domenica 29 ottobre 2006

Do you remember?

Esercizio - tratto da Romanzo Collettivo


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Forse davvero c’è un feeling particolare fra le sorelle gemelle e Meg sente aleggiare ancora la presenza recente di Gloria in quella stanza, o forse è solo una coincidenza se mentre è legata e imbavagliata nella cella di padre Biz le torna alla mente una conversazione con sua sorella, avvenuta molti anni fa, quando avevano ancora 16 anni, e la possibilità di scegliere chi diventare. Forse. Chissà.


Nel ricordo ci sono passi rapidi che scendono dalla scala antincendio con la sicurezza di chi l’ha già fatto mille volte, magari anche al buio, magari ad occhi chiusi pensando “fa che non mi sentano, fa che non mi vedano”. C’è la nebbia dell’imbrunire, che sale dall’asfalto bagnato come vapore mefistofelico, e una sottile Meg di 16 anni che scende i gradini della sua discesa agli inferi, e corre verso l’ennesima serata rubata, con un vestitino che la scopre molto più di quanto non la copra e solo un rossetto del colore del fuoco per scaldarla.


Appena il tempo di mettere piede a terra e ..


Meg, ma che cavolo…


Sst, per l’amor del cielo Gloria non farti sentire


Sei pazza, dove stai andando? Oddio, ma come sei vestita? Sei praticamente nuda….” Ma i suoi occhi da severi si fecero carezzevoli mentre guardava quel corpo identico al suo che esplodeva in una bellezza incontenibile  anche se devo ammetterlo: sei bellissima”.


Anche Meg aveva pensato che sua sorella era bellissima con i capelli legati stretti in una folta coda di cavallo e la tuta della squadra di atletica della scuola che cadeva morbida lungo le gambe flessuose. Non aveva bisogno di nient’altro Gloria per essere bellissima, ma Meg non l’avrebbe ammesso nemmeno sotto tortura e così disse solo “Ma senti chi parla, sembri chiusa in un sacco. Potrebbe esserci anche un canguro lì dentro, chi potrebbe dirlo”, e quel tono tagliente non era che un modo per costringersi a non dirle “Cosa darei per sapere tenere il collo in quel modo elegante e fiero come il tuo, quel collo che è uguale al mio eppure io non ci riuscirò mai. Cosa darei per poter essere pulita e libera come te.”


Poi un vecchio coupè aveva accostato al marciapiede di fronte ed il suono del clacson aveva infranto quel gioco di specchi di periferia.


E quelli chi sono?”


“Tony e i suoi amici. Lui è nella mia classe di cinema. E’ uno che conta. Solo una come te, che pensa solo a giocare alla piccola poliziotta, poteva non saperlo. Ma dove vivi…”


“E tu cosa hai a che fare con lui?”


“Cos’ho a che fare? Cocca, nell’ultimo mese mi sarò sciroppata almeno una dozzina di film strappalacrime perché si accorgesse di me. Non so perché gli piacciano tanto. Ma chi se ne frega. Quello che conta è che stasera lui e i suoi amici sono qui. Suo zio ha un locale, giù ai Docks. Stasera mi vedrà ballare e se mi prenderà a lavorare da lui, la prossima volta che scenderò da questa scala antincendio avrò a tracolla i miei quattro stracci e qui nessuno mi vedrà più”.


Ma cosa stai dicendo? Così ti metti  nei guai…”


“Cocca mia noi ci siamo nate nei guai, solo che io ho deciso di nuotarci dentro e tenere la testa ben fuori, tu invece ci affogherai dentro e continuerai a raccontarti che va bene così, che in fondo non è male. Sei una sciocca Pollyanna, Gloria: apri gli occhi.”


“Meg se solo ti volessi un po’ più bene, se solo tu potessi portare un po’ di pazienza. Pensa a Steve, cosa ti direbbe lui?”


“Noi per Steve siamo solo un problema, lui ha la sua vita.” E lo sapeva Meg che quelle parole erano puro veleno per sua sorella, lo erano anche per lei, per questo le sputava fuori ogni volta che ne aveva l’occasione. E sapeva anche che le faceva sbattere le finestre nel cervello quando la chiamava Pollyanna. Conosceva quello sguardo, era identico al suo quando vedeva sua sorella che vinceva l’ennesima medaglia nella corsa ad ostacoli e pensava che forse aveva ragione la mamma quando diceva che esiste sempre un’altra strada. Ma alla fine la mamma non aveva più trovate di strade. Quindi. Avanti.


Steve non ha mosso un dito per tenerci con lui.”


“Ma come avrebbe potuto…”


Finiscila. Io quando voglio qualcosa posso sempre. Per questo ora vado”.


Non si era voltata, ma poteva vederla, Gloria, che la guardava allontanarsi con quegli occhi in cui la pietà e l’invidia si mescolavano come in un abbraccio, con la mano stretta alla ringhiera, incurante della sporcizia, al di sopra della sporcizia.


