lunedì 26 marzo 2012

Salutando Antonio Tabucchi

'Finestre: ecco ciò di cui abbiamo bisogno, mi disse una volta un vecchio saggio in un paese lontano, la vastità del reale è incomprensibile, per capirlo bisogna rinchiuderlo in un rettangolo. '
(A.Tabucchi, Si sta facendo sempre più tardi)


lunedì 19 marzo 2012

Dedicato a chi accetta le sfide - 3

Ha un nome  difficile da pronunciare, che inizia appuntito e tintinnante e finisce con un’onda melodiosa. Fa pensare al modo in cui i suoi capelli ricci e irti sembrano aver radice in un paio di occhi molto grandi, molto neri e molto dolci. Indossa un paio di giovani jeans che fasciano le giovani gambe snelle ed una giacca dal tono professionale che le calza a pennello.

Arriva al colloquio in anticipo e decisa a piacere, senza clamore. Snocciola la sua storia come se volesse scrollarsela di dosso. Come se volesse avvertirmi che è disposta a raccontarmela ma non ha nessuna intenzione di barattarla con la mia benevolenza.

E’ nata a Casablanca ed è arrivata in Italia a 4 anni, con una mamma analfabeta e velata e un papà che ‘ha presente lo stereotipo del commerciante marocchino? Ecco uguale: dal kebab alle auto usate passando per le magliette e il banco da ambulante’. E sulla sua fronte compare per un attimo la scritta ‘e io gli voglio bene, maledizione’ ma è solo un attimo, poi scompare. Andiamo avanti. Ho studiato anche se i miei genitori non volevano. Sì certo che l’università me la sono pagata. Mi sono pagata anche l’affitto, ovvio. E se è per quello ho pagato anche per mettermi i jeans e per non sposare a 18 anni il figlio del fratello del cognato, ma c’è altro di me da sapere.

La tesi in Giappone, per esempio, perché avevo bisogno di capire cosa voleva dire essere me senza essere né una donna araba in occidente, né una studentessa occidentale in una casa marocchina. Volevo imparare una lingua che fosse straniera per tutti quelli che conoscevo. Oppure quell’estate che ho venduto porta a porta in Andalusia perché mi sembrava che il mio spagnolo non fosse ancora abbastanza buono e ho fatto amicizia con tutte le vecchiette del paese. Ma ha anche venduto qualcosa?  Mi guarda un po’ strana:  bè certo, se no perché mi avrebbero tenuta?  Già. E poi la tesi del master in Libano, perché volevo imparare l’arabo quello vero, non quello che parlano tutti nel quartiere dove abito. Abitavo. Abito. Non lo so, perché tutto ciò che possiedo sta in una valigia da 20 kg, compresi vestiti, scarpe e pc, ma in quella casa di quel quartiere c’è uno scatolone con puzzle e fotografie e libri e ci sono le persone da cui torno dopo ogni esame, anche se lo so già quello che mi aspetta io torno, torno sempre. Poi quando sarà il momento quello scatolone lo porterò fra altre mura, che chiamerò casa. Perché una casa ci vuole. Anche se solo per avere un grande armadio e sapere che puoi tornare a guardarci dentro, qualche volta, no?

Ma adesso torniamo a noi, perché è un lavoro quello per cui sono qui. Un lavoro che dia da mangiare a me e alle mie ambizioni, che mi metta davanti alla vita e in cui ci sia da vincere o da perdere, e che questo dipenda da me. Sì dottoressa, lo so che questo lavoro è difficile a 27 anni, soprattutto se sei una donna, soprattutto se hai un nome come il mio. Ma ho guadagnato il rispetto di chi ho deluso e mi creda: saprò guadagnarmi anche il suo.

In effetti sì, le credo.

lunedì 12 marzo 2012

Certe conversazioni

Certe conversazioni sono come ricevere una lettera anonima, con i caratteri del giornale incollati a formare una frase tutta storta.  
Puoi anche gettarla nel cestino, ma continuerai ad averla in mente e l’indagine è già cominciata prima che tu possa dire ‘via’. Andrai anche a ripescarla, fra le buste delle bollette e un biglietto del treno, e proverai a lisciarne le pieghe cercando dietro ad ogni dettaglio un pezzettino di senso. Te la porterei addosso per tutto il tempo, come un presagio o come l’odore di un luogo dove sei stata.  Quand’eri lì non lo sentivi, ma dopo te lo senti nel cappotto e nei capelli e ti sembra non riuscire più a trovare l’uscita.
Ad un certo punto capirai. Capirai poco alla volta o tutto ad un tratto, la sera stessa o dopo mesi. Non importa, quello che è certo è che saprai di aver capito quando la soluzione calzerà come un guanto sulla sensazione che hai provato aprendola, quella lettera, la prima sensazione. Il sapore che hai sentito in gola. Il rumore che ha bussato nella gabbia toracica prima che il tuo cervello chiedesse chi è. Sì, proprio quella sensazione che per tutto il tempo hai cercato di ignorare.

sabato 3 marzo 2012

Qui Pianeta Prishilla

'Io non credo che invecchiamo. Credo che mutiamo continuamente la faccia che presentiamo al sole.'
Virginia Woolf

Mi piace pensare che in questo preciso momento c’è una parte di me che sorseggia un aperitivo su una terrazza affacciata su un rosso tramonto e un’altra parte di me che sta facendo colazione con latte e nesquik, dondolando i piedi nudi dalla sedia della cucina, mentre la me stessa che scrive sta dando una mescolata agli spaghetti, nella grande pentola di acqua bollente del mezzogiorno.