei traguardi, o le pietre che lungo le strade indicano i chilometri percorsi. Certi compleanni con lo zero, per esempio, o il dieci ottobre duemilaundici, che è un grande sospiro.
 

 

lunedì 3 ottobre 2011

Idraulica della mente - Variazioni sul tema


Quando i pensieri sono opachi e pieni di sabbia e ti sembra di usare sempre le stesse cinque parole lise, quando ragionare é faticoso e improduttivo come pedalare col freno bloccato, quando dal cervello ti escono risultati flebili, come l'acqua da certi rubinetti: appena sufficiente a risciacquarsi le mani...  quanto sarebbe bello poter dare una bella pulita col viakal del cervello!
Spruzzare, lasciare agire dieci minuti, immaginando le molecole solerti che sciolgono i sedimenti e fan brillare le sinapsi. Poi via, una passata di straccio e le idee tornano a scorrere, le soluzioni sgorgano, rapide e pulite, e le parole appaiono, nitide, a rispecchiare il mondo. Ah, ne farei una scorta, del viakal del cervello!
 

domenica 25 settembre 2011

Settembre


Settembre è la luce dorata che impregna le foglie. La bevono, grate e accaldate. Poi ebbre, arrossate, assonnate, si lasceranno andare. 
Voleranno.
Cadranno.
Ora, ancora, non lo sanno.

mercoledì 21 settembre 2011

Lo sciacquone per i pensieri



 



Ha proprio ragione M.
Sarebbe bellissimo premere un pulsante, sentire lo scroscio dell'acqua, e via: tutti i pensieri e le preoccupazioni giù per lo scarico. Definitivamente smaltiti in un imprecisato sistema fognario che neppure ci prendiamo la briga di immaginare, tanto poco ci riguarda più, una volta che abbiamo tirato l'acqua.
Anzi, quasi quasi meglio ancora sarebbe tirar la catena, come si faceva una volta e come si fa ancora, in qualche vecchia casa. Una catenella che penzola invitante poco più su dell'orecchio destro, appena visibile in un angolo del campo visivo.
Afferrarla con nonchalance, tirare appena e sentire l'acqua che arriva ubbidiente a trascinar via i pensieri. Sentirli scrosciar via in un soddisfatto gorgoglio che lascia tutto pulito, una leggera schiuma, un sentore di pino silvestre.
Ah si, stasera appoggerò la testa sul cuscino, aggiusterò per bene le coperte, e poi tirerò la catena. Ahhh. Buonanotte.

 

lunedì 12 settembre 2011

Fotografie di Istanbul


Istanbul ha una bellezza da ritagliare. Sagome di cupole e minareti, mosaici, palazzi trasudanti storie e leggende e tesori, ville affacciate sullo stretto trafficato di barche e gabbiani, tramonti arrossati dal vento, terrazze candidamente apparecchiate e grandi bandiere che sventolano fiere.

Tra i ritagli sono rimasti il profumo dello sgombro alla brace e delle pannocchie, la folla che si accalca, sudata e vociante, fra mille e una bancarella, il lustrascarpe con la sua elemosina truccata,  e poi i resti di tutta questa vita, che volano per le strade quando i carretti delle noci hanno preso la via di casa e il crepuscolo pregno di preghiera ha ceduto il posto alle ombre.

 



A pensarci, non sono ritagli che si possano gettare nel bidoncino blu della carta da riciclo. A pensarci, è un peccato non averli fotografati.
 

lunedì 5 settembre 2011

Il contrario di paura


É stato guardando morire una candela, nella nicchia di una chiesa.


Era una di quelle chiese in cui sembra che entrino solo i turisti per riposare un attimo all'ombra, eppure ci sono tutte quelle candele che brillano nelle nicchie, appoggiate su un dito di acqua, e viene da chiedersi chi le avrà accese, e quale tenebra o gratitudine avrà avuto nell'animo, chissà.


Ero molto vicina a te, pur senza sfiorarti ( 'come solo un marito ed una moglie', mi sono accorta di aver pensato) ed eravamo, semplicemente, in un nudo silenzio. Le parole sarebbero venute, poi: io sentivo la tua certezza e tu la mia e non avevamo, quindi, nessuna fretta di rivestirlo.


Abbiamo guardato morire una candela, nella nicchia di una chiesa, ed é stato lì  che ho capito che il contrario di paura é fiducia.

 

lunedì 15 agosto 2011

Vicini


Hanno il terrazzo coi fiori più belli, un grande tavolo di legno e le poltroncine con eleganti cuscini rossi. Lei indossa vestitini chiari, pettinature semplici e quando esce ad annaffiare i geranei sorride quasi sempre. C'è spesso un bimbo, sul terrazzo, che gioca quieto e viene chiamato per la merenda.
Alle finestre ci sono tende svolazzanti, che lasciano intravedere un salotto ordinato e allegro, bei quadri alle pareti e un uomo che scrive al computer e a volte si interrompe per parlare con lei, appoggiandole una mano sul fianco.
Sono la famiglia perfetta. Spero di non conoscerli mai.

