venerdì 24 dicembre 2010

Le grandi manovre


Le grandi manovre. Le abbiamo sempre chiamate così, le mie sorelle ed io. Cominciavano in sordina con la pulizia dell'argenteria e venivano ufficialmente proclamate con la lista dei regali, stilata dopocena a tavola, su un foglio protocollo, al termine di un braistorming che avrebbe fatto invidia ai migliori team di creativi. Da lì in poi iniziavano a comparire sacchetti e pacchetti che pian piano andavano a saturare ogni spazio libero, ingombrando armadi, cassettoni, e infine gli interstizi dietro alle porte. Contemporaneamente venivano stipati nelle credenze i dolci: il torrone amor per il nonno, la spongata della zia e il panettone della torrefazione, presto seguiti dalla frutta secca, senza dimenticare i fichi e le mandorle, e, via via che passavano i giorni, dalle vettovaglie più deperibili, che finivano per occupare perfino i balconi. Nel frattempo iniziavano ad arrivare i pacchi regalo dei clienti del papà, che integravano le scorte alimentari per le feste o venivano riposti in cantina, ma non mancavano mai di lasciare la loro scia di riccioli argentati. Dopo la metà di dicembre, la sera, iniziavano le telefonate degli auguri e dei ringraziamente, con i relativi rimbrotti (ma insomma, hai chiamato Tizio e Caio??!) L'ultima domenica prima di Natale veniva addobbato l'albero (ordinato per tempo al vivaio e consegnato immancabilmente all'ora di pranzo dell'ultimo giorno di scuola) e nell'occasione si scatenava il conflitto familiare più acceso di tutto l'anno - tant'é che da un certo punto in poi adottamo la soluzione dell'albero a rotazione: ogni anno un membro della famiglia, a turno, addobbava l'albero a suo piacimento, senza interferenze. Questo, naturalmente, accese la competizione stimolando le fantasie, così ancor oggi si ricordano le piccole pergamene con le preghiere di S. e il festoni di pop corn di F.; mio padre invece preferiva alberi monocromi molto ordinati e si sbizzarriva con le luci - approfittando del vantaggio di essere l'unico in casa a saper collegare un filo - mentre mia madre ricreava gli alberi della sua infanzia carichi di qualunque bendidio e fitti di batuffoli di cotone bianco a simulare la neve. Il presepe é sempre stato appannaggio dei genitori, con le prevedibili infinite discussioni sulla collocazione di ogni singola pecorella. E così arrivava la vigilia, con i bigliettini da scrivere e i nastri da arricciare e la cena dalla zia con la pasta al forno e la suonatina al pianoforte, e la messa di mezzanotte e i regali aperti in pigiama nella notte. E poi la mattina di Natale, ognuno pronto ai propri compiti, dai segnaposti al taglio del pandoro, e il servizio di Natale, dispiegato sul bancone della cucina, con ogni piatto e ciotola e vassoio assegnati da tempo immemore alle medesime pietanze. E finalmente, dopo la preghiera, si tuffavano i cucchiai nella fondina dei cappelletti (e lo zio redarguiva "si chiamano anolini!"), un attimo di silenzio e poi via coi commenti, ad ognuno la sua battuta, da "certo che quelli dell'anno scorso" a "mia madre li faceva con la carne".

Negli ultimi anni ci sono stati molti cambiamenti: c'è una cena della vigilia con nipotine e nonne nuove, a cui fino a poco tempo fa davamo del lei, c'è una tavola di Natale che si accorcia e si allunga ricercando ogni anno il miglior compromesso fra diverse tradizioni familiari e capita perfino che il piattino del torrone si ritrovi ad accogliere i fichi secchi. Così le truppe appaiono talvolta un pò disorientate, cercano di rendersi utili ma si intralciano fra loro e tornano più volte sugli stessi passi, con una complessiva imperdonabile perdita di efficienza.
Abbi pazienza, comandante, se le grandi manovre sono ultimamente un po' maldestre e le truppe sembrano avere tanto bisogno della rassicurazione dei tuoi ordini: presto le nuove tradizioni faranno il solco sul terreno e marceremo di nuovo ad occhi chiusi, spediti e inarrestabili, al ritmo di un festoso jingle bell.


