Finito di cenare, mentre iniziavamo ad impilare i piatti e l’andirivieni dalla cucina, il nonno versava nel bicchiere due dita di vino rosso e diceva “io vado all’osteria”.
Si sedeva davanti a casa, sulla sedia affacciata sul panorama. A luglio il cielo era ancora chiaro, si accendevano le prime stelle. In agosto invece la stellata era già completa e anche le luci, lungo tutta la pianura, fino all’orizzonte lontano.
Dalla porta finestra arrivavano le nostre voci, lo sbatacchiare delle stoviglie, qualche risata. Lui ascoltava i grilli, la civetta. Guardava il mondo, il cielo. Respirava la sera.
Alla spicciolata lo raggiungevamo. Chi si sedeva sulle
scale, chi sul primo pezzetto di prato, dove la collina iniziava dolcemente a
digradare. La nonna diceva "vieni su che c’è bagnato" e si sedeva sulla sedia
accanto al nonno. Arrivavano altre sedie, la fila si allungava.
Guardavamo le stelle, il sorgere della luna, il passaggio di
un aeroplano. Chiacchieravamo. Qualche volta aspettavamo di veder passare la
volpe, che andava a bere dagli annaffiatoi lasciati accanto all’orto. Qualche
volta in lontananza si accendevano i fuochi di artificio e allora tendevamo l’orecchio
a cercare gli echi di qualche sagra paesana. Lasciavamo che il giorno si rilassasse
nella sera, ne ascoltavamo la risacca, accoglievamo il cielo.
Finchè qualcuno diceva vado a fare una telefonata, o a
vuotare la lavatrice, e si iniziava il giro a chiudere le persiane.
E’ questo che faccio quando esco sul terrazzo, anche solo un
minuto, e giro gli occhi in su. Una falce di luna, il carro. L’ombra delle
montagne. Le luci nelle finestre dei vicini.
E’ per questo che quando Lui mi chiede "posso chiudere le
tapparelle" io dentro di me rispondo: aspetta devo andare all’Osteria.
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