 

domenica 7 agosto 2011

Super Eroi


Trasformare le avversità in avventure: è questo il super potere che vorrei.  Sulle spalle un mantello di pergamena, appeso al collo un calamaio blu cobalto e sulla spalla Epico, inseparabile piccolo amico e spiritello ispiratore. Aggirarmi nelle giornate e nelle vite seminando l'avventura nel solco dell'avversità e ogni volta che dal seme sboccia un eroe, sparire in una nuvola di pelucchi di gomma da cancellare, con l'enigmatico sorriso di chi ha compiuto il suo segreto dovere.
 

domenica 31 luglio 2011

Il tuffo


Sospesa, fra le due sponde. Avevi afferrato la corda baldanzosa, mentre le cicale frinivano e il cielo aveva il calore traboccante dell’estate in arrivo. Il pensiero, ed il cuore, erano già al di là del fiume, dove la macchia boscosa si infittisce, dove vedevi sparire gli uccelli che a volo radente sembravano sfiorarti il capo. Avevi preso la rincorsa, incurante, anzi forse compiaciuta, in fondo, delle impronte lasciate dalle tue scarpette di piccola principessa sul terreno limaccioso della riva.
 



La rincorsa era al suo apice quando la punta delle tue scarpette aveva incontrato il culmine di un sasso ed eri inciampata. La rincorsa, pur spezzata, era già presa, però, e le mani troppo strette alla corda per lasciarla, semplicemente, andare e capitombolare sulla solita vecchia riva con le ginocchia sbucciate.
 



Dunque, sospesa. Fra le due sponde. Le scarpette che ondeggiano nel vuoto, le mani che iniziano a sudare.  Gli uccelli a volo radente sembrano sfiorarti il capo e spariscono nella macchia, al di là del fiume. E’ il momento di guardare l’acqua che scorre sotto alla tua gonna stropicciata. E di ricordarti che sai nuotare.
 

domenica 24 luglio 2011

Rapimento


Aspetto fiduciosa i buchi azzurri fra le nuvole muscolose, come certi animali le carezze ruvide e rare di certi padroni. Passano le parole, insieme alle nuvole, che altro non c’è, in questo mia casa segreta scavata fra tegole e grondaie. Non posso vedere fronde, nè strade, né sagome di auto o tetti di altre case. Chiudo gli occhi e li riapro: potrei farlo mille volte e troverei sempre azzurro e bianco, o nero. Se inclino la testa c’è anche il giallo zabaione del muro, quello della mia casa vera. Dove ho il nome sul campanello e il postino che passa ogni giorno. Appoggiare la mano sullo zabaione ruvido è come stare a piedi nudi sulla terra. Ogni tanto lo faccio, per essere sicura di non essere stata sollevata dalle parole che passano, come da un branco di palloncini dalla coda lunga, invitante.
 

domenica 17 luglio 2011

La Pazienza


Io la immagino coi baffi, vibranti e sottili come le vibrisse di un gatto scaltro. Se ne sta placida e addormentata, finchè non c’è bisogno di lei, poi quando stai per svegliarla perché è giunto il momento che faccia il suo dovere, quella, quasi avesse avvertito con le punte dei suoi lunghi baffi che sta per toccare a lei, scappa veloce come il fulmine a nascondersi non si sa dove, forse fra i comignoli dei tetti, o lungo i vicoli della città. La Pazienza. Ne parliamo sempre in termini di quantità. Ne ho tanta, ne ho poca, non ne ho più. Come fosse farina dentro ad un sacco. Come se si potesse reintegrare la scorta facendo un salto al negozio. Come se potessimo misurare quanta ne rimane e farci conto. Ne ho abbastanza per una torta, per le tagliatelle forse non basterà. Se ascolto tutta la  ramanzina di mio marito la finirò, sarà meglio che ne chieda in prestito alla vicina, finchè sono in tempo. Come se potessimo star certi che quando ne avremo bisogno basterà slegare il laccio e tuffar dentro il cucchiaio. Invece no, tu la senti ronfare sul suo cuscino e stai tranquillo. La pazienza è lì, ben pasciuta e sistemata in un angolo del tuo cervello. Ma quando ti volti a chiamarla è già scomparsa. Puoi vedere giusto l’ombra della coda, già fuori dalla finestra. Quando torna la lego. Se torna.
 

domenica 10 luglio 2011

Guarire - 1


Certe mattine passa il bel chirurgo dalle mani d'oro e dai capelli d'argento. Come un battito d'ali che si propaga nell'aria, c'è un gesto, quelle mattine, che contagia le pazienti: un ravviarsi i capelli, un lisciare le pieghe delle camicie da notte, un preparare gli occhi stroppiciati al sorriso. E fra tubicini, mascherine, flebo e cerotti, non ce ne é una che non si sforzi di rispondere un 'bene' alla domanda 'come va oggi?', posta dal bel chirurgo con voce alta e chiara e sempre preceduta dal nome di battesimo dell'ammalata.
Chissà poi che in quel 'bene' non ci sia un po' di verità, a dimostrazione del fatto che voler guarire é ingrediente necessario al guarire.