 

giovedì 16 dicembre 2010

Sedici dicembre


Eccola di nuovo, questa sensazione di non avere le parole, quelle gentili intermediarie che saltano come scimmie di ramo in ramo ma non riescono a raggiungere il luogo dove le radici affondano - prendendo in prestito le parole di Musil. Devo prenderle in prestito perchè oggi le mie parole sono rimaste aggrovigliate in un gomitolo di sentimenti, bianco come una barba amata, rosso come una sciarpa sorridente. E sento una mano, grande e calda come il camino davanti al quale sempre mi accoglie, che tiene stretto il mio gomitolo e lo dipana, ancora una volta, con dita sapienti, e il filo che ne trae parla di una serenità nuova e quieta, come una cripta antica, in un mattino d'inverno.

domenica 12 dicembre 2010

Cara Santa Lucia - 1


Cara Santa Lucia,
quest’anno vorrei, se non è troppo pesante per quel bravo asinello, una miriade di stelle cadenti. Poi magari, anche carta da lettera e penne e sacchetti di parole e lucido da scarpe a volontà.

Vorrei che le persone tirassero fuori dai bauli e dalle soffitte i desideri. Vorrei che ci credessero, che se saranno buone e faranno la loro parte, forse verranno esaudite. Vorrei vedere dita sporche d’inchiostro per le lettere che ti hanno scritto e nasi all’insù a cercar polvere di stelle e tracce di asinelli. Vorrei che le persone la smettessero di rinunciare a lucidare le loro scarpe.

Ti auguro di trovare, stanotte,  tante scodelle di latte e piattini di biscotti (e non dimentichiamo un po’ di fieno) sulle soglie e sui davanzali, e lo auguro anche a tutti noi.

Buon viaggio, e grazie
Prishilla.

 

sabato 4 dicembre 2010

... e il folletto delle nevi


Tra Rogoredo e Lambrate c'era il freddo artico questa mattina. Ero sul treno degli ultimi, che parevano peraltro dubbiosi riguardo alla feccenda di diventare un giorno i primi, e avevo i piedi infilati in una morsa di gelo a forma di stivale. Cercavo di girare le pagine del giornale con le dita impacciate dai guanti e stavo attenta ad appoggiare la minima porzione di vestiti - e neppure una ciocca di capelli - sul sedile lurido e sfondato. Pensavo che avevo pure pagato dodici euro e rotti per per questo viaggio della speranza e questi quarantacinque minuti di ritardo e il mal di gola  e il mal di schiena di domani.

Rinunciando a voltar pagina (togliersi i guanti neanche a pensarci) ad un certo punto abbasso il giornale e mi ritrovo faccia a faccia con due occhiali rotondi attraversati da un pungente sguardo azzurro. Intorno c'è un viso di quelli che vengono strofinati con acqua e sapone ogni mattina, una massa di allegri capelli grigi e un naso tanto discreto quanto risoluto. La signora indossa una giacca tecnica da montagna, scarpe da neve, viaggia da sola e ha scritto dappertutto "son partita per un'avventura".

La sensazione che un folletto delle nevi sia apparso dietro al mio giornale per redarguirmi dei miei lamenti da pollo d'allevamento dura ben più del ritardo del treno.

(29/11/2010)

domenica 21 novembre 2010

Davvero


Mi piace osservare la forza nei corpi fragili. Mi sembra una buona prova della teoria secondo la quale non siamo fatti solo di carne e di sangue. Mi fa credere che davvero non tutto ciò che siamo ritornerà fango, un giorno.
 

lunedì 15 novembre 2010

Le signore dissolute


Hanno i capelli di un biondo artificiale e molto chiaro e un po’ di azzurro sulle palpebre. Lasciano impronte rosse sulle sigarette sottili. Sono state ricche un tempo; di quel tempo sono rimaste case con grandi giardini o vetrate sulle cupole del centro storico. Emanano un profumo di creme e di cipria del tutto sconosciuto alle stanze da bagno di casa mia, abituate al muschio bianco e al sapone neutro. Sono donne che hanno sofferto per qualcosa cui si può solo accennare, qualcosa che scivola in un rivolo di mistero dalle rughe intorno alle labbra, come il rossetto a fine serata. Vestono abiti fruscianti, stoffe suadenti e hanno sempre qualcosa che luccica, ai polsi o nelle piccole borsette o fra i capelli. Sono ammantate di una femminilità roca e dissoluta che pare non avere nulla a che fare coi golfini sobri di mia madre né, meno che mai, con il preparare la cena. Mi affascinano da quando ero bambina: quando ne incontro una temo ancor oggi il momento in cui qualcuno si accorgerà del mio sguardo rapito e immobile e mi manderà a giocare in salotto sussurandomi “non fissare così la signora”.  
 

