Ognuno di noi é cresciuto con qualche regola inviolabile.
Ho conosciuto un uomo cui per tutta l'infanzia era stato così severamente
proibito di scendere le scale da solo che a quarant'anni ancora esitava e,
potendo, tendeva a preferire l'ascensore. Ho anche un'amica che anche a se ha
mangiato solo quattro foglie di insalata e la temperatura del mare é di 32
gradi, se non son passate tre ore dalla fine del pasto non si bagna neanche le
caviglie.
Bene, io sono cresciuta con il divieto di mangiare i
dolci tipici di una certa ricorrenza al di fuori di quella ricorrenza. E fin
che si tratta di non mangiare il panettone a ferragosto nessuna fatica. La
fatica ha sempre riguardato, per me, i biscottoni di pastafrolla ricoperti di
glassa che, nella mia città, si mangiano tradizionalmente il giorno dei morti e
il giorno del santo patrono. Rispettivamente prendono il nome - e la forma - di
'scarpette di Sant'Ilario' (la leggenda narra di un calzolaio e di scarpe
donate ad un povero viandante) e di 'ossa da morto' (sorvoliamo sull'aspetto
macabro). Che cosa accomuni il giorno del morti con la festa del patrono,
rendendoli festeggiabili con lo stesso dolce non l'ho mai capito, fatto sta che
ho sempre adorato, nella loro casalinga semplicità, tanto le ossa quanto le
scarpette, che arrivavano in casa nel loro pacchettino, ben decorate di codette
di zucchero multicolore, rigorosamente solo due volte l'anno.
Ad un certo imprecisato punto della mia infanzia -
probabilmente quando il mio naso ha raggiunto la soglia fatidica del bancone
della pasticceria- scoprii che il biscottone faceva la sua comparsa sulla scena
ben più di due volte l'anno. A carnevale, per esempio, si presentava in forma
di mascherina, a Pasqua sotto le mentite spoglie di campanella e via
discorrendo. Certi illuminati pasticceri trovavano praticamente ogni
giorno una forma che ne giustificasse la comparsa. Potete immaginare la mia
scodinzolante golosa felicità. Ma. Ma quando aprii la bocca per manifestare il
mio interesse all'acquisto la risposta fu chiara, irremovibile e
inequivocabile. Si mangiano solo a Sant'Ilario e per i Morti. Ma questi sono
fatti a cuore. Non importa.
Capite? Era la voce della rettitudine che non si
lasciava sviare dalle strategie di biechi pasticceri, pronti ad ogni blasfemia pur di far
tintinnare qualche moneta in più nel loro cassetto. Come avrebbe potuto, questa
voce, non lasciare un segno idelebile in una mente bambina assetata di verità
quale era la mia? E lo lasciò a tal punto che nonostante la gola, tutt'oggi non
mi sognerei mai di trasgredire e aspetto paziente la comparsa delle ossa e
delle scarpette, versione originale e solo per un giorno. Neppure se me le
offrono a casa d'altri riesco a mangiarle.
Ebbene, quella voce cosi retta e chiara, inequivocabile e
irremovibile, proprio quella stessa voce, l'altra sera (mancavano 122 giorni ai
morti e 194 al santo patrono) pronunciò le seguenti parole: vuoi un biscotto?
mentre mi allungava la pasta frolla con glassa e codette, beatamente adagiata
sul suo bel vassoietto dorato, in infingarda forma di innocuo alberello. E
poi, quando l'eco del mio gigantesco e feroce EH?!! accennava a spegnersi, quella voce
aveva proseguito, con serafica indifferenza: 'avevamo le nipotine oggi, so che
a loro piacciono'.
Nessuno, proprio nessuno é immune dalla sindrome dei
nonni.
Io però, non l'ho mangiato. La rettitudine ha bisogno di
custodi.
Quanto ho detto che manca al due novembre?