domenica 7 novembre 2010

Senza titolo 1

17 commenti:

  1. Lo capisce persino un antimatematico come me... [IMMAGINE]

    Buon lunedì, ciao.
    Pim

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  2. per fortuna pim. ma dici che anche i matematici lo capiranno..? ;-)))

    buona settimana anche a  te,
    prish

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  3. E' come dire che l'ottimo è il peggior nemico del buono.

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  4. non esattamente: l'ottimo che viene dopo il buono è suo amico, lo migliora, l'ottimo che viene prima del buono invece è suo nemico, lo sminuisce.
    :-)

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  5. Contesto!
    1) non è definito il tipo di attività e di risultato cui si fa riferimento.
    2) non è definito il concetto di "tempo": tempo impiegato per svolgere l'attività? - tempo (età o altro) in cui si possono raggiungere determinati risultati (ancora: in che ambito?) - o cos'altro ancora?
    3) esiste una misura "assoluta" di risultati la cui valutazione non sia collocata in un adeguato contesto?
    3) l'ipotesi che la curva "gaussiana" fornisca una corretta relazione tra tempo e risultato è, senza adeguate premesse, una pura astrazione senza fondamento.

    Se i matematici non capiscono le funzioni, curve o equazioni, pensate dai filosofi sarà solo per la loro limitatezza, o forse i filosofi, a volte, non riecono ad esprimere in termini matematici le loro idee (che così esposte sembrano non corrispondere a concetti adeguatamente definiti ma solo a vaghe intuizioni non completamente meditate e collocate in adeguato contesto)?

    Un lettore poco esperto sia in matematica e sia in filosofia.

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  6. Rispondo! (premettendo che, se è ovvio che non sono esperta di matematica, confesso candidamente di capire poco o nulla anche di filosofia)

    Parto dall'ultima considerazione, per specifcare un aspetto che mi permetterà poi di contestualizzare meglio anche le risposte agli altri punti:

    - I "non addetti ai lavori" utilizzano talvolta un linguaggio che strizza l'occhio alle scienze matematiche in senso mataforico, non letterale (dunque, per definizione in modo impreciso e talvolta, addirittura, improprio). Il fine infatti non è quello di "dimostrare" una teoria rifacendosi a costrutti matematici, bensì quello di "illustrare" un'opinione o un pensiero attraverso una modalità inconsueta, nel tentativo (sempre arduo) di suscitare in chi legge (o ascolta) quell'attimo di "stupore" (sospensione, disordine mentale...) che apre uno spiraglio nelle sue convinzioni e nei suoi schemi mentali consentendogli di metterli in discussione, di vederli sotto un'altra luce, e, quindi, di prendere seriamente in considerazione un'idea nuova, diversa. Sappiamo bene che per comunicare efficacemente un pensiero qualche volta serve far uso di un po' di "incanto": il linguaggio matematico usato in senso metaforico talvolta può assolvere questa funzione.

    Ok, detto questo procedo a rispondere agli altri punti (a ritroso), articolando meglio il pensiero sottostante la mia maldestra metafora.

    4) non c'è nessuna ipotesi che la gaussiana fornisca una corretta relazione fra tempo e risultato, bensì: quando e se, la relazione fra tempo e risultato è riconducibile alla campana di gauss, allora due risultati uguali avranno valenza diversa nella percezione soggettiva qualora si verifichino in tempi di diversi
    3) la riflessione si inserisce nel contesto dell'autopercezione e della soddisfazione individuale: cosa significa, per me, il risultato che raggiungo
    2) il concetto di tempo qui adottato è semplicemente quello di "kronos", il tempo che scorre, l'età, il prima e il dopo insomma, non il "tempo impiegato per quella attività"
    1)consideriamo tutti quei risultati che possono essere misurabili secondo parametri pseudo-oggettivi e non eccessivamente/imponderabilmente influenzabili da variabili diverse dall'abilità e dall'impegno individuale (tanto per fare un esempio: numero di vasche a nuoto in 30 minuti, grado di croccantezza della pasta frolla, errori in un compito di matematica ...). Io ovviamente ho in mente un ben preciso tipo di risultato, ma la "provocazione" è proprio quella di "andare a vedere" se persone diverse, pensando a sè stesse e quindi a diversi risultati "rilevanti per sè" si ritrovano in questo ragionamento.

    Che fatica! Grazie per la "sfida", Prish

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  7. Eccepisco!
    Con tutte le dovute premesse del caso, peraltro sovrapponibili a quelle ampiamente discusse, ritengono valido il concetto che l'ottimo è nemico anche del primo buono.
    Infatti la domanda da porsi è anche se ha senso raggiungere l'ottimo, se ne vale lo sforzo/beneficio; qui la statistica ci andrebbe a nozze, su ampiezza della campana, pendenze, punti di flesso ....
    Quindi per me la regola è di organizzarsi per arrivare al buono e solo dopo valutare se andare all'ottimo (ammesso di esserne capaci), capendo anche con l'esperienza nel frattempo maturata com'è fatta quella curva lì, se ne vale la pena.
    D'altronde che il come abbia la stessa o a volte superiore importanza del cosa è altrettanto cosa nota; quindi non è solo il risultato (cosa) che conta, ma anche il come è stato raggiunto.
    Sul piano personale della percezione soggettiva probabilmente il come la fa da padrone.

