Si lo so che non mi piace il calcio. Nè il pullmann dei
tifosi, nè gli stipendi dei calciatori e gli annessi e connessi, e neppure le
venticinque pagine sui quotidiani del lunedì.
Però certe sere d'estate ci sono le seggiole di plastica sul prato davanti al gioco bimbi del mio palazzo e la tv grande che quello del pianterreno ha collegato, e c'è un bambino biondo che chiede 'papi ma stasera ci sono i fratelli d'Italia?'. E poi quel silenzio nelle strade, ad una cert'ora, e quel disappunto che esce d'improvviso da tutte le finestre dopo quel fiato sospeso collettivo, che pareva che perfino i lampioni del vialetto perdessero un colpo, ecco si, insomma, non che mi piaccia ammetterlo, ma certe sere d'estate me lo dimentico, che a me non piace il calcio.
Coloro che pensano che il calcio sia solo un gioco vedono solo un aspetto, talvolta, paradossalmente, neanche il principale. Il calcio è un fenomeno multidimensionale, racchiude sensazioni, pensieri, immagini, ricordi, individuali e collettivi. E' anche un rito, come lo descrivi tu, con tanto di officianti (in mutande e scarpe coi tacchetti) e fedeli (mezza popolazione italiana, in certi casi). Un rito che unisce (tifosi e avversari) e rassicura (anche in caso di sconfitta).
RispondiEliminaCiao Prish, buona giornata.
Pim
Giusto Pim: un rito. Questo, effettivamente, spiega tutto! (e mi rassicura anche sul fatto che non sono poi necessariamente schizofrenica :-)
Eliminaa presto, buona serata
Prish