venerdì 16 giugno 2006

Con amarezza

E’ un tiepido giorno di primavera, siamo in un remoto paesino sugli appennini, di quelli da cui la gente se ne è andata per trovare lavoro ma a cui torna d’estate e per le feste.


Un uomo, che potremmo definire quasi anziano, termina il pranzo festivo, saluta i parenti e mette in moto la sua Punto blu. Il sole è velato, la strada monotona, chissà, forse il pranzo è stato abbondante. L’uomo si distrae, chissà, forse cercava qualcosa nel vano del cruscotto, forse le palpebre si sono fatte improvvisamente pesanti. La macchina si sposta incontrollata sull’altra carreggiata. Dalla direzione opposta giunge una motocicletta: in un attimo è troppo tardi per raddrizzare la traiettoria.


C’è una donna per terra, molto sangue, una gamba in frantumi. Ci sono i carabinieri, c’è un verbale, sottoscritto dall’uomo che potremmo definire quasi anziano, che identifica il punto dell’impatto a 60 cm dal guard rail della carreggiata su cui viaggiava la moto. C’è una dichiarazione firmata in cui l’uomo, che potremmo definire quasi anziano, ammette di aver invaso l’altra corsia.


Passano le settimane, l’uomo che potremmo definire quasi anziano non chiama mai per avere notizie della donna che ha investito. Silenzio, neanche una parola di scuse. Chissà,  forse l’imbarazzo, forse il timore di una brutta notizia.


Ma nè l’imbarazzo né il timore di una brutta notizia gli impediscono di spedire una raccomandata per chiedere il risarcimento dei danni subiti. Per quei pezzi di lamiera blu rimasti appiccicati alla carne della mia gamba ferita.


Chissà come potremmo definire quell’uomo.

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