domenica 31 luglio 2011

Il tuffo


Sospesa, fra le due sponde. Avevi afferrato la corda baldanzosa, mentre le cicale frinivano e il cielo aveva il calore traboccante dell’estate in arrivo. Il pensiero, ed il cuore, erano già al di là del fiume, dove la macchia boscosa si infittisce, dove vedevi sparire gli uccelli che a volo radente sembravano sfiorarti il capo. Avevi preso la rincorsa, incurante, anzi forse compiaciuta, in fondo, delle impronte lasciate dalle tue scarpette di piccola principessa sul terreno limaccioso della riva.
 



La rincorsa era al suo apice quando la punta delle tue scarpette aveva incontrato il culmine di un sasso ed eri inciampata. La rincorsa, pur spezzata, era già presa, però, e le mani troppo strette alla corda per lasciarla, semplicemente, andare e capitombolare sulla solita vecchia riva con le ginocchia sbucciate.
 



Dunque, sospesa. Fra le due sponde. Le scarpette che ondeggiano nel vuoto, le mani che iniziano a sudare.  Gli uccelli a volo radente sembrano sfiorarti il capo e spariscono nella macchia, al di là del fiume. E’ il momento di guardare l’acqua che scorre sotto alla tua gonna stropicciata. E di ricordarti che sai nuotare.
 

domenica 24 luglio 2011

Rapimento


Aspetto fiduciosa i buchi azzurri fra le nuvole muscolose, come certi animali le carezze ruvide e rare di certi padroni. Passano le parole, insieme alle nuvole, che altro non c’è, in questo mia casa segreta scavata fra tegole e grondaie. Non posso vedere fronde, nè strade, né sagome di auto o tetti di altre case. Chiudo gli occhi e li riapro: potrei farlo mille volte e troverei sempre azzurro e bianco, o nero. Se inclino la testa c’è anche il giallo zabaione del muro, quello della mia casa vera. Dove ho il nome sul campanello e il postino che passa ogni giorno. Appoggiare la mano sullo zabaione ruvido è come stare a piedi nudi sulla terra. Ogni tanto lo faccio, per essere sicura di non essere stata sollevata dalle parole che passano, come da un branco di palloncini dalla coda lunga, invitante.
 

domenica 17 luglio 2011

La Pazienza


Io la immagino coi baffi, vibranti e sottili come le vibrisse di un gatto scaltro. Se ne sta placida e addormentata, finchè non c’è bisogno di lei, poi quando stai per svegliarla perché è giunto il momento che faccia il suo dovere, quella, quasi avesse avvertito con le punte dei suoi lunghi baffi che sta per toccare a lei, scappa veloce come il fulmine a nascondersi non si sa dove, forse fra i comignoli dei tetti, o lungo i vicoli della città. La Pazienza. Ne parliamo sempre in termini di quantità. Ne ho tanta, ne ho poca, non ne ho più. Come fosse farina dentro ad un sacco. Come se si potesse reintegrare la scorta facendo un salto al negozio. Come se potessimo misurare quanta ne rimane e farci conto. Ne ho abbastanza per una torta, per le tagliatelle forse non basterà. Se ascolto tutta la  ramanzina di mio marito la finirò, sarà meglio che ne chieda in prestito alla vicina, finchè sono in tempo. Come se potessimo star certi che quando ne avremo bisogno basterà slegare il laccio e tuffar dentro il cucchiaio. Invece no, tu la senti ronfare sul suo cuscino e stai tranquillo. La pazienza è lì, ben pasciuta e sistemata in un angolo del tuo cervello. Ma quando ti volti a chiamarla è già scomparsa. Puoi vedere giusto l’ombra della coda, già fuori dalla finestra. Quando torna la lego. Se torna.
 

domenica 10 luglio 2011

Guarire - 1


Certe mattine passa il bel chirurgo dalle mani d'oro e dai capelli d'argento. Come un battito d'ali che si propaga nell'aria, c'è un gesto, quelle mattine, che contagia le pazienti: un ravviarsi i capelli, un lisciare le pieghe delle camicie da notte, un preparare gli occhi stroppiciati al sorriso. E fra tubicini, mascherine, flebo e cerotti, non ce ne é una che non si sforzi di rispondere un 'bene' alla domanda 'come va oggi?', posta dal bel chirurgo con voce alta e chiara e sempre preceduta dal nome di battesimo dell'ammalata.
Chissà poi che in quel 'bene' non ci sia un po' di verità, a dimostrazione del fatto che voler guarire é ingrediente necessario al guarire.

 

martedì 5 luglio 2011

E' cosa poi non comune...


A un uomo non abituato a pensare non c'è nulla al mondo più difficile di pensare. Rimuginiamo le cose nella nostra mente in modo vago e sconclusionato, e alla fine prendiamo una qualche decisione, guidati probabilmente più dalle sensazioni dell'ultimo minuto che da un qualsiasi ragionamento. .. e riteniamo di aver riflettuto abbastanza. Ma seguire un argomento dall'inizio alla fine e quindi fondare sulla conclusione cui si è giunti l'inizio di altri ragionamenti, è cosa poi non comune.
(A.Trollope)