mercoledì 28 dicembre 2005

Ed è stato Natale

E' stato Natale.


Con cappelletti, alberi e regali. Abbiamo mangiato, sbadigliato, sparecchiato. Resta un rimorso lieve di qualche chilo e un filo di cellulite (ma dai, tanto quella c’era anche prima). Restano polpette da riscaldare, pandoro a colazione e un ricciolo di nastro d’argento incastrato sotto al divano.


Ma resta anche l’eco di una poesia che abbiamo letto insieme vicino al presepe (sembrava un caso, ma non lo era), resta il ricordo di un nuovo musetto di bambina che si intimidisce davanti a babbo natale, resta un abbraccio lungo lungo davanti alla porta (il vischio non c’era ma era come se ci fosse), da parte di qualcuno che abbiamo saputo sorprendere, resta un biglietto scritto con il cuore da qualcuno che ha avuto molto tempo per pensare.


Non è vero che il Natale è vuoto: è vuoto solo per chi non vuole aprirgli la porta e per chi non ha lo spazio per conservarne il ricordo.  E’ vuoto per chi se ne tira fuori perché tanto “tutti i giorni sono buoni”, e questo è vero, ma se non ce lo scriviamo sull’agenda di tenerci il tempo per stare a tavola a sbadigliare - e per cercare un’idea che sorprenda qualcuno e per leggere insieme una poesia - tanto alla fine non ce lo prendiamo quasi mai, e allora il 25 dicembre è un buon giorno per tenerci questo tempo, per accarezzarlo e goderlo e ricordarlo. Ed è un buon giorno per dire una preghiera, anche per chi la dice solo una volta all’anno.


Quindi, per una volta, non sarò io la snob: il Natale esiste.

venerdì 16 dicembre 2005

A proposito di Qualità Totale

Plic aveva solo cinque anni quando la maestra disse loro di fare un disegno. Lo disse così, come se fosse una cosa da nulla “fate un disegno”.


Plic non sapeva nulla, sapeva solo che quella mattina aveva ancora molto sonno quando l’avevano svegliato, ma lui  non aveva fatto domande, o forse non ricordava più le risposte. Fatto sta che aveva varcato il cancello ed ora era lì, con tutta quella folla di bambini come se fosse una cosa normale.


Dunque Plic era molto piccolo quando la maestra disse loro di fare un disegno.


Plic pensò “ecco cosa sono venuto a fare” e si disse “farò un palazzo, e lo farò grandissimo, con scaloni di marmo e giardini e fontane”. Disegnava Plic, e cancellava, e pensava “no, qui farò un lago, no, qui un salone da ballo” Disegnava Plic, e accartocciava, e pensava “no, disegnerò un mostro, con i denti di uno squalo e dodici teste” e cancellava “no, le lingue di fuoco”. E poi “uffa basta disegnare, quando andiamo in cortile?” e accartocciava “no, farò un’astronave con mille luci” e disegnava e cancellava.


Plic aveva solo cinque anni quando la maestra si inginocchiò e con gli occhi molto vicini ai suoi gli disse “disegna solo un fiore, ma il fiore più bello che tu possa immaginare”.


Plic ha cinquantacinque anni oggi, e sa cosa è venuto a fare: solo un fiore, ma il fiore più bello che può immaginare.

sabato 3 dicembre 2005

Pensiamoci su

Qualche giorno fa ho letto di un liceale statunitense che, arrivato in Italia per uno scambio fra scuole, si presenta entusiasta ai compagni dicendo: “non conosco l’italiano, ma non c’è problema perché parlo il latino”. Vi immaginate l’attimo di silenzio in classe? I ragazzi che non riescono a capire se devono ridere o no? Questo giovane a stelle e striscie atletico e sorridente (che, notate bene, nella sua città ha cambiato scuola perché la sua insegnante di latino  “non era abbastanza entusiasta”), non vede l’ora di arrivare in Italia per parlare latino e toccare con mano la nostra straordinaria antichissima cultura.


E cosa trova?


Trova un paese che, notizia di poche settimane fa, ha il più alto tasso di ignoranza d’Europa: sembra che i giovani italiani in età scolare abbiamo scarsissima capacità di leggere, scrivere e fare i conti, nonostante gli altisonanti titoli delle materie che studiano e i moderni metodi didattici di cui possono fruire.


Trova un paese in cui Dante lo leggiamo solo a scuola sbuffando, i sette re di Roma sono una filastrocca come i sette nani, e, a Roma, ci lamentiamo perché la metropolitana è uno schifo, sottoterra c’è pieno di reperti e non si può scavare la terza linea.


Ciò che il mondo ci invidia e per cui (forse) ci rispetta non è che una fasulla immagine pubblicitaria. Niente di diverso da quando sono andata in Scozia per scoprire che i famosi castelli non erano che finte ricostruzioni acchiappa-turisti.


Pensiamoci su.