 

martedì 5 luglio 2011

E' cosa poi non comune...


A un uomo non abituato a pensare non c'è nulla al mondo più difficile di pensare. Rimuginiamo le cose nella nostra mente in modo vago e sconclusionato, e alla fine prendiamo una qualche decisione, guidati probabilmente più dalle sensazioni dell'ultimo minuto che da un qualsiasi ragionamento. .. e riteniamo di aver riflettuto abbastanza. Ma seguire un argomento dall'inizio alla fine e quindi fondare sulla conclusione cui si è giunti l'inizio di altri ragionamenti, è cosa poi non comune.
(A.Trollope)

martedì 28 giugno 2011

Raggomitolata


Ho le parole raggomitolate. Scrivo e cancello, scrivo e cancello. Usassi ancora la gomma e la matita avrei fatto il buco nel foglio. Ecco magari sarebbe meglio, cosi potrei guardarci dentro, al buco, e forse ci troverei il bandolo del gomitolo. O forse ci vedrei un mondo in cui esistono cose come persone che sanno riparare i cuori malati e famiglie che sanno abbracciarsi senza clamore nelle cose di ogni giorno, qualsiasi giorno sia. Che poi alla fine non si sa cosa sia più miracoloso. Senza offesa per il cardiochirurgo. Ecco, visto come mi si raggomitolano le parole? Tanto più che avrei voluto scrivere un post di poche parole semplici, che potesse essere letto, perfino ad alta voce, anche da qualcuno che fosse un po' affaticato. E invece guarda qui che guazzabuglio. Non si capisce niente. Mi arrendo: quel mondo, quello delle persone che riparano i cuori malati e delle famiglie che si abbracciano senza clamore, non può essere raccontato, o quantomeno non da una dilettante delle parole come me. Ho deciso che faccio il buco nel foglio e vado a guardarlo un altro po'.

lunedì 20 giugno 2011

Con dedica



Questa settimana il mio post é un pacchetto da prender su, da appoggiare sul sedile posteriore con la disinvoltura che dedichiamo alle cose consuete, e care.

Questo pacchetto contiene:

-
Biscotti da sgranocchiare, casomai arrivi, inaspettata, un po' di debolezza
- Un mazzo di carte da gioco, per ingannare l'attesa e batterla, sul più bello, con un burraco pulito
-Un bocciolo di orchidea, di gioia candida, pronto a sbocciare e risbocciare di nuovo, e poi ancora, un'altra volta.
- Un libro che avvolga come una sciarpa leggera in una sera d'inizio estate e una   
canzone facile facile  , che dica canticchiami
- Un proverbio che parla di contar le stelle e della notte che presto sarà passata, stampato su una tazza fatta per contenere camomilla e miele, e confidenze.
- Foto di montagne marittime e di mari montuosi, per tappezzar le pareti di orizzonti coraggiosi e di salite superate.E   
chicchi di sole
,   da spargere sul sentiero, naturalmente.
 

domenica 12 giugno 2011

Delle sorprese


Forse la differenza fra altruismo e amore sta nel rivelarsi o no. Forse l'amore non può evitare di rivelarsi, in qualche modo e ad un certo punto, perchè anela essere riconosciuto. E ricambiato.

lunedì 6 giugno 2011

Immagina


Immagina di essere uno di quelli che ogni tanto scrivono i propri pensieri sui foglietti, uno di quelli che, un po' per gioco un po' per liberare i cassetti, di quei foglietti ogni tanto ne fanno aeroplanini e li lanciano fuori dalla finestra (o dal finestrino). 

Ecco, ora immagina che uno di quei tuoi aeroplanini, sostenuto dalla brezza calda della primavera che matura, vada ad atterrare lento lento sui piedi di un bambino, poniamo, al parco del quartiere. Immagina che sia uno di quei bambini timidi e un po' goffi,  solitario e pensieroso, uno di quei bambini che se ne sta ai bordi e non sa proprio come fare per entrare nel gioco chiassoso degli altri e tanto più ci pensa e passa il tempo tanto più gli sembra impossibile mettersi a correre con gli altri dietro alla palla, tutti quegli altri che l'hanno visto per tutto questo tempo ai bordi e pensieroso.
 
