sabato 27 febbraio 2010

Febbraio

Ho bisogno di sole come di carezze. Appoggio la guancia al tepore socchiudendo gli occhi, e penso resta ancora, o meglio non andartene mai più. Mi infastidisce il freddo dell’aria che senza riguardo si insinua fra la mia pelle e i raggi: vorrei che il vento restasse in rispettosa attesa o quantomeno che i rami ancora nudi dei tigli avessero la premura di trattenerlo, chè il sole è tornato e vorrei godermi un lungo, lungo, abbraccio.


lunedì 22 febbraio 2010

Ahimè non è solo un film di fantascienza...

1) ... e mentre fuori infuria la battaglia, lo spietato colonnello, l'impareggiabile stratega, contemplando il putiferio di esplosioni e raffiche di mitragliatrice, ad un tratto impartisce l'ordine decisivo, quello che solo una mente diabolica come la sua avrebbe mai potuto concepire. Attaccate Il Nemico.


2) ... lei, la donna della foresta, quella che gli ha insegnato come correre, come cacciare, come parlare, come sopravvivere. lei che è connessa con la grande madre natura, che trasuda saggezza millenaria dai giganteschi occhi felini, lei che combatte come una fiera. lei gli graffia il petto come una casalinga isterica e, tirando fuori una vocetta strozzata che richiama un aia ben più di una foresta, lancia un lacrimevole stridulo acuto "io mi fidavo di teeeeee".


 

lunedì 15 febbraio 2010

Una volta tanto

"Una volta tanto mi lasciai andare, senza volermi sentire superiore alla mia felicità, senza volermi guardare dall'alto o essere più intelligente dei miei sentimenti" (P. Auster)


Perché, in fondo, la felicità è una scelta o, qualche volta, una resa.


Resa, da rendere. Dare in mano. Consegnarsi nelle mani di qualcuno. Rinunciare al capriccio per cui il controllo dei propri sentimenti vale il prezzo del disprezzo della felicità.

domenica 7 febbraio 2010

Neve

C’era la neve, che turbinava in grossi fiocchi apparentemente privi di direzione e di qualunque simmetria.  Il cielo era bianco e bianca era la strada e bianca tutt’intorno la pianura. Bianca era la luce e, come la neve, apparentemente priva di direzione:  diffusa tutt’intorno a creare un tunnel bianco come un sogno. Solo i fari della vettura davanti alla sua sembravano dotati di autonomo colore e di autonomo movimento. Le sembrava che la sua auto fosse legata a loro come certi giocattoli, papera a rotelle tirata da un filo tenuto stretto da un’invisibile mano cicciottella.


I fiocchi di neve le venivano incontro sempre più veloci e puntualmente si impennavano verso l’alto a pochi centimetri dal suo viso. Le sembrava che avrebbe potuto procedere così per sempre: l’involucro caldo e tondo dell’auto a separarla dal bianco che aveva invaso il mondo, la voce di Phil Collins intorno a lei e dentro di lei la voce di sua nonna che diceva “guardate che tormenta, bambini” e aveva la sua solita risata nascosta dentro, e c’era la guancia di suo cugino così vicina alla sua che poteva sentirne il calore e il vetro si appannava dei loro respiri, aggiungendo altro bianco al bianco di fuori.


Ad un certo punto le capitò di desiderare che il parabrezza si infrangesse. Che l’aria fredda le toccasse la pelle e che i fiocchi di neve invadessero l’abitacolo, le bagnassero i capelli, il cappotto. Che la musica volasse fuori. Che lei stessa potesse infrangersi in una moltitudine di fiocchi bianchi e turbinare via. In cielo.

lunedì 1 febbraio 2010

Un poco di erba voglio

Ho imparato ad usare le parole come carezze, lievi trenini carichi di affetto. Ho imparato ad usare le parole come riccioli di pasta sfoglia, inutili fragranti divertimenti. Ho imparato ad usare le parole come stampelle, sostegno e retta via per zoppicanti divaganti pensieri.


Voglio imparare ad usare le parole come scalpelli, per rompere la crosta, per graffiare molto oltre la superficie. Voglio una striscia di muro andato in polvere, dopo il mio passaggio, e voglio che accada con le parole.