sabato 1 marzo 2008

Leichiè?

Lei chi è?” era quello che stava scritto in tutti gli sguardi che si voltarono verso la porta quando lei entrò nella sala riunioni. A volo radente passò in rassegna coppie di occhiali senza montatura, di eyeliner rigorosi, di tempie irrimediabilmente scoperte mentre si chiedeva quale sarebbe stata davvero la risposta giusta. Sorrise disse il suo nome e porse i biglietti da visita. Oltre a ribadire il suo nome e la sua professione, i suoi biglietti da visita dicevano che era una persona di gusti semplici ma eleganti e che aveva acquistato i suoi biglietti nel miglior negozio della città, quindi ci teneva a fare bella impressione. Certo, ma chi di sé stesso direbbe di avere un gusto pacchiano? Riguardo al fare bella impressione a denunciarla sarebbe bastato quello stupido sorriso con cui salutava chiunque. A volte pensava che se qualcuno le avesse dato un pugno in faccia abbastanza forte da farle cadere un incisivo almeno l’avrebbe piantata di sorridere in quel modo. Sarebbe stata l’unica maniera.  Dunque coi biglietti da visita non aveva risolto un bel niente. Infatti la domanda era ancora nell’aria.


....


Lei era quello che tutte le persone intorno al tavolo prima o poi erano o sarebbero state. Non abbastanza giovane da definirsi una brillante promessa, non abbastanza vecchia da definirsi una professionista esperta ed affermata. Non così bella da far voltare nessuna testa, non così brutta da far passare in secondo piano il suo essere femmina.


Le capitava molto spesso che la scambiassero per qualcun altro. Il suo primo capo le aveva detto che il motivo era che lei era prototipica. Prototipica di quale categoria? Aveva chiesto lei. Ma non aveva mai ricevuto altra risposta che un sorriso esattamente a metà fra l’ammiccante e il paterno. Lo stesso sorriso con cui tempo dopo altri le avevano detto “fa piacere averti intorno” mentre lei faceva bella mostra della sua precisione, del suo spirito di iniziativa e della sua rapidità nell’imparare.


.....


C’era una vetrata alle spalle dell’uomo con pochi capelli e la cravatta blu e oltre la vetrata si intravedeva il profilo delle montagne, lontane lontane ma nitide, proprio come lei aveva sempre visto quello che un giorno avrebbe voluto diventare. In quel momento decise che quel giorno avrebbe guardato dentro ad un binocolo e, camminando intorno al tavolo - e a quella domanda ancora sospesa-  ebbe cura di mettere la punta della sua francesina testa di moro sul quell’accidente di prototipo e promise a sé stessa che avrebbe provato ad essere quello che avrebbe voluto diventare.


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(con un grazie a Biz che mi ha dato il la ...)

11 commenti:

  1. Sì. Pensierosa eppure lieve. La tua letteratura a volo radente.


    Stasera la segnalo nella rubrica IL SUGGERITORE del blog-rivista che sta diventando un sito-rivista.


    Finendo di leggere il tuo racconto ho immaginato la tua eroina salutare una lei o un lui sussurrando, con un sorriso intelligente, 'Lei non sa chi ero io.'

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  2. Ogni volta ho bisogno di "metabolizzare" i tuoi post. Anche quelli di poche righe, figuriamoci quelli con tanti.

    Poi commenterò; per ora ciao :-)

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  3. * Saette, grazie per la segnalazione e per la bellissima frase ad effetto, la considero un ottimo auspicio, per la mia eroina e per me!



    *Biz mi fai temere di essere sempre meno.. digeribile?? ;)

    Aspetto le tue sempre sagge considerazioni, buon lunedì



    Prish


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  4. Come prima cosa:penso che tu la sappia raccontare...

    Poi Saette è stato fulminante!

    Infine che bello provare ad essere quello che avrebbe voluto diventare...Che poi non è questo il vero asso nella manica?!

    :))

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  5. Ah volevo dire anche...molto digeribile ma da degustare con raffinata attenzione.

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  6. No appunto, volevo dire che non è "fast food", non che sia una "mappazza". ;.)

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  7. grazie... e... ehm... dopo queste vostre lusinghiere metafore credo che mai potrò invitarvi a cena a casa mia, chè senz'altro cambiereste opinione! ;))

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  8. è comunque bello essere una figura "mediana"...... essere normali credo non sia un difetto.....

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  9. non è di certo un difetto, francesco, tutt'altro, però può diventare un limite qualora ci si senta implicitamente in obbligo di aderire al modello che rappresentiamo. non trovi?



    grazie della visita, prishilla

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  10. L'identità in fondo è sempre un gioco di specchi. Più volte o meno riflessi.

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  11. Giusto Biz. E "Lei" ha provato il desiderio di tirare un sasso nello specchio. O almeno questa vorrebbe essere la storia....

    :) ciao prish

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