Bene, immagina ora  che mentre quel bambino trascina i suoi pensieri in questa palude, lento lento gli plani sui piedi l'areoplanino. Poniamo che, per caso, il pensiero scritto su quel foglietto fosse un pensiero allegro, pieno di coraggio e di piccoli eroi e di fortune che accorrono a  trarre in salvo gli audaci. Immagina che al bambino, leggendolo, scappi fuori uno di quei sorrisi contagiosi e un gran prurito ai piedi e che gli altri se ne accorgano e gli tirino la palla e immagina anche che lui, sorridendo, tiri un calcio di quelli fenomenali.
 
Ecco, adesso immagina di essere quello che ha lanciato l'aeroplanino, che, per caso, assiste alla scena.

 

lunedì 30 maggio 2011

Certe parole


Certe parole sono proprio perfette.
Rancore, per esempio, che è talmente brutta che quando ti accorgi di provarla te ne vergogni immediatamente, come di un brufolo giallo in mezzo al naso.
O Sollievo, che solo a dirlo sembra che una brezza ti sollevi i capelli dal collo sudaticcio. Proprio perfette, certe parole. 

domenica 22 maggio 2011

Pensione


Ho già raccontato della Minolta di mio padre, della fiduciosa nonchalance con cui per tanti anni ha accompagnato le nostre avventure, rischiando ferali capitomboli dagli strapiombi rocciosi e tuffi nell’acqua salmastra, sempre pronta ad immortalare stambecchi, balene, delfini, scoiattoli sfuggenti e api ronzanti, la corolla di un fiore e le mille sfumature di un tramonto. Da quando l’ho raccontato, fedele ai miei propositi, ho accumulato un po’ di rughe intorno agli occhi e lei nuove ammaccature intorno alla ghiera.
 



Da qualche anno però, la vecchia Minolta ha ceduto il passo alle sorelline digitali e poltrisce acciambellata nella custodia come un vecchio gatto nella cesta. Tant’è che mio padre ha ventilato l’idea di esporla, insieme alle sue antenate, nella vetrinetta che ha appositamente approntato nel suo studio. Si tratta di una vetrina collocata proprio dietro alla sua scrivania, dalla quale le vecchie macchine fotografiche (e sono tante) sembrano affacciarsi al di sopra della sua spalla per guardare il grande monitor dove egli crea le sue magiche elaborazioni digitali, forse immortalando l’evoluzione della loro stessa arte, o magari ispirando quel ritoccare, ravvivare, ritagliare, ingrandire che non è più lavoro da camera oscura, ma che continua a richiedere maestria, pazienza e soprattutto un grande amore.
 



Naturalmente ho accolto con favore la richiesta di mio padre, e per qualche giorno, preparando la Minolta all’ufficiale pensionamento, ho pensato di comprare un bel rullino kodak da 36 e farle fare i suoi ultimi scatti, godendomi il piacere di quei gesti di cui continuo a sentire la mancanza, come il movimento del pollice che segue immediatamente lo scatto (perché la macchina sia sempre pronta, non si sa mai che passi lo stambecco) o il gesto del riavvolgere la pellicola, accompagnato, immancabilmente, dal mantra “speriamo che siano venute”.
 



Poi però mi sono concentrata. Mi sono chiesta in quale circostanza la vecchia Minolta aveva compiuto il suo dovere. Ho realizzato che le ultime sue foto sono state scattate nel corso nell’ultimo weekend in Val Gardena prima che i casi della vita mi privassero della possibilità di sciare e di inerpicarmi con gusto su per i sentieri. Era un weekend di gennaio e la valle era incredibilmente carica di neve e, altrettanto incredibilmente, illuminata dal sole. Ho scorso le immagini di brillanti cristalli di neve, dei miei codini, della pista da fondo e di una baita solitaria stagliata contro un cielo di un blu così intenso da far pensare ad un ritocco con photoshop. Ho visto visi stanchi e sorridenti, palle di neve saettanti, zaini stracarichi (certo, il teleobiettivo, il cavalletto, il flash aggiuntivo che non si sa mai… ). Ho risentito la stanchezza buona delle gambe montanare e il vento profumato di freddo e di fame dell’ultima discesa e ho ricordato il galoppare dei cervi che ci attraversarono la pista.  Lei, ovviamente, era pronta.

Ho deciso che non le avrei fatto scattare un altro rullino: ho deciso che quello era stato un weekend perfetto per essere l’ultimo di una stagione, per lei e per me. Da domani ispirerà il mio papà, nel fotoritocco, e me, nel prendere possesso dei miei .. ehm xx anni.  

