martedì 18 luglio 2017

Andar per monti

Io e mia sorella in montagna ci dividevamo equamente i genitori.  La terza sorella proprio da quelle montagne, dice la leggenda familiare, di lì a poco sarebbe arrivata, con la sua consueta ventata di novità e rivoluzione. Ma a quel tempo due bambine e due genitori eravamo, ad avventurarci sui sentieri, e la composizione delle squadre era prevedibilmente bilanciata.

Due davanti e due dietro, sul sentiero. Mia sorella per mano alla mamma, nota dispensatrice di generi di conforto simbolici e sostanziali, ed io avanti trotterellando fiera accanto al papà. Poi la sosta per il pic nic. Mia sorella con la testa fra le ginocchia – e i profumati involti – della mamma, io a cercar tane di marmotte fuori dal sentiero o mettere il naso nei rifugi a caccia di un caffè con il papà. 

Mi piace pensare che sia per questo che ho sviluppato con mia padre la complicità della trasgressione adulta, lo strizzarsi d’occhio di chi quatto quatto esce dal perimetro delle gonne materne e va in esplorazione. Che sia la vetta del Puez, un lavoro indipendente o l’ennesimo caffè. Cosa ci sarà dopo la curva? Chissà... Andiamo? Andiamo. 

Ma invariabilmente, quando si avvicinava il momento di salire in seggiovia o di affrontare un passaggio critico sulle rocce,  la vocina squillante della sorellina piccola sparigliava le carte: io sto col papà. Li vedevamo salire e prendere il volo e c’era sempre quello sguardo fra me e mia madre, mentre la seggiovia girava intorno alla ruota e noi iniziavamo a piegare le ginocchia. Siamo io e te. Pronta? Via.


Mi piace pensare che sia per questo che ho sviluppato con mia madre la complicità del coraggio, del ce la facciamo da sole. Che sia all’inizio di un viaggio, nella camera di un ospedale o di fronte alla ricetta del souffle. Hai paura? Sì. Anche io, andiamo.