lunedì 1 novembre 2010

Momenti di trascurabile felicità, di Francesco Piccolo


Scrivo di questo libro perché non è un libro che vorresti leggere ma un libro che vorresti scrivere. Non che vorresti aver scritto, ma che vorresti scrivere. Ora, mentre lo leggi.
Perché capita di leggere cose come “quando quello che ti ha chiesto di conservargli il posto, finalmente arriva. E puoi dimostrare a tutti che era vero.”  Oppure: “quando esci dal cinema e piove. E rimani con altri spettatori ad aspettare, senti cosa dicono del film. E poi c’è chi vuole provarci ad andare, che fa se ci bagniamo un po’; e va, correndo con la testa stretta nelle spalle. C’è chi dice aspettiamo, tra poco smette. Chi dice: ora piove meno (e non è vero) e va. Così un po’ alla volta, correndo, se ne vanno tutti”.
E quindi, quando poi scendi dal treno e inizi a pedalare verso casa,  non puoi proprio fare a meno di scrivere nella mente il tuo elenco personale di trascurabili felicità, che quasi ti sembra ti sentire il ticchettio dei tasti mentre pedali e pensi cose come “quando andiamo a mangiare la pizza nella nostra pizzeria preferita, che è sempre piena, e non lo diciamo a nessun amico e arriviamo alle sette e un quarto quando non c’è ancora nessuno e i tavoli sono tutti pronti e bianchi e ordinatissimi e veniamo serviti da una cameriera ancora pettinata e sorridente e la gente inizia ad arrivare quando noi abbiamo già ordinato il caffè e il proprietario scuote la testa e dice a tutti  - mi spiace è già tutto prenotato - e noi andiamo a casa a guardare un film, coi piedi abbracciati sotto alla trapunta, intanto che tutti cercano un posto per mangiare una pizza e aspettano in piedi e devono urlare per farsi sentire dalla cameriera spettinata e stufa”.
E poi, a forza di scrivere nella tua testa cose come questa, finisce che arrivi a casa con tutte queste bricioline di felicità che ti sono rimaste attaccate alla labbra come trascurabili sorrisi, che sono piccoli piccoli ma tutti insieme fanno un gran brillare e magari vanno a finire nel sugo della pasta, che come niente si trasforma in un altro momento di trascurabile felicità.

 

lunedì 25 ottobre 2010

Abracadabra


"Uno dei  medici che gareggiano davanti al sultano - quello che viene spesso disegnato con il vestito rosa - aveva preparato una medicina verde con un veleno tanto forte da uccidere un elefante e la diede all'altro  medico, quello con il caftano blu. Lui inghiottì con appetito prima la medicina col veleno e subito dopo una medicina blu con l'antidoto che aveva preparato e non gli accadde nulla, come si capì dal suo sorriso dolce. 



 

 



rosa small 2_1Muovendosi lentamente e gustandosi il suo turno, colse una rosa rosa dal giardino e avvicinandola alle labbra vi bisbigliò dentro una poesia misteriosa che nessuno udì. Poi, con gesti molto sicuri,  porse la rosa al medico vestito di rosa perchè la annusasse. Il medico vestito di rosa si preoccupò talmente della forza della poesia bisbigliata dentro la rosa che appena avvicinò il naso per annusare la rosa che, oltre al suo profumo non aveva alcuna particolarità, crollò per la paura e morì. "



(O.Pamuk)

lunedì 18 ottobre 2010

Relatività - 1

Quando, dopo dieci o venti vasche in cui ti è stato davanti, inizi a superare quello che nuota nella corsia accanto alla tua pensi sempre di stare accelerando, non che l'altro stia rallentando. 



Ci misuriamo in relazione agli altri perchè in fondo non è il cronometro quello che conta ma l'ordine di arrivo? E mettiamo sempre noi stessi al centro della foto perchè sullo sfondo immobile ci sentiamo scomparire?

domenica 10 ottobre 2010

Senza ritegno

Si disse che forse solo chi è stato amato senza ritegno può amare senza ritegno e desiderò averlo conosciuto da piccolo e avere avuto la possibilità di fargli questo regalo.

