Quando diciamo “mi fa male” quasi tutti ci chiedono “dove” ma spesso dimenticano di chiedere “come”.
Eppure c’è un dolore che è morso di cane, c’è un altro dolore che è topo che rosicchia ed un altro ancora che è battere di tamburo. C’è un dolore che è una lama scintillante, e poi c’è un dolore che è una girandola di spilli. Ci sono dolori liquidi che scorrono bollenti e dolori di cemento che preme. Ed ancora dolori che chiedono aria e altri che chiudono i denti. Ci sono dolori gialli, che riempiono la bocca di nausea, dolori rossi e dolori grigi. Dolori che annodano e dolori che strappano e tirano. Dolori che esplodono schegge e dolori che piovono nelle fessure.
Sensazioni così diverse a cui diamo lo stesso nome: cos’è che le accomuna a tal punto da condividere un nome? L’ineluttabilità? L’urgenza del loro cessare? L’estraneità? Tutto questo o nulla di tutto questo e qualcos’altro ancora? Cosa significa “mi fa male”?
Ovvero l'insufficienza delle parole
RispondiEliminaStrano, se pensiamo che alcuni popoli hanno decine di parole per indicare il ghiaccio.
Il dolore è un'esperienza molto più universale. Tutti ci tagliamo. Tutti soffriamo per amore. Eccetera.
Eppure, abbiamo una scatola sola in cui mettiamo tutto, il dolore, il far male.
Strano. Forse per tenersi al di qua della soglia? Per non dover rivivere precisando, rassegnandoci all'insufficienza quando il momento arriva?
Mont
E' strano, ma a me viene da stringere i denti e chiudere gli occhi a fessura solo leggendo la tua descrizione dei dolori con il respiro che si autosospende e un piccolo tuffo al cuore; immagino nel tentativo di sfuggire alla sola idea, come se non volessi sentire o ricordare. Se tutti fossero come me di certo non si riuscirebbero a trovare le parole per parlare di come ci fa male e forse questa è una piccola spiegazione del perchè non ci sia una geografia condivisa.
RispondiEliminaMa allora come si affronta un dolore che conosciamo benissimo e si presenta puntuale ad ogni appuntamento? Dimenticandolo e riscoprendolo ogni volta, aspettandolo al varco e studiandolo sempre più in profondità, impegnandoci nel vano tentativo di scappare, ...? Non so, ma alla fine forse l'importante è esserci all'appuntamento e combattere.
Sì Mont, il desiderio di tenerci al di qua della soglia potrebbe essere un valido motivo. Anche se credo che scoperchiare il coperchio a volte ci aiuterebbe ad affrontare ciò che comunque ci aspetta.
RispondiEliminaUn saluto, Prish
... sì combattere. oppure a volte accettare, o meglio andare lontano ad aspettare che passi, perchè a volte la battaglia è persa in partenza se la si prende di petto...
RispondiEliminaL'ineluttabilità:
RispondiElimina"Tutti i dolori sono sopportabili se li si fa entrare in una storia, o se si può raccontare una storia su di essi." (K. Blixen)
oppure L'estraneità:
Tutti abbiamo forza sufficiente per sopportare i mali altrui.
(F. de la Rochefoucauld)
Io però penso che siano sopportabili solo se adeguatamente condivisi....
ciao, Sara
Questo post mi fa bene, Prishilla, come... il fulmine de 'La cognizione del dolore' di Gadda.
RispondiEliminaPasquale Omerico
Aver male fa bene, molto spesso.
RispondiEliminaA qualcuno, gli fa male il mondo
cfr
http://it.youtube.com/watch?v=y2wqw4JgLEI
dove ? come ? e soprattutto...perchè ?
RispondiEliminatre domande nn una completano forse il dolore.