 

domenica 15 maggio 2011

Colloquio di selezione


Venticinque anni, leggo sul cv, ma ne dimostra, con la complicità dell'abito grigio, quasi diciotto. Capelli biondi spettinati, no non quello spettinato studiato, proprio quello spettinato di chi si é gettato giù dal letto dieci minuti prima di salire in macchina. La cravatta é un po' sghemba e il nodo decisamente troppo grosso, ma la camicia è impeccabilmente stirata, lasciando intuire il tocco segreto di un angelo di mamma.

Ripercorro il suo percorso scolastico, piuttosto traballante, mentre lui sventola un sorriso disarmante come una bandiera bianca, e arriviamo rapidamente all'assunzione in banca, il suo primo lavoro.
-Dopo sei mesi allo sportello della sede centrale, si sono accorti di me e mi hanno mandato a risollevare la filiale xy, che, deve sapere, é la filiale  più disastrata di tutta la città-
 - Ah - lo guardo a lungo, nelle profondità disabitate dei suoi occhi chiari - e hanno mandato proprio lei?-
 - Sì, proprio me! - fiero e del tutto privo arroganza, come per un bel voto dopo aver tanto studiato, continua - poi le cose sono molto migliorate, sa?-
- Ah. Grazie a lei?? -  
Annuisce, e pure con una certa convinzione. Poichè non coglie la vena sarcastica, mi trovo costretta a chiedere, scandendo bene le parole: - Quale é stato il suo contributo a questo miglioramento? -
E lui, un po' disorientato dal mio cavillare - Bè... diciamo.... ho portato il buonumore, ecco!-
Giuro, non dubito.

 
Al momento la risposta mi era parsa del tutto inappropriata ( e considerandola nel suo contesto effettivamente lo era) ma oggi, ripensandoci, sarei tentata di chiamarlo per chiedergli qualche lezione privata.

 

domenica 8 maggio 2011

Canticchiami


Oggi vorrei essere una canzone, che ti entri nella testa e ti culli i pensieri, che li avvolga come un sottile strato di bambagia, perchè non si facciano male urtando gli uni contro gli altri. Vorrei essere una canzone di cui non ti liberi, che ti incanti e ti somigli, più di quanto mai avresti immaginato. Una canzone facile, che dica colpisci la palla quando arriva (che preoccuparsi, come dicevano in quel film, serve come masticare un chewingum per risolvere un’equazione algebrica), libera la testa e sciogli i muscoli, segui il ritmo, solo quello.  Oggi c’è il sole, canticchiami.
 

lunedì 2 maggio 2011

Imparare


Nuota con le braccia, straccia il suo record un giorno si e un giorno no e chi l'ha vista dice che in acqua sembra una sirena. Obiettivo: olimpiadi.   

G. ha sedici anni e un giorno ha fatto un salto che le ha cambiato la vita, dal trampolino non salta più e la sua sedia è diventata quella con le ruote. Lei ha accettato la sfida e si é caricata le gambe in spalla.
Perciò G. ha imparato a trovare un sistema per fare la doccia e per fare un sacco di altre cose e la sua famiglia ha imparato con lei. Ha imparato ad aiutare e a lasciarsi aiutare, a guardare e lasciarsi guardare. Ha imparato a ballare con gli occhi e ad accavallare i riccioli, ed é molto bella quando lo fa. Ha imparato a prendere le distanze dai suoi piedi, e chissà quante cose ancora imparerà.

Io invece ho imparato che G. corre, e lascia indietro tutti noi.


martedì 26 aprile 2011

Sì, però


Sia fatta la tua volontà, però rendimi felice. Sia fatta la tua volontà, però proteggi i miei cari. Sia fatta la tua volontà, però fa che passi questo dolore. Sia fatta la tua volontà, però fammi trovare il pane sulla tavola. 
Sì, però la prossima volta il film lo scelgo io. Sì, però torna presto. Sì, però guido io. Sì però, abbi cura di me.
Neanche quest'anno, dentro al mio uovo di pasqua, ho trovato un sì, punto. E sì che mi ero impegnata.

domenica 17 aprile 2011

Elezioni


La conta dei capelli bianchi aveva dato esiti nefasti; la commissione si ritirò, dunque, per deliberare.
In aula per un po' ci fu silenzio, ma dopo mezzogiorno i convenuti iniziarono a rumoreggiare. Le ipotesi sulle nuove nomine non potevano più essere smorzate dalla patina di discrezione che aveva caratterizzato la mattina e che si era dissolta ai primi brontolii di stomaco.
Ingenuità e Ottimismo sarebbero senz'altro state deposte, forse Allegria avrebbe mantenuto il suo posto, Entusiasmo ben più difficilmente. Su questo i convenuti, sostanzialmente, concordavano. Su chi sarebbero stati i nuovi membri del  consiglio e, soprattutto, su chi avrebbe ottenuto la carica suprema, vi erano invece parecchie correnti di pensiero.
Quando suonò la campanella e la commissione riprese posto sugli scranni, furono in cinque a rassettare gli abiti e a prepararsi ad alzarsi in piedi: Prudenza, Disincanto, Diplomazia, Temperanza e Alterigia.
Saggezza rimase defilata, consapevole che, nonostante l'esito della conta, i tempi per lei ancora non erano maturi.
Il presidente della commissione tossicchiò nel microfono e in sala tornò il silenzio.
 