Poi pensò che non si sarebbe trattato di un regalo per lui, perché amare senza ritegno è un po’ come non avere pelle – e forse, si disse, è per questo che lei aveva tanto bisogno di sole - .

Dopo questo pensiero ci fu un attimo, molto lungo e molto dolente, in cui avrebbe voluto solo deserto, e vento. Poi si disse che sarebbe stato comunque un regalo, un regalo per lei. E lo desiderò, senza ritegno.

lunedì 4 ottobre 2010

Novant'anni


Un’impeccabile messa in piega, un luminoso filo di perle, un marito dal portamento fiero, un centrotavola autunnale e festoso, due figli, nuora, genero, quattro nipoti con mogli e mariti, due piccole pronipotine. Molti abbracci, molti sorrisi e bicchieri tintinnanti. Intorno ai tuoi novant’anni c’è la famiglia che hai creato, i tuoi alberi da frutto e i tuoi fiori rigogliosi, c’è la tua casa con le finestre spalancate sul mondo e la tavola apparecchiata. Intorno ai tuoi novant’anni ci sei tu, dentro ai tuoi novant’anni ci siamo noi. Fieri, grati, felici. La senti, vero nonna, la felicità che hai messo dentro di noi? Avrei voluto incartarla, infiocchettarla e metterla in cima alla piccola montagna di regali, fra la torta e il cesto di frutta.
 

domenica 26 settembre 2010

Quello che chiamano stile

"Quello che chiamano stile è solo un errore che consente di lasciare un segno personale" (O.P.)


Lo stile come pigro narcisitico perseverare del diabolico.  O come occasionale sistematica imperfezione di una distratta umanità?


domenica 19 settembre 2010

Femmine

Stoffe. Colori. Cinturini. Accostare, accarezzare, indossare. Allontanarsi, osservare. Amiche scarmigliate e senza scarpe si affacciano dal camerino accanto, approvano e lusingano, aggiustano, scartano, ripropongono. Amiche a cui offrire l’abbinamento scovato all’ultimo scaffale come la più profumata delle tazze di te. Lana morbida e gancetti ammiccanti, mentre fuori si addensano le nubi e le foglie iniziano ad assopirsi.

sabato 4 settembre 2010

Il dottor Wadid

Il dottor Wadid arriva puntuale e ha una camicia azzurra ben stirata. Indossa un paio di occhiali dalla montatura dorata che, proprio come la serietà cortese con cui saluta e si presenta, sembrano scelti per dare autorevolezza a un volto altrimenti troppo giovane e pulito. Parla un inglese corretto, pronuncia lentamente le parole per assicurarsi di venire compreso e ascolta con attenzione. Raccomanda di bere molta acqua e scandisce: no milk, no eggs, no yoghurt. Si disinfetta le mani prima di toccare il termometro e nonostante cerchi di dare ai suoi movimenti una certa disinvoltura, il modo in cui le sue mani aprono e chiudono la valigetta tradisce una dignitosa fierezza per i suoi strumenti e per l'ordine in cui sono tenuti.


Il dottor Wadid fa bene il suo lavoro ed è sempre reperibile. Quando arriverà, il momento non lo coglierà impreparato: non avrà macchie sulla camicia, nè un tono svogliato o modi frettolosi, nella sua valigetta ci sarà ciò che serve, la sua diagnosi sarà accurata e la cura che prescriverà sarà impeccabile. Perciò il famoso primario europeo che sarà capitato in vacanza nel grande albergo in cui Wadid presta servizio 24 ore su 24, colto dalla gastroenterite del viaggiatore, rimarrà oltremodo colpito dalla professionalità con cui à stato curato da un giovane medico egiziano. E l'occasione di Wadid sarà lì, finalmente pronta per essere afferrata; basterà prendere per mano la moglie e i bambini e volare via. Dunque avanti il prossimo: no milk, no eggs, no yoghurt. E mi raccomando di bere molta acqua.

sabato 14 agosto 2010

Pensiero per uno, dieci, cento amici

Dedicato a tutte le donne, e agli uomini, che sono andati a dormire una sera con tutte le linee di confine in ordine e colorate bandiere che distinguevano il giusto dallo sbagliato e probi doganieri a custodire le frontiere fra ciò che voglio e ciò che non voglio, fra ciò che voglio essere e ciò che non voglio essere. Dedicato a coloro che si sono svegliati una mattina e hanno trovato i confini spezzati e i doganieri alticci e scarmigliati impegnati in un torneo di calcetto saponato, e le bandiere stracciate in tante striscioline da un gran vento, improvvisamente aggrovigliate come matasse di stelle filanti di ogni colore. Inutili.


