"Le parole saltano come scimmie di albero in albero, ma nel luogo oscuro dove s'affondano le radici mancano le gentili intermediarie"
R.Musil
"Le parole saltano come scimmie di albero in albero, ma nel luogo oscuro dove s'affondano le radici mancano le gentili intermediarie"
R.Musil
Liscia e schiarisce i suoi capelli come fossero pensieri.
Ha un pizzico di magia nelle mani, eredità potente e onerosa di antenate che hanno amato attraverso fornelli, aghi da maglia, forbici e matite.
Ama l’ordine, la luce, le cose pulite. Parla e ascolta con le mani, soffre con gli occhi, ride con le guance. Ha sempre un pensiero per te e tu lo sai.
Forse solo i suoi gatti conoscono la profondità delle sue notti ma molte unghie possono graffiare la sua insonnia rovente, anche se questo difficilmente potrà essere compreso.
Scrivere di lei è qualcosa che sta fra un piccolo furto e un grande regalo. Qualcosa che vorresti saper fare. Qualcosa che farai, comunque.
"La ragione per cui non potrei essere una geisha è la stessa per cui non potrei prendere i voti: non sono capace di obbedienza."
(A.)
Non riuscivano a risolversi a buttarlo via. Per diciotto anni era rimasto seduto ritto accanto alla credenza, con le orecchie appena sollevate, come a voler dimostrare attenzione ma non ancora allarme, le zampe composte e gli occhi neri, lucidi di porcellana. Senza un guaito di disapprovazione, per diciotto Natali si era lasciato mettere in testa il tradizionale berretto bianco e rosso. Giorno dopo giorno aveva accolto paziente le pacche sulla testa, le dita negli occhi di curiosi bambini di passaggio, lo straccio impietoso di un susseguirsi di prosaiche donne delle pulizie. Non aveva neppure mai dato cenno di risentimento quando, all’arrivo degli ospiti, la vergogna per quel tocco di kitsch che lui inequivocabilmente rappresentava li induceva a spingerlo verso il muro, nascondendolo alla vista. Mai una volta che gliela avesse fatta pagare, che avesse voltato il muso all’avvicinarsi delle loro braccia tese.
Come potevano semplicemente prenderlo e buttarlo via?
Gli avevano salvato la zampa destra, dopo quel brutto scontro con l’aspirapolvere. Da anni ormai la esibiva con orgoglio tenuta insieme con lo scotch (l’idea del gesso inizialmente era stata accolta con favore, ma poi, con un guizzo di raro realismo, l’avevano accantonata) come a dire: “sono un cane visto? Mica un cavallo che se si azzoppa finisce al mattatoio, sono il migliore amico dell’uomo io!”. Ma dall’ultimo frontale con il seggiolone della nipotina aveva riportato un danno davvero irreparabile, non era proprio possibile proseguire oltre sulla strada del rappezzo.
C’è un gioco che faccio tra me e me, ogni tanto. Mi domando, se incontrassi il genio della lampada e mi consentisse di esprimere tre desideri, cosa chiederei?
E’ un gioco utile, fa riflettere. In primo luogo sul fatto che ogni desiderio ha un rovescio della medaglia, ma questa è un’altra storia. Un giorno
Oggi ho rifatto il gioco, dopo un po’ di tempo.
Ecco i miei tre desideri.
- Vorrei un medico che invece di dire “è l’unica possibilità, ma non le garantisco niente” sapesse dire “sarà difficile, ma farò tutto quello che posso”.
- Vorrei che allo sportello in banca ci fosse qualcuno che invece di dire “non è di mia competenza, chiami quando c’è il risponditore automatico”, sapesse dire “non lo so mi informo, ripassi domani”.
- Vorrei una maestra che invece di dire “il mio compito è insegnare l’italiano, non l’educazione” sapesse dire “non so come fare, aiutatemi”.
Ma infine non ho potuto fare a meno di immaginare il genio ascoltare attento, stiracchiarsi pensieroso la barba a punta e decretare: il regolamento non contempla questa tipologia di desideri, eventualmente può compilare un modulo di reclamo e inoltrarlo al servizio clienti.
Carruba, mosca, palafreniere, ermetico, portulaca, montagna.
Queste sono le parole nelle quali oggi risuono.