 

domenica 10 aprile 2011

All'erta


Un rumore, al di là della porta. Occhi aperti nel buio e guancia immobile sul cuscino. Se fosse un cane avrebbe la coda dritta e le orecchie tese, invece è una donna e secoli di evoluzione le hanno lasciato, come unico sbocco del picco di adrenalina, un fremito delle ciglia, un respiro trattenuto e un battito accelerato. Silenzio. Il respiro accanto a lei è profondo e regolare.  Forse ho sognato, si dice.  Forse è stato il rumore del sole che sorge, si dice. Deve essere quasi mattina. Un'altra mattina calda e assolata, un'altra prematura esplosione di foglie nuove e fiori. Attorno, appiccicata addosso come la coperta già troppo pesante, l'impossibilità di abbandonarsi e gioirne. La diffidenza all'erta come verso un uomo troppo bello e generoso.
 

domenica 3 aprile 2011

Chicchi di sole


No, non sassolini: oggi voglio lasciare chicchi di sole, su un sentiero di montagna. Poi spruzzi di stelle alpine ed echi di campanacci, che accompagnino la salita e alleggeriscano il cuore. Semplicemente.

lunedì 28 marzo 2011

Sprigionata


Ok lo ammetto: sono snob, forse anche arrogante e talvolta mi sento superiore. Ad esempio mi sento superiore a coloro che si dedicano più a vendere quel poco che sanno fare che ad imparare a fare qualcosa che serva. Mi sento superiore a chi ritiene di avere più diritti che doveri, a chi butta le cartacce dove capita e il tempo nelle inaugurazioni dei centri commerciali, a chi evita di mostrare la faccia se non é perfettamente truccata e a chi, pur di mostrar la faccia, dà in pasto al mondo anema e core. Mi sento superiore a chi è disposto a semplificare tutto e tutti pur di avere un opinone  e a chi spia le vite degli altri per ingannare la propria apatia. Sono snob e talvolta, neanche tanto raramente, mi sento superiore: sarà la vecchiaia o forse la primavera, ma non ho neppure più voglia di nasconderlo. Ecco: sprigionata.
 

martedì 22 marzo 2011

Souvenir


Me la sono portata a casa, racchiusa in pugno, attenta a non farla volar via ma senza stringere troppo, per l'amor di Dio che non soffochi. Le ho soffiato sopra, ogni tanto, leggermente e a lungo, come si fa sulle bracia per non far spegnere la fiamma. Ho portato a casa l'intimità che ho provato lassù al nord, guardando dalla finestra il mare di ghiaccio e le barche con gli alberi imbiancati e il cielo pieno di vento tenuto a stento a freno dalle nubi gonfie, con il profumo del legno nelle narici  e tutt'intorno i colori e la luce e le voci di bimbi scalzi e una mano nella mia. L'ho portata con me ed ora non mi resta che piantarla in casa mia e sperare che attecchisca, per poterla offrire a chi verrà a trovarmi, insieme ad una tazza di te con un grande biscotto o ad un calice di vino.

lunedì 14 marzo 2011

Il professore


La birreria ha le sedie tirolesi e le tovaglie a quadri ed offre taglieri di salumi e formaggi e canederli giganti, ma il luminare ha ordinato un grande piatto di spaghetti, forse per onorare, anche a tavola, la sua trasferta in Italia. Il luminare é canuto e porta lenti spesse, e non troppo pulite, davanti agli occhi azzurri leggermente velati, come si confà a chi ha trascorso tanti anni a riempire fogli e lavagne di formule matematiche. Parla un italiano appuntito e ruvido, da tedesco delle barzellette, ed indossa tutti i capi di abbigliamento che lo stereotipo popolare associa al personaggio: dalle scarpe da ginnastica malconce alla giacca di tweed sformata, che accentua la magrezza delle spalle. Anche la cravatta sembra voler sottolinare che, signori miei, la scienza non porta ricchezza, nè lusso, nè agi.     
I suoi commensali sono giovani professori, dalle molte idee e dagli immancabili zainetti;  raccontano con la voce grossa e gli sguardi timidi spiccioli aneddoti di facoltà, ma si zittiscono riverenti ogni volta che lui prende la parola, anche solo per ordinare il caffè.
Finché ad un certo punto entra una donna,  passo elastico e jeans aderenti. Ha una scollatura invitante e il viso riempito da un sorriso candido, giovane e molto sicuro. Il luminare posa sul tavolo  il tovagliolo macchiato, dice Puonanotte, la prende per mano e se ne va.
I professori rimangono silenziosi a finire le loro birre, ormai calde, e credo che stiano pensando che la scienza, signori miei, non porta ricchezza, nè lusso nè agi, ma chissà che non porti la felicità. 
 