Dedicato agli uomini e alle donne che ad un certo punto della loro vita hanno desiderato andare a vedere quello che avrebbero potuto essere e che davanti alla bacchetta della fata smemorina hanno esitato, perchè la formula magica parlava chiaro: se vuoi diventare quello che avresti potuto essere non puoi portare con te quello che sei. Non ci sono scappatoie, per quanto tu possa lambiccarti. Così le bandiere si aggrovigliano lacere e il vento non la smette di soffiare e gli amici vorrebbero essere stelle polari ma possono essere solo fiammelle di candela, buone soltanto per dar conforto allo sgomento e, al massimo, per vedere un po' meglio dove stai mettendo i piedi.

giovedì 5 agosto 2010

Quando piove d'estate

Quando piove d’estate, che metti le maniche lunghe sui pantaloncini corti e ti viene quella voglia di fare torte o di infilare i piedi abbronzati in un paio di vecchie scarpe e andar per pozzanghere, e tornano in mente i mosaici di sant’apollinare e le grotte di castellana e tutti i posti dove si andava quando si era al mare coi genitori e pioveva e si prendeva su il k-way e si comprava un pensierino da portare a casa alla nonna.

Sarà l’odore dell’estate bagnata, che scuote ricordi che gocciolano da ogni dove, ma quando piove d’estate ho tutt’intorno una me stessa bambina.

mercoledì 28 luglio 2010

La scena

Questa storia accade in una cucina ordinata, lucida e fiera. In questa cucina Cuore di Biscotto impasta lisce gialle pallottole di uova acqua e farina, Capelli Iperattivi allarga la sfoglia in cerchi sottili, ma non troppo, a colpi di matterello, Mani Svelte e Creatrici distribuisce le palline di ripieno, a intervalli regolari, e ripiega la sfoglia tutt’intorno, Guance di Porcellana armata di stampino, quello della bisnonna, ritaglia, curandosi che i bordi siano ben chiusi. Capelli Bianchi e Fieri passa da una all’altra, controllando, insegnando, correggendo e aggiustando. Occhi blu e Occhi Nocciola vengono trattenute lontane dai guai e chiacchierano e osservano e assorbono.

Ci sono le frasi di sempre, a far da musica in questa storia. Mettiti il grembiule che ti sporchi. Assaggia il ripieno è insipido? No è buonissimo. Assaggio anche io. Lascia matterellare un po’ anche me che se no domani hai il mal di schiena. Mi raccomando, chiudeteli bene. Quanti sono? L’anno scorso ne abbiamo fatti di più. Non sapete chi ho incontrato ieri. No… e cosa ti ha detto? Driin. Questo è Giorgio, tutti gli anni chiama mentre facciamo i cappelletti. Dai basta mangiare i ritagli che ti viene il mal di pancia.

Appena fuori da questa storia, invece, praticamente dietro alla porta, ci sono palati maschili in attesa. Ci sono baffi affacciati su articoli di giornale, cravatte che presiedono riunioni, dita che corrono sulle tastiere, mani che brandiscono telefoni, camici che svolazzano fra macchine e  provette. Appena fuori da questa storia ci sono pensieri che aleggiano e viaggiano, quasi avessero sentito un profumo.

martedì 20 luglio 2010

Pulire i pennelli

Occorre ora pulire i pennelli, far dondolare le setole, pensosamente, pigramente. Far scivolare i colori nell'acqua di una vecchia tazza sbreccata. Guardarli srotolare piccoli nastri che solo per attimo sembrano danzare da soli e poi si mescolano, come i ricordi e i desideri in una storia. E sarà una storia che forse racconteremo, se avremo abbastanza parole, e abbastanza acqua nella tazza. Abbastanza perchè ogni colore possa dire la sua, i ricordi mescolati coi desideri e i desideri coi ricordi. Abbastanza perchè nessun colore scivoli via, lungo la discesa bianca di un lavandino. Nessuno, neanche il più ruvido dei ricordi, neanche un desiderio timidissimo.

domenica 11 luglio 2010

Ritratti, n.6

Il ritratto numero sei, l'ultimo di questo corridoio, è il ritratto di una cameretta affollata di colori, di canzoni e di amici immaginari.


