lunedì 28 ottobre 2013

Lunedì, cronaca


Tutti i lunedì mattina c’era questa cosa della cronaca. Dalla seconda alla quinta. In seconda bastava un pensierino, in quinta bisognava riempire il foglio protocollo. Raccontare cosa avevamo fatto il giorno precedente, domenica.
Che fosse un modo obliquo per dare una sbirciata nelle case e nelle abitudini delle nostre famiglie era, per i genitori, più una certezza che un sospetto. Da parte di una maestra come la maestra Teresa lo consideravano peraltro accettabile. E quindi, a maggior ragione, se ne preoccupavano.  Si preoccupavano della panoramica che le cronache avrebbero offerto sulle nostre domeniche: del voto che avrebbero meritato le attività che proponevano alle loro bambine e ancora di più si preoccupavano delle intimità familiari che le bambine, con la loro stilografica innocentemente implacabile, avrebbero svelato sotto i grandi occhiali della maestra Teresa.
Io alla domenica andavo in campagna. Certo, c’erano anche le domeniche delle gite e le domeniche del divano, ma il novanta per cento delle domeniche la mia famiglia le trascorreva in campagna, nella casa dei nonni sulle prime colline. La descrivevo ogni lunedì. La collina, il bosco intorno e 'la vista sul mondo'. Credo di aver scritto questa frase un migliaio di volte. La maestra Teresa ogni lunedì pomeriggio era tentata di saltare a piè pari tutta la prima parte – che conosceva a memoria – ma il senso del dovere la obbligava a leggere per correggere eventuali a senz’acca o virgole messe a caso. Di solito ce ne erano, e questo, almeno, la distraeva un po’. Esaurito il quadro d'insieme si passava alle pennellate stagionali: le foglie d’autunno e le castagne, gli scivoloni sulle neve e gli omini vari, con pittoresche descrizioni delle mani gelate e dei nasi colanti, le primule nel sottobosco, la terra dell’orto da vangare con relativo ritrovamento di lombrichi e lumache. Qualche volta capitavano avventure con cagnolini, uccellini caduti o visite da parte dei cavalli del vicino maneggio. Invariabilmente però, al calar del sole 'tornavamo a casa stanchi ma felici'. E stanca ma felice era pure la maestra Teresa quando arrivavano le cronache in cui gli alberi erano carichi di ciliegie e il maggiociondolo ‘era una nuvola d’oro’ perché questo voleva dire che Giugno era arrivato.
Alla fine della quinta abbiamo invitato la maestra Teresa per un pomeriggio in campagna. Io la osservavo mentre si guardava intorno e faceva i complimenti ai nonni e speravo con tutta me stessa che avesse almeno un attimo di deja vu. (E, naturalmente, che quella sera rientrasse a casa  stanca ma felice).

lunedì 21 ottobre 2013

Rispondessero, almeno.

Certe volte sono gli alberi che corrono, ai lati dei finestrini. E noi, fermi, li salutiamo con la mano. Imperterriti.
 
 
 
 

