Hanno grandi case e giardini disordinati, antichi e
sontuosi. Ricevono spesso, con noncuranza; con quella consuetudine senza
confidenza, perfettamente ribadita da quei loro abiti informali esattamente
codificati. Una tabella che da sempre mi affascina e mi sfugge.
C’è sempre un pianoforte, ne sento il sottofondo anche se ha
il coperchio chiuso e nessuno ricorda l’ultima volta che è stato accordato. C’è
sempre un uomo, o una donna - più raramente una coppia - che le governa. Non puoi sbagliare, senti il
rumore che fa il grande anello delle chiavi appeso alla cintura. Li vedi che
passano a salutare, augurano la buona notte, offrono quell’esatta misura di
attenzione cui, di nuovo, il complesso codice mi sfugge.
Sono famiglie grandi e hanno strane forme, tenute insieme da
fili di molti colori, fili spezzati e riannodati, fili di fumo e fili di spago,
fili di lama e di zucchero filato. Viaggiano molto, iniziano da piccoli,
imparano a tessere. Vanno e vengono, in compagnia, tornano sotto i portici pieni
d’aria, sulle terrazze. C’è sempre una cena da mettere insieme, qualcuno
da fuori, provviste, cantine, e una camera preparata, dove lasciare la valigia
e l’intimità.
Le attraverso, queste famiglie che non sono la mia, come coccinella
fra le farfalle, curiosamente, lentamente. Intimidita dalle loro grandi ali,
ripiego strette le mie piccole, sotto i miei pois familiari.