 


 

lunedì 23 ottobre 2006

Tentazione d'autunno

Gocciola la doccia come la pioggia fuori dalla finestra e scivola sui capelli come la pioggia sulle tegole spioventi.


E, come la pioggia, la mia doccia mattutina riscalda l’autunno inoltrato di una voglia di intimità e di silenzio. Voglia di ritornare sotto le coperte ad aspettare il risveglio della clorofilla, e il risveglio della mia gamba ferita. Voglia di rimanere ferma, sapendo che basterà un’attesa quieta, scaldata dallo scorrere libero dei pensieri e del respiro, un’attesa in  cui il male si diluirà lentamente e si scioglierà come humus nella terra.


Ma chi l’ha detto che il tempo cura tutti i mali? A volte invece il tempo scolpisce e conficca il male più a fondo, lo cristallizza e lo fissa per sempre, cambiando le nostre sembianze, costringendoci a trovare nuove vie per sopravvivere, come fanno le radici mutilate, o a soccombere e accettare una nuova forma, fosse anche una inferma immobilità.


E quindi anche oggi brandirò l’ombrello e zoppicherò giù dalle scale, non cederò alla tentazione melliflua della pioggia d’autunno: anche oggi sarò al mio posto, a difendere la possibilità di tornare a correre, quando anche la clorofilla si starà risvegliando.

venerdì 20 ottobre 2006

Ancora sulla Bellezza

"L'intenzione produttiva inficiava la bellezza (...). Le incidenze più potenti della bellezza erano quelle che venivano sentite come scoperte personali, che sembravano essere concepite solo per te, come se qualche sorta di grande intelligenza ti avesse preso da parte, te solo, per mostrarti qualcosa di speciale". (Michael Cunningham - Giorni Memorabili)


Ho letto per caso questa frase e mi è sembrata quasi un commento a proposito del mio post precedente e di altri che in vario modo hanno toccato il tema della bellezza in questi giorni.

martedì 17 ottobre 2006

The Beauty Gap

Sentivo qualche giorno fa al telegiornale che uno dei principali partiti politici degli Stati Uniti d’America, in vista delle prossime elezioni, si è impegnato per ridurre …. la criminalità - direte voi - e invece  no, non la criminalità, e neppure il pericolo di attacchi terroristici, no, non la pressione fiscale, nè il debito internazionale e neppure le emissioni di agenti inquinanti, bensì……….. il Beauty Gap!


Geniale: migliorare il livello di bellezza dei propri candidati per renderli più attraenti agli occhi degli elettori, sfruttando il cosiddetto “effetto alone” per cui ad un bell’aspetto vengono sovente associate in modo inconscio anche altre qualità positive.


Quello che mi lascia esterrefatta non è la strategia in sé stessa: sono ben conscia di quanto importanti siano certi meccanismi nell’influenzare l’elettorato ed è ovvio che qualsiasi schieramento politico che non ne tenesse conto e che non li utilizzasse per aumentare il numero dei voti a proprio favore sarebbe destinato al fallimento.


Quello che mi lascia esterrefatta è che il partito in questione abbia reputato vantaggioso enunciare questa strategia, e l’abbia resa esplicita quasi fosse una dichiarazione di attenzione verso gli elettori.


Dal momento poi che tale dichiarazione non può essere il frutto di una scelta avventata, e certo non sarebbe mai stata fatta se studi statistici attendibili non ne avessero dimostrato l’efficacia, allora mi chiedo: ma davvero quegli elettori a cui si dice apertamente “ci stiamo rendendo più belli per essere giudicati da voi migliori governanti”  invece di ribellarsi indignati a chi li ha potuti reputare così superficiali nell’esprimere il proprio voto, scodinzolanti ringrazieranno e voteranno, compiaciuti di avere finalmente a che fare con rappresentanti politici fotogenici, eleganti e terribilmente carini?

sabato 14 ottobre 2006

La storia semplice di una lezione di cucina: gnocchi di patate – per 6 persone

Quante  patate ci vogliono, nonna?



Tante quante ce ne stanno nella pentola: perché se vengono buoni più ce ne sono più se ne  mangia, se non vengono buoni vuol dire che le patate non erano un granchè, e allora tanto vale buttarle via così si evita che rovinino un altro piatto.


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Quanta farina è necessaria?



Non si può dire così in astratto: dipende dalla consistenza delle patate, ma anche dal  grado di umidità, dal calore delle tue mani, da quanto riesci ad impastare con garbo o quanto invece schiacci e  premi l’impasto. Quindi comincia con un pugno e poi aggiungine man mano. Senti l’impasto come si adagia nel palmo della mano: quando lo senti morbido ma consistente, liscio e pieno, allora va bene.


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E la cottura? Quanti minuti?



Non serve contare i minuti: sono cotti quando vengono a galla. Vedrai, non sono tutti uguali, per alcuni basta un attimo, per altri un po’ di più. Lo sanno da soli, non devi andarli a ripescare tu.


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(Omaggio ad una nonna che non crede alle ricette semplici, né in cucina né nella vita, ma crede invece all'esperienza, alla passione e... al coraggio di rischiare.)