In questo ritratto ci sono due lettini e due paia di occhi: il primo è blu,  un blu profondo come la curiosità degli anni che si possono contare usando una mano sola, preferibilmente sporca di pennarello,  il secondo è nocciola ed è attento e goloso del mondo come chi ancora non ha visto tutte le stagioni. In questa cameretta ci sono anche ricci biondi liberi e folli come i pensieri prima che trovino l'imbuto del pudore e c'è la gioia potente di scoprire che il suono delle proprie mani che battono l'una contro l'altra siamo noi a generarlo e potremo ripeterlo ogni volta che vorremo.


La musica, in questo ritratto, è quella frusciante dei racconti della buonanotte e quella rassicurante del cessare di un pianto, subito consolato.

lunedì 5 luglio 2010

Ritratti, n.5

Ha pensieri veloci e colorati, troppi perchè le sue mani - seppur magiche e svelte e creatrici - riescano ad acchiapparli tutti per trasformarli in cibo, bellezza o parole. Per questo ha bisogno di occhi così grandi e luccicanti, come cassapanche per le idee e le emozioni, traboccanti come certi suoi cassetti.


Ha il cuore forte di chi ride spesso e le lunghe ciglia di chi si prende, qualche volta, un po' di ombra e di silenzio per lasciar agire il lievito o per far insaporire l'arrosto. Così che poi, al momento giusto, con la nonchalanche di chi imbandisce una tavola perfetta all'ultimo minuto, lei riesca a riunire le persone che ama attorno ad una lieve saggia allegria.


I conti con le ombre, e coi piatti da lavare, li farà più tardi, quando tutti saranno andati a casa con un sacchetto di biscotti fatti in casa decorati a colori pastello. Ma state certi che li farà, senza barare.

lunedì 28 giugno 2010

Ritratti, n.4

Ha guance di porcellana e occhi di principessa, quegli occhi che non ti aspetti, di quelli che potrebbero coglierti di sorpresa da sotto un turbante beduino o da sotto ad un caschetto di capelli scuri.


C'è in lei per davvero la generosità che promettono il suo seno e il suo grande divano, la generosità che non sempre trova immediata corrispondenza nella logica ferrea dei suoi pensieri, condotti e incalzati da un implacabile "sì, però", e allora, dolce e caparbia, la generosità costringe il pensiero a ridefinire i suoi perimetri per ricomprenderla, affinchè possa mostrarsi al mondo vestita coi colori discreti della logica e della razionalità.


Il profumo che emana da questo ritratto è quello della torta per la colazione, cotta nel forno alla domenica, perchè il lunedì la sveglia sia un po' meno nemica.

martedì 22 giugno 2010

Ritratti, n.3

Il ritratto numero tre è sgranato e sfuocato come un'immagine troppo ingrandita, o riflessa in uno specchio segnato dal tempo e dall'usura. Si distinguono solo capelli iperattivi e ossa appuntite come certe matite. A ben guardare intravedo anche un paio d'occhi e una bocca che non hanno timore di sorridere, ed il resto dei lineamenti che si piega alla loro volontà. Non riesco a vedere altro, e l'unico suono che sento è quello di un battito. Dunque, passiamo al prossimo.

lunedì 14 giugno 2010

Ritratti, n.2

Ha un cuore di biscotto, e chi si avvicina può sentirne il profumo. Ha un viso sereno che le distende i lineamenti e allontana le preoccupazioni dagli occhi di chi guarda: è quindi necessario osservare con attenzione la sua fronte, appena al di sopra delle eleganti sopracciglia, per avere sentore di un ribollire di pensieri, giù nel profondo.

Ha le mani di chi è abituato ad accarezzare ed il tatto che allevia e accoglie, sollecito e laborioso, le pene e la pena di chiedere aiuto.

Ha negli occhi il desiderio educato di un mondo più chiaro, regolare e pulito come una dimostrazione matematica, e questo rende ancor più bella la dolcezza con cui si lascia frastornare le giornate dai suoi cuccioli indisciplinati e ancor più autorevole la forza con cui li difende, dai malvagi e dalle intemperie.

Quando torna a casa, dopo mille faccende, apre la credenza e sgranocchia qualcosa: forse è per questo che quando torni, fosse anche dalla più avventurosa delle avventure, la prima cosa che ti chiede è: hai mangiato? Come a dire: sei a casa.

lunedì 7 giugno 2010

Ritratti, n.1

Ha il viso soffuso da capelli bianchi e