giovedì 28 dicembre 2006

Pezzi di Londra


Katharine's Wharf è la scoperta di un angolo girato, lasciandosi alle spalle gli antichi torrioni e il ponte rinomato.


KW è sciabordio e silenzio, una finestra a bovindo illuminata, dietro ad un davanzale di bosso, e un trafficare di operai, scale e pennelli, di preparativi e attesa, e pareti color panna intonse, pronte ad accogliere una credenza solenne ed un paio di piedi scalzi che corrono verso una lampeggiante segreteria telefonica.


KW è la City ad un passo, ma come fosse un segreto, è gli yacht ormeggiati davanti al portone di casa, ed è anche questo monoalbero tutto di legno e questo berretto di lana blu.


E’ un divano di pelle, in un piccolo bar chiaro e semplice e profumato, ed è anche questo caffè da mescolare con la palettina di legno e da tenere ancora un attimo sotto al naso e fra le mani.


St_catherine_docks_2  KW è lusso e pace, ma è anche giovane e vivo divenire.


KW è Londra, ma è anche il Tamigi racchiuso nell’incavo di una mano. E’ la mia letterina a Babbo Natale, il libro che vorrei aprire, ed il luogo in cui vorrei tornare. Ma non sono sicura che esista davvero.


mercoledì 6 dicembre 2006

Sul perchè fare figli

Tempo fa un blogger che leggo spesso ha sollecitato una riflessione sul tema “perché gli esseri umani fanno figli” (to be continued?): in particolare, ha posto la seguente questione: “tra il vivere per fare figli, e il farne per accidente, e non sapere bene che cosa farne, se trasmettere e/o educare e il dire sì perché dà meno fastidio, esiste una terza via?



 


Ci ho pensato, come può pensarci una persona che ancora figli non ne ha e che ha intorno tante persone che figli ne hanno, e ne fanno, in modo diverso, per ragioni diverse. Ci ho pensato come può farlo una persona che si illude di poter guardare tutto questo con gli occhiali di chi “è fuori”, ma che è anche consapevole che questi occhiali forse altro non sono che un modo per rendere socialmente accettabile una paura. Questa premessa solo per dire che le riflessioni che seguono non nascono dall’esperienza, ma solo dall’osservazione e dalla riflessione, che, tra l’altro, non è mai del tutto neutra.


 



Comunque. Penso che almeno una terza via esista, e mi sono fatta l’idea che possa essere quella di fare figli non tanto, o non solo, per “fare” ma soprattutto per “essere”: per essere genitori.


 



Bimbi_piedi Provo a spiegare: credo che buona parte di noi esseri umani abbia in sé una spinta a “divenire” e, socialmente parlando, noi “diveniamo” assumendo diversi ruoli.


Siamo, o siamo stati, tutti figli. Siamo, o siamo stati, tutti amici, studenti, lavoratori, professionisti, o imprenditori, fidanzati, amanti, qualcuno è, o è stato, moglie o marito. E nei diversi ruoli mettiamo, o abbiamo messo, in gioco qualcosa di noi che è ricorrente e ci caratterizza nei diversi ambiti ma anche qualcosa che esprimiamo solo e soltanto in relazione a quello specifico ruolo.


Come dire che solo interpretando certi personaggi abbiamo la possibilità di far suonare certe nostre corde e magari anche di scoprire corde, e accordi, nuovi.


 


Il ruolo di genitori, in particolare, credo che ci costringa (o ci consenta, dipende dai punti di vista) a sperimentare e a mettere in gioco qualcosa di noi di assolutamente unico.


Forse quindi una possibile ragione che ci porta a fare figli è il desiderio di divenire genitori, di realizzare una potenzialità, non solo geneticamente attraverso la procreazione, ma anche socialmente attraverso un nostro nuovo modo di essere e di fare.


 



Non è un caso se molti genitori annoverano fra i momenti più emozionanti della loro vita quello in cui per la prima volta sono stati chiamati “mamma” o “papà”. Quello è il momento in cui il nuovo ruolo viene riconosciuto dal partner principale, dal figlio, senza il quale essere genitori non è possibile.


Non è un caso se molte volte scorgo nelle mamme che spingono davanti a loro un’ingombrante carrozzina quell’aria vagamente compiaciuta di chi ha raggiunto uno status sociale di cui è fiero, legittimamente fiero. Quello è il momento in cui ci presentiamo in società nel nuovo ruolo. E, si sa, senza un pubblico non c’è ruolo, non c’è personaggio.


 



Se poi, questa ipotetica terza via, sia una buona via, io ancora non l’ho capito.


Certo penso che se qualcuno fa figli perché desidera essere genitore allora tra il trasmettere o l’educare e il dire di sì perché da meno fastidio, un’altra modalità la dovrà quantomeno cercare, e dovrà essere una modalità che consenta a figli e genitori di esprimere quello che sono e che desiderano diventare. Altrimenti il gioco non vale la candela.

venerdì 1 dicembre 2006

Semplicemente, grazie

Capita a volte di trovare grandi scatole d’affetto dove meno te lo aspetti, un affetto limpido e chiaro e completamente inatteso come certe giornate di sole in pieno inverno.


Capita di inciampare in grandi scatole anonime, non certo vestite da regalo ed infiocchettate di luce e di colore, scatole senza un biglietto che ti dica “apri, c’è qualcosa per te”, insomma certe scatole che ti verrebbe spontaneo lasciare lì sulla strada e tirare dritto, tanto più che con tutte le cose che hai da fare non ti sembra proprio il caso di perderci del tempo.


Invece magari capita che quel giorno ti fermi e la apri e salta fuori come una sorpresa - neanche fosse quel famoso genio della lampada che ti sei preso la briga di strofinare –un grande affetto caldo e discreto e semplice e vero che non puoi far altro che sentirti grato, non in debito, come quando scarti un regalo e pensi subito “come farò a ricambiare”, soltanto grato e fortunato per aver pensato che potevi anche fermarti e aprirla, quella scatola che sembrava così anonima e invece non lo era.