domenica 13 ottobre 2013

Mezzanotte e un quarto


Smemo!
...
Smemo!!
Eccomi cara.
Santo cielo, Smemorina, mi hai fatto di nuovo le scarpe di cristallo...ma dove hai la testa?!
Oh, sono deliziose. Con quel piedino adorabile ti stanno un incanto.
Deliziose, certo. Proprio perfette per salire e scendere dal FrecciaBianca. E non parliamo di andarci in bici.
Bici? È perché mai dovresti andare in bici? Hai sbocciato ancora la zucca? Santo cielo, Cindarella... 
Ecco appunto, dovresti vedermi, a parcheggiare quell'arnese. Una citycar no eh?! 
Cocca mia, lo sai che non è questo il punto. Se tu non andassi sempre così di corsa, se facessi una cosa alla volta. Adesso per esempio, ascoltami, invece di pasticciare con quel telefonino.
Si dice smartphone, Smemorina. Massi ti ascolto, cosa mi volevi dire?
Eh, chi lo sa? Ormai è andato. Sto proprio perdendo la memoria
Sto...
Ma cocca,  tu invece hai perso una scarpa!
Lo credo bene, tu dimmi come si può fare una fuga decente con questi affari di cristallo ai piedi. Perché vedi, quando la mezzanotte arriva - e arriva, credi a me, certe volte arriva in un lampo- ai piedi bisognerebbe avere le ali.
Ih ih, brava cara, anche questa volta ce l'hai fatta, in un modo o nell'altro.
In un modo o nell'altro non è la stessa cosa. Questo modo e' di Pollicino. Io mi son stufata di farmi trovare. E di tornare sempre a casa coi piedi neri e le vesciche. Guarda Smemo, ti ho portato il catalogo della Nike, vedi di farci un pensiero eh!?

domenica 6 ottobre 2013

Ok, proviamo


Ok proviamo. Come se fosse lo spezzone di un film.  Come se qualcuno, casualmente, avesse ripreso la scena.
Una piazzetta quadrata, con le panchine verdi e le aiuole e il suo bel platano al centro. Io seduta con il mio libro sulle ginocchia e un’ora d’attesa tutta per me. La gamba dolorante allungata sulla fedele stampella rossa. 
Suona la campanella e dalla scuola elementare sciamano fuori i bambini vocianti. Corrono fra le panchine e il platano e le aiuole, schiamazzando e giocando come tutti i bambini del mondo e della storia al suono della campanella. Non alzo la testa: il mio libro è troppo bello e il dolore troppo denso per lasciar spazio al minimo interesse per i dintorni della mia bolla. Percepisco visi e voci ai margini del mio campo percettivo, li registro  in automatico, la testa immobile e gli occhi rivolti alle pagine.
C’è la biondina con l’apparecchio e la gonna coi volants, c’è la magrebina un po’ timida coi capelli folti e gli occhi bellissimi, c’è il ciccione che urla e fa il gradasso e la mora con la frangia che corre più veloce di tutti, c’è anche quello alto alto che cerca di organizzare il gioco ma nessuno se lo fila e naturalmente c’è quello col ciuffo sugli occhi che ce la mette tutta per far capire che non gli interessa affatto di giocare e armeggia con gli auricolari. E via di seguito tutti gli altri.

Dopo un po' arriva anche il piccoletto con la bici nuova, che sgomma e impenna e inchioda perché deve far vedere che ha la mountain bike e ovviamente ad un certo punto arriva a un pelo dalla mia gamba stesa. Resto con gli occhi fermi sulla riga. Ma stà attento, non vedi? A quel punto alzo la testa, lentamente.
E’ il più normale dei bambini normali, che ha parlato. Maglietta benetton verde pistacchio e due belle guance da pastasciutta. Grazie. Lo dico guardandolo negli occhi, senza emettere suoni, muovendo solo le labbra. Il ciclista si è allontanato con uno sbuffo di ghiaia. Lui resta fermo, con gli occhi  fissi nei miei, mentre le guance da pastasciutta lentamente si imporporano. Non distoglie lo sguardo, e neppure io. Ci guardiamo, e lui arrossisce e resta fermo in mezzo al gioco, come colto da un pensiero, o da un incanto. Finchè mi sembra di vedere lui che rivede la scena, in bianco e nero, fra molti anni. Una signora misteriosa, straniera, remota e immobile come una statua, aveva detto grazie a lui, solo a lui, che aveva fatto qualcosa per rendere il mondo un po’ più sicuro, un po’ più pulito.

Si riscuote al richiamo della madre. Dai, andiamo, che ci sono i nonni a pranzo. Mi assicuro di aver ripreso la lettura, quando si volterà indietro, solo un'attimo, infilando la cartella, all'altezza del platano.