 

lunedì 7 marzo 2011

Tutte

"Tutte le convizioni sono ridicole?"
"Solo quando si applicano indiscriminatamente a tutte le circostanze"

lunedì 28 febbraio 2011

Piove


Le parole si sciolgono nelle pozzanghere, si stemperano nel grigio che impregna l’aria, sbadigliano.

Vorrebbero vestirsi di un impermeabile giallo, e magari indossare  galosce travestite da coccinelle, come quelle della bambina che sta decorando di impronte digitali la vetrata della banca.

Vorrebbero saltarci dentro, alle pozzanghere, e svegliare tutti quei giacconi stanchi d’inverno, eppure rassegnati, che si affollano sui marciapiedi e rallentano il traffico. Vorrebbero schizzare tutte quelle parole stantie che attraversano le pagine dei giornali, ostruendo gli incroci ed i pensieri.

Ma le parole rimangono impigliate in tutto questo fango, in questo impicciarsi a vicenda delle auto parcheggiate in ogni dove, perché oggi piove. E sbadigliano, sbadigliano, mentre i giornali ripropongono parole tanto cupe quanto innocue, e la coda in banca non si smaltisce.

 

martedì 22 febbraio 2011

Kairos


In fondo è sempre una questione di tempo, se le cose prendono la giusta piega e scivolano via lisce o invece no. No, non parlo del tempo che si ha a disposizione, tanto o poco che sia (o, per dirla con una metafora: solido, liquido o gassoso che sia): parlo del ritmo del mondo, di quell’”ogni cosa a suo tempo” che recitano i nonni spazientendo i nipoti, o ancora, di quel fiducioso “c’è un tempo per ogni cosa” che fa sollevare così tante scettiche soppraciglia. E invece il mondo ha davvero un ritmo, e questa sensazione di fiato corto e di corsa contro vento, nove volte su dieci dipende dal fatto che ne sei fuori, fuori tempo (e qualche volta pure stonato come una campana).  

E’ impagabile, invece, la sensazione di essere a tempo, di fare o dire quella cosa proprio nel suo momento e ascoltarne l’effetto, gli echi e le risposte. Ti ripaga della fatica che hai fatto ad aspettare, tenendo la bada la paura di non arrivare in tempo. Perché certe volte arrivare in anticipo è tanto quanto arrivare in ritardo e non si può mettersi avanti, così è una cosa fatta. Ti ripaga anche della fatica che hai fatto a non lasciartelo scappare, a tenere le orecchie tese per sentirlo arrivare, perché non è affatto detto che il momento giusto si faccia annunciare o ti mandi un memo sul palmare.

Io non lo so cosa bisogna imparare, per riuscire ad andare a tempo, se è una questione di orecchio o se il tempo si sente col naso, come l’arrivo della neve, o se c’è bisogno di un metronomo da tenere nella pancia: so però che mi piacerebbe moltissimo danzare sempre al ritmo del mondo.

 

lunedì 14 febbraio 2011

Pollicina


Queste parole sono sassolini, che ho tenuto in tasca per un pezzo: ci ho giocato con le dita, aspettando autobus e idee, li ho scaldati nel palmo della mano facendo la fila per pagare la mia busta di insalata e la farina. Li ho tenuti in tasca per un pezzo, sapendo che prima o poi sarebbero venuti buoni, ed oggi mi sembra proprio il giorno giusto per farli cadere sul sentiero perchè lo so che li verrai a cercare, oggi o domani, o forse dopodomani.
Si proprio tu, li verrai a cercare, dopo anni che ti fai stampare i miei post e te li leggi al tavolo della cucina intanto che cuoce la pasta. Si, dico proprio a te, che dici sempre che non sei capace e che é una perdita di tempo, proprio a te che a forza di correre dietro a noi, coi fazzoletti che dimentichiamo, o di correre con noi, verso i treni che rischiamo di perdere, o di correre davanti a noi per illuminarci la via e impedire che finiamo in un fosso, sei arrivata fino qui. Buon compleanno e benvenuta sul web!

lunedì 7 febbraio 2011

Una tazza di tè


Tra Rogoredo e Lambrate, questa settimana, non ci sono parole. Sarebbero inutili, ridondantì, buone solo per ribadire un affetto e una presenza già ben note. Non saprei neppure renderle originali, perchè in fondo nell'affetto e nella presenza, quelli veri, di originale, per fortuna, non c'è granché.

