sabato 29 settembre 2012

Il volo di Mattia

Capita, a certi bambini, di fare un viaggio speciale. Arrivano al check in nel giorno stabilito e invece della cicogna d’ordinanza trovano una nonna. Il che è un po’ come quando hai prenotato un viaggio in classe turistica e ti ritrovi con un upgrade in first class. O meglio in una first class super ultra lusso, perché fare il viaggio fra le braccia di una nonna è proprio tutto un altro viaggiare rispetto al fazzoletto appeso al becco di una cicogna. Significa, tanto per dirne una, arrivare sulla terra già ben provvisti di dolcezza e avendo già sentito nelle orecchie molte cose. Cose come lo stormire delle foglie, per esempio, e il rumore del mare e il crepitare di un camino e forse, chissà,  anche il battito ritmico di una palla da tennis ben giocata.

domenica 23 settembre 2012

Ma se

 
Ma se i colori e la luce dorata dell'autunno mi venissero incontro in primavera,
mi farebbero lo stesso effetto?

sabato 15 settembre 2012

FotoGrafia

Il mio riflesso, nel finestrino, sbadiglia. Ho una storia abbandonata sulle ginocchia e ciocche di progetti sfilacciati intorno al viso. Anche la pioggia è cessata. Ha lasciato laghi immoti lungo le strade e foglie grevi. Solo il volant della mia sciarpa estiva risplende chiaro e nitido, vispo. Sembra una mano che saluta, dal finestrino, l'autunno venuto a prenderlo alla stazione.

domenica 9 settembre 2012

C'era una volta


Ero salita sul treno proveniente da Bari irritata per la lunga attesa sul binario, per il caldo che stupidamente non avevo preventivato, per la presentazione che non avevo finito quando sarebbe stato il momento di farlo e per quella telefonata in cui non avevo – come al solito – trovato il coraggio di dire un semplicissimo no. Avvicinandomi alla carrozza numero 4 sentivo la presentazione da finire che mi bruciava nella borsa e il risultato del calcolo mentale che avevo appena concluso che mi lampeggiava sulla fronte: dovevo sbrigarmi se volevo finirla prima di arrivare a Milano. Quindi stavo già guardando spazientita il signore col marsupio che non trovava il pulsante per aprire la porta, quando finalmente la porta si era aperta.

Vociare, borse, valigie, sacchetti in ogni dove, odore di frittata e di frutta di stagione. Presi un respiro profondo e mi tappai mentalmente il naso nel tentativo di farmi largo verso il mio posto prenotato attraversando indenne quella sorta di gita scolastica, in cui però l’età media era di circa 78 anni. I miei vicini di posto, devo ammetterlo, mi accolsero con benevolenza, pronti ad introdurmi nell’allegra comitiva che – a quanto pare – aveva ben sfruttato il viaggio da Bari per fare amicizia. Fu però loro ampiamente sufficiente lo sguardo con cui attesi che liberassero il mio sedile da un fascio di riviste di gossip, due pericolose scatole di polistirolo gorgoglianti e quattro sospette palline di carta stagnola, per rendersi conto che non avrei contribuito granchè alla conversazione. Perfino la signora col golfino all’uncinetto che continuava a ripetere speranzosa ‘fa caldo anche qua, eh’ capì che non saremmo andate oltre un cenno d’assenso quando vide la rapidità con cui accesi il netbook, collocai il blackberry sul tavolino e mi rivolsi al finestrino.
Lo sforzo per isolarmi dagli scambi di grappoli di uva, biscotti, barzellette e aneddoti su ospedali, malattie e vacanze alpitour e riuscire a finire la presentazione, pur essendo notevole,  non mi impedì però di mantenere la concentrazione per scavalcare la bolgia bofonchiando buongiorno e farmi trovare pronta alla discesa prima che la masnada si mettesse in moto. Il telefono però squillò mentre il treno si fermava e io risposi mentre con l’altra mano aprivo la porta e coi piedi già iniziavo a scendere le scale. La custodia del telefono mi sfuggì e volò, lenta ma inesorabile, sul binario. Proprio sotto ai gradini della carrozza numero 4. Irraggiungibile per il mio ginocchio zoppo, e probabilmente anche per il mio tailleur. Rimasi lì un attimo, interdetta, mentre la masnada sfilava fuori dal treno con borse e pacchetti. Stavo per andarmene aggiungendo questo contrattempo alla lista della giornataccia quando la scena improvvisamente rallentò.

Mi era arrivato accanto un ragazzino, con i jeans sporchi di viaggio a metà sedere e un grande zaino sulle spalle. Guardò nella direzione dei miei occhi e poi cercò lo sguardo dell’uomo che lo accompagnava. Altro grande zaino, pantaloni da viaggio e gli stessi capelli color miele del ragazzino. Gli occhi del figlio chiesero, gli occhi del padre assentirono. Stavo per dire ‘grazie non importa’ ma in una frazione di secondo il ragazzino era già inginocchiato sul binario e poi mi porgeva la custodia, lo zaino su una spalla sola e due occhi così trasparenti e puliti che in quel momento la scena si fermò.

Mi sentii come se quegli occhi avessero preso in mano un gomitolo nero che stava da qualche parte dentro di me. Sentii una vergogna così profonda per quel gomitolo nero, ma anche una gratitudine così chiara da non ammettere sensi di colpa. Sussurrai un grazie che avrebbe voluto aggiungere qualcosa -  ma cosa? - e intanto lui aveva già ripreso a camminare lungo il binario e mi aveva risposto un prego così soddisfatto e fiducioso che non poteva lasciarmi dentro che una scia di luce. Come un dito su un vetro appannato.  Li seguii per un tratto, verso l’uscita. Il padre aveva messo una mano sulla spalla del figlio, due zaini sporchi di ritorno da un’avventura. L’ho immaginato raccontare ad una mamma attenta. L’ho immaginato dire ‘e poi c’era una signora che non sapeva come fare perché le era caduta una cosa sul binario’ e una parte non tanto piccola di me avrebbe voluto non essere quella signora.

sabato 1 settembre 2012

Settembre, andiamo!

Si dice che ogni crisi contenga in sé l’opportunità di un rinnovamento. Andrà certamente sprecata, però, questa opportunità, se non cova da qualche parte un progetto, un desiderio, un voler essere.
Sotto la cenere di questa Crisi mi pare nascondersi soprattutto la fantasia proibita di una resa. A tratti compare una tenace volontà di sopravvivenza, ma pare completamente mancare il frugare di quell’unica domanda che a mio avviso potrebbe svegliare nel bruco raggrinzito l’idea della farfalla: cosa vorremmo essere?
Sento solo l'irrequietezza accidiosa e cupa dei bambini che guardano cadere dalla finestra la prima pioggia d’autunno. Settembre, andiamo: è tempo di migrare…..