sabato 6 dicembre 2008

San Luca, un pomeriggio d'inverno

La sacralità di una chiesa è perfetta per contenere certi fardelli, certi doni, o certi segreti. Quelle cose che colgono l’essere umano, ad un certo punto di quel famoso cammin, e che sono più grandi del cammino stesso, e di quella sorta di cantina o di soffitta che a volte sembra essere il nostro cuore. Parlo di quei doni, quei segreti o quei fardelli che hanno bisogno di silenzio e penombra e parole che si ripetono accarezzando la soglia della coscienza, per potersi sciogliere un poco ed entrare a far parte di noi, come le pastiglie che si sciolgono nell’acqua. Come l’acqua che diventa vino.


Dunque davvero non hai poi grande importanza quale sia il dogma o la disciplina, chi siano i santi del nostro paradiso nè in fondo qual sia la forma che assume il nostro peccato originale collettivo, se quello che ci fa aprire la porta di una chiesa è il bisogno di uno scrigno che ci contenga mentre ci trasformiamo.

6 commenti:

  1. Cara Priscilla,

    ti vorrei chiedere se mai sei stata sotto una cupola alta fessurata a ragiera, dove la luce traffigge l’umidità diffusa e se mai nuda hai camminato con altre donne nude sul pavimento lastricato di calda lucidità; se ti sei appoggiata su una pietra di basalto, sciolto i capelli, respirato forte, pensato col sonoro dell’acqua che viene giù nebulizzata, se lentamente ti sei persa e ritrovata in quel segreto tempio che sono i bagni turchi.

    Ti abbraccio

    AlfaZita


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  2. ..."il bisogno di uno scrigno che ci contenga mentre ci trasformiamo"...

    E a volte è difficile scegliere se trasformarsi in seta, o in farfalla...


    ciao, Sara

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  3. Ciao Alfazita, che bella evocazione la tua!



    Ciao Sara, hai ragione: a volte è difficile scegliere, altre volte, invece, è difficile accettare di non scegliere...!



    A presto, un caro saluto

    Prish

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  4. Entro spesso in chiesa (nelle chiese antiche, soprattutto) e lascio andare i pensieri, indirizzandoli verso l'alto. Non sono preghiere nel senso che non ricorro a formule prestabilite: sono libere associazioni ispirate dal luogo (ecco perché evito le chiese moderne che sembrano capannoni) in cui cerco di ringraziare prima di domandare. Mi riconcilio con la parte più profonda di me, e dopo ho la sensazione d'essere più leggero.

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  5. Certe volte in vecchie chiese sono entrata con un fardello opprimente addosso, ho respirato l'incenso e i pensieri, in quel silenzio musicale di luci e penombre, di segni e atmosfere reali o immaginarie, si sono scatenati facendo ballare il cuore forte. Un turbamento. E poi una grande speranza. Fino ad allentare la tensione. Ma con le emozioni intatte. Come se il picco della sofferenza fosse anche il principio di una quiete possibile...

    Forse suggestione. O bisogno estremo che fa sognare ad occhi aperti. O spiraglio di fede. O semplicemente umana immersione in una dimensione di pianto, ricerca, rinascita...

    Mi tocca un pò tanto questo post.

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  6. Le "preghiere" di Pim, la "rinascita" di Irene: bello questo raccontarsi attraverso l'esperienza dell'"entrare in chiesa". Grazie per questi vostri ricordi! Buona giornata, Prish

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