Tra Rogoredo e Lambrate, questa settimana c'è una tazza di tè con un lieve sentore di menta. Un tè che riscalda le membra e il cuore e che rinfresca i pensieri, un tè che ha un vago sapore di deserto e di tramonti saturi e promettenti. Una tazza di tè che é la promessa di giornate felici, di viaggi e di sogni e di una casa che aspetta il nostro ritorno, senza più dolore.
 

lunedì 31 gennaio 2011

Intonsa


A volte sei intorno a un tavolo di persone che non hai riunito tu ed è così riposante lasciarti portare nella conversazione senza sentire in alcun modo il dovere, nè il desiderio, di dare colpi di remi per evitare scogli affioranti o raggiungere anse che rendano piacevole, o fruttuosa, la navigazione. Ti godi la tua pizza ed il tepore, mentre fuori nevica, dispensi un numero ragionevole di sorrisi e di domande innocue, esprimi un paio di opinioni sufficientemente consuete e puoi tornare a casa, intonsa.

martedì 25 gennaio 2011

Accanto


Si era seduta accanto a lui. Non di fronte, accanto, (aveva avuto cura di spostarsi, dopo aver servito il caffè) perchè il suo sguardo potesse vagare verso l'orizzonte senza trovare per forza lo specchio degli occhi di lei. Si era seduta poco distante però, perchè cercare il punto fermo del suo volto non gli risultasse troppo complicato, o innaturale. Avrebbe potuto farlo fingendo che fosse un casuale impercettibile movimento della testa. Non ci sarebbe stata nessuna ammissione, se non lo avesse desiderato lui, nessuna esplicita richiesta di aiuto o di approvazione. Per questo per  tutta la cena aveva fatto in modo di fargli intendere che, qualora ne avesse avuto bisogno, nel punto fermo del suo volto avrebbe trovato generi di conforto, ad esempio un sorriso o un silente incoraggiamento.  Un po' come un maratoneta al banchetto del rifornimento della sua squadra. E come un maratoneta ecco che lui ora parte, lungo i sentieri che la vita e la morte gli hanno tracciato dentro. E lei è lì, a guardare ansimante uno scorcio mozzafiato, ad indicare senza parere una prospettiva, un bivio. Ad accogliere il suo arrivo in un modo che lui non saprebbe proprio dire se era sempre stata lì o se ci erano arrivati insieme.

Poi ad un certo punto si è fatto molto tardi, e lui va a dormire e lei dimentica.

E' essenziale che lei dimentichi. Nessuno ti porterebbe con se, lungo i sentieri che la vita e la morte ti traccia dentro, se tu non dimenticassi. Una volta lei aveva dimenticato di dimenticare. E lui non era più tornato.

domenica 16 gennaio 2011

Bambini felici

Si sta facendo strada in me la convinzione che l’essere stati bambini felici (*) sia una condizione necessaria per essere adulti felici.

Chi è stato un bambino felice mi pare tenda infatti a concepire la felicità come uno stato naturale e l’infelicità come uno stadio passeggero, di cui attendere il termine o da cui darsi da fare per uscire, a seconda della propria indole. In entrambi i casi appare comunque teso verso la felicità, che sovente considera un diritto (o un dovere) dell’essere umano.

Al contrario, chi non è stato felice nell’infanzia mi pare portato a ritenere che l’infelicità sia uno stato naturale dell’essere umano e a vivere i momenti di felicità come come illusori o fugaci, sempre a seconda della propria indole, finendo sovente per stemperarli in una fondamentale malinconia e privandoli dello slancio necessario a radicarsi. In questo senso mi capita di osservare che chi non è stato un bambino felice tende a considerare la felicità come un accidente temporaneo o il sintomo di una miope, per quanto piacevole, visione del mondo.

Se il ragionamento dovesse dimostrarsi sufficientemente fondato da farmi ritenere sensato procedere lungo questa la strada ne sarei terrorizzata.


(* Nota: per “bambini felici” non intendo bambini adorati o viziati o esageratamente protagonisti, bensì bambini sicuri di essere amati e protetti nella libertà di alimentare la propria curiosità ed esprimere la propria fiducia nel futuro)


lunedì 3 gennaio 2011

Propositi

"Gli uomini sono diversi, ci sono i buoni e i cattivi, ma per lo più non sono nè l'uno nè l'altro, come le rane che prendono la temperatura dall'ambiente circostante: se fa caldo, sono calde, se fa freddo, sono fredde. Bisogna fare in modo di riscaldare il clima del nostro governatorato, allora le persone diventeranno migliori." B.A.