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  8. Confuto e integro!

    confuto: se non raggiungo l'ottimo, stesso ragionamento varrebbe fra sufficiente e buono ;-)))

    integro: certo che è cosa nota che il "come" conta ben più del "cosa", io però aggiungo che il "quando" conta più del "cosa" e talvolta anche del "come"

    o no?

    p.s. dibattere con un anonimo interlocutore, per quanto piacevole sia il dibattito e arguto sia l'interlocutore, mi lascia un chè di indefinito: scopri il volto o adotta uno pseudonimo, please!

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  9. A proposito dell'ottimo e del buono, sono d'accordo con Chersterton che disse "se una cosa vale la pena d'esser fatta, tanto vale farla male".

    E penso che significhi che comunque meglio una cosa necessaria fatta anche se mal fatta, che non fatta.
    Si dice che il meglio è nemico del bene proprio per questo, credo. L'ottimo può essere un alibi per non fare nemmeno il buono (o il "fatto male" ma fatto)

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  10. Sul "quando" non ho una regola fatta e vissuta, non saprei esprimermi in una direzione precisa. D'altronde per me il tempo è decisamente gassoso......

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  11. Ciao Biz, Chesterton dice in effetti una cosa molto saggia. Credo anche io che il significato originario di "il meglio è nemico del bene" sia proprio questo. Però, ampliando il senso della frase, possiamo anche intendenderla come  "una volta che hai provato il meglio, il bene non ti piace più".

    Tipo: dopo aver provato il tiramisù di una certa persona (secondo la quale, peraltro, il tempo è gassoso, ma non so se questo abbia a che fare con qualità del tiramisù ;-)) tutti gli altri tiramisù che prima mi piacevano non mi piacciono più............

    Prish

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  12. Si. Ma il "meglio" nell'istante t 1 allora è il "bene" (mentre nell'istante t 0 era "il meglio").
    Ancora su questo, mi hai fatto ricordare che un mio maestro d'architettura diceva che, per vedere se un progetto andava proprio bene, bisognava disegnarlo "male" (cioè senza alcun compiacimento, imbellettamento ecc.) Se disegnato brutto teneva, allora era ok.
    Forse questa regola può essere estesa ad altre cose. Alcune cose sono "meglio" per fattori non essenziali, non determinanti; a volte gli abbellimenti del meglio servono a nascondere cose che non sono "bene".

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  13. Mi piace molto il metodo di quel tuo maestro. Secondo me vale anche per le idee: se un'idea tiene anche quando è espressa maldestramente deve essere proprio valida. Perchè, come si diceva un tempo: qualunque affermazione, se ben formulata, riesce ad apparire intelligente .......

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  14. Da # 5  - Tralasciando le questioni matematiche, in realtà il mio “contesto!” è derivato dalla sensazione  che si volesse sostenere che un buon risultato ottenuto dopo uno migliore (buono dopo ottimo o mediocre dopo discreto poco importa) debba essere considerato negativamente.
    Secondo me ogni risultato, indipendentemente dal suo valore assoluto, ha valore per sé stesso e nel contesto, anche temporale in cui è raggiunto. Se è “il meglio che potevo fare in quel momento” vale come (e a volte di più) di un traguardo più alto raggiunto prima e in altre condizioni. Non è vero quindi ( o non sempre è vero) che il buono venuto dopo l’ottimo debba avere minor valore o sembrare meno “saporito”.
    Se un sentiero che mi fa salire di 500 m. mi costa oggi 3 ore mentre una volta mi erano sufficienti 2 o anche meno, oggi, oggi arrivando alla stessa meta, sono più soddisfatto di quanto lo fossi 15 anni fa anche se il risultato era “migliore”.
    PS
     - Se vuoi uno pseudonimo potrei dire “il rompi”, e mi fa piacere aver  suscitato un po’ di scompiglio.
     - Il tuo commento # 2 mi ricorda una antica barzelletta che raccontava di un matto che credeva di essere un chicco di grano.

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  15. Sono effettivamente quella del tiramisù (grazie per l'apprezzamento del mio dolce).
    Caro Biz, tu mi fai fare un pò di pace con gli architetti (vil razza dannata); la regola del tuo maestro è fantastica.
    A me d'altronde piace molto il nudo e crudo, far parlare i fatti e i numeri che a mio parere hanno una loro poesia, senza troppe interpretazioni o meglio senza manipolazioni (e il limite  non è facile da trovare).
    Pertanto da qua in poi mi astengo; o mettiamo un pò di valori in questo diagramma o io mi perdo, ma ascolto volentieri.

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  16. Ciao Rompi-scompigliatore (ah, bellissima quella del chicco di grano). La tua sensazione era in parte corretta: la mia esperienza mi dice che un buon risultato ottenuto dopo uno migliore non da la stessa senzasione di quando lo si ottiene prima di uno migliore (non che "debba essere considerato negativamente" ma che "di fatto" viene vissuto negativamente). Al di là che questo sia giusto o sbagliato e delle razionalizzazioni che possiamo farci sopra dicendoci che le condizioni sono cambiate.... impiegare 3 ore per percorrere un sentiero che un tempo riuscivo a percorrere in 2 ore ... mi da sui nervi!! In altri termini: ho la sensazione che il trend conti molto (molto molto) più del valore assoluto nel determinare il livello di soddisfazione percepita!
    Un saluto e a presto, Prish

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  17. Ciao regina del tiramisù. Che tu ti perda mi suona proprio strano (quella che si perde, da che mondo e mondo, sono io!). Comunque. Un po' di valori li abbiamo messi, alla fine. Ma, a mia modesta opinione, quel che più conta è che ci siamo fatti due chicchiere e, personalmente, ho avuto la sensazione di far girare qualche rotella nella testa, così per gioco. :-)

    a presto, Prish

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