lunedì 28 novembre 2011

Tutto d'un fiato, riempiendo scatoloni


Non l'avevo programmato ma mi accorgo che é proprio il momento giusto per un trasloco. Ho riletto il Chi Sono di questo blog e mi sono accorta che non é più vero. E' passato il tempo e mi ha cambiata. Ho un'altra pettinatura, un altro paio di occhiali e un'altra tastiera su cui digitare. Le scarpe comode non mi servono più solo per camminare veloce ma anche per non zoppicare. Ho più pensieri guardando il profilo delle montagne dal mio terrazzo sui tetti che guardando le cravatte degli altri viaggiatori. Forse non sono più gli stessi pensieri quelli che mi sembra valgano qualcosa e alla brioche ho iniziato a preferire la pasta frolla.
Sono contenta che il tempo mi abbia cambiata, sono fiera della durezza nuova che hanno assunto le mie mani e della fragilità che mi spunta dalla fronte insieme a quella ruga che prima non c'era. Sono contenta di sentirmi più stropicciata e piena, di dimenticarmi le cose, di avere cosi spesso nostalgia e di sentire che so amare la vita e le persone con meno entusiasmo e con più calore. Mi sembra di aver imparato a guidare e che il finestrino da cui guardo il mondo sia sempre meno spesso quello del passeggero. Sono invecchiata e ne vado fiera. Quindi é il momento giusto per un trasloco, per un nuovo campanello su cui scrivere chi sono e per una nuova finestra da cui lanciare aeroplanini. Perché in questo, ancora, non son cambiata.

 

domenica 20 novembre 2011

Strategie


'Basta piangere, che a piangere tanto ti vengono gli occhi rossi e brutti come quelli del lupo cattivo. Invece se ridi ti vengono gli occhi brillanti e belli come le stelle.'
Nonna M.


'Basta piangere. Pensa a quello che ha sofferto Gesù Cristo sulla croce e smettila di piangere così tanto per un'iniezione'.
Nonna L.


Entrambe le nipotine - comunque - smisero di piangere
.
 

domenica 13 novembre 2011

Poesie dei ritagli di tempo - di P. Misuraca

Ridono le zie
zitelle come fate
dimenticate.




Un anticipo delle poesie di un amico di penna: il resto, lo trovate clickando qui http://pasqualemisuraca.com/sito/index.php/haiku-e-poesie/155-poesie-dei-ritagli-di-tempo.html


E' un click che vale la pena di fare, e avevo intenzione di raccontarvi il perchè, secondo me. Ma le parole che vogliono fare da cornice ad altre parole suonano spesso rigide e vuote. E chi assapora tace. Perciò, andate.

sabato 12 novembre 2011

Citazione

'Siamo una società decadente perchè non siamo in grado di immaginarci un futuro migliore.'
(nb: 'immaginare' non è sinonimo nè di 'sognare', nè di 'programmare')

domenica 6 novembre 2011

Occuparsi di occupazione - Sono o Faccio?


Per motivi che non sto a riassumere ma che la sociologia e la psicologia hanno ben studiato, il lavoro che facciamo ha assunto una valenza importantissima nella definizione della nostra identità e della nostra immagine di noi stessi. E' tuttavia probabile che il cambiamento socio culturale che caratterizza questo momento storico ci conduca verso una concezione del lavoro differente dal quella del passato - ed é normale, se assumiamo una prospettiva storica. Appare dunque evidente che l'irrigidimento di posizioni e schemi di pensiero riguardanti questo costrutto - per quanto perfettamente comprensibili se letti alla luce, appunto, dell'importanza che ha 'il lavoro che facciamo' nel definire (agli altri e a noi stessi) 'chi siamo' - risultano però, ad oggi, totalmente disfunzionali.
Oppure può darsi che, molto più semplicemente, il nostro mondo sia popolato da molte persone pigre, riluttanti a correre rischi, a mettersi in gioco e a rinunciare ad una stabilità e ad un relativo benessere considerato soddisfacente.

Indipendentemente da quale sia la ragione, sembra che spesso si dimentichi che non esitono gli Operai, nè gli Statali, nè i Professori, nè, meno che mai, i Politici. Esistono piuttosto uomini e donne che fanno gli operai, gli impiegati statali, i professori o i politici. E  se la nostra società ha sempre meno bisogno di 'operai', o di 'impiegati' o di 'politici', ma ha sempre più bisogno, ad esempio, di persone che si prendono cura degli anziani, che lavorino la terra, che facciano il pane o che insegnino il cinese, questi uomini e queste donne dovrebbero prendere in considerazione l'idea che fare un lavoro diverso da quello che hanno sempre fatto potrebbe essere una necessità e non un'ingiustizia. Neppure una tragedia.
In tutta sincerità io amo il mio lavoro e ho investito tanto per farlo, se la società non ne avesse più bisogno e io incontrassi evidenti difficoltà a vendere ciò che faccio, sarebbe per me un dispiacere e non sarei contenta di adattarmi all'idea di fare un lavoro diverso. Ma mi dispiacerebbe assai di più che venissero prese delle misure affinché io potessi continuare a fare il mio lavoro nonostante non serva a granché. In tutta sincerità, lo troverei umiliante.

 

martedì 1 novembre 2011

Occuparsi di occupazione


Ascoltando i dibattiti e leggendo i commenti alle cosiddette misure per lo sviluppo, c'e un aspetto in particolare che mi sollecita un gran fastidio. E' dunque con manifesto intento provocatorio, e anche un po' polemico, che affermo: sarebbe ora di smetterla di prendere a riferimento il tasso di occupazione come indice del benessere di un paese, o di un qualsivoglia sistema sociale, e di considerare così rilevante, nel valutare un'azione, o una misura, o un operatore economico,  il fatto che 'produca lavoro'.


Provo a spiegarmi: la quantità di occupazione non é, a mio avviso, un indicatore significativo: credo che abbia molto più senso, per identificare la capacità di un sistema sociale di produrre ricchezza (nei suoi diversi risvolti) fare riferimento, piuttosto, alla qualità dell'occupazione.
Mi sembra piuttosto evidente, infatti, che una società ricca é una società in cui il lavoro delle persone serve a produrre beni e servizi utili e ben fatti. Se il lavoro delle persone é ben fatto e i prodotti del lavoro sono utili possiamo dire che la qualità dell'occupazione é alta. Se  la qualità dell'occupazione é bassa significa invece che c'è una quota troppo elevata di lavoro mal fatto o inutile.
Ma non parliamo mai di questo: parliamo di quante persone lavorano, non di quali persone lavorano, di come lavorano e di perchè lavorano. Come mai? Forse perchè ci siamo abituati a pensare che il lavoro abbia un valore in sè, ma é un grosso inganno. Quello che conta non é il lavoro, ma ciò che il lavoro produce. La frase 'produrre lavoro', a  pensarci un attimo, non ha alcun senso. Produrre lavoro per produrre cosa?
Siamo certi di saperlo? E siamo certi che la risposta ci piaccia?