Mi interrogo sull’ombrello da tempo immemore. Non c’è nulla,
a mio avviso, di così assurdamente anacronistico come l’ombrello.
Possiamo
parlarci – e vederci – da un capo all’altro del pianeta con un click del mouse.
Possiamo controllare la chimica del nostro complicato organismo con qualche
barattolo di pastigliette. Solchiamo i cieli su navicelle dotate di
ogni comfort e illuminiamo palazzi e
città con un interruttore. Abbiamo perfino, e da un bel po’ di tempo, trovato il
modo di guardare negli occhi l’atomo e le sue particelle. Eppure, quando Giove
Pluvio punta il dito, andiamo in giro con un bastone con attaccato in cima uno
straccetto.
E’ mai possibile che per ripararci la testa quando piove non
abbiamo ancora inventato niente di meglio di una specie di fazzoletto da tenere
sulla testa? Niente di meglio di questo sistema che, giusto per stare in tema,
fa acqua da tutte le parti? Sgocciola sul collo e sulle spalle, quando lo
chiudiamo ci restituisce tutta l’acqua da cui ci ha riparato lungo la via e ha
la fastidiosa abitudine di sparire ogni volta che lo lasciamo incustodito. E
quando non sparisce c’è un’unica ragione: nel lasso di tempo in cui lo abbiamo
lasciato nel portaombrelli è spuntato il sole. Nel tal caso, però, è certo che
lo dimenticheremo.
Insomma, questa cosa dell’ombrello mi pare davvero inspiegabile. Gli unici progressi che abbiamo fatto riguardano l'ombrello tascabile, l'apertura automatica e quella specie di tubo raccogli-gocce. Un bel po' sotto la media, direi. Ergo, nonostante mi interroghi sulla questione quasi ogni volta che sono costretta a
servirmene, la spiegazione più convincente resta, nella sua incredibilità, quella del complotto. Ovvero,
che esista una potentissima lobby degli ombrelli che boicotta ogni
tentativo di rendere i suoi membri obsoleti. Se lascio la mia instabile
fantasia libera di sguazzare in questo spunto come un bimbo – senza ombrello –
in una pozzanghera, posso perfino immaginare gli ignari scienziati che incautamente approcciano lo studio del problema, rapiti e torturati in recondite segrete
da loschi ombrelli spietati. E con un
sussulto guardo il mio, che invariabilmente ha una stecca piegata - o altri segni del mio scarso rispetto - e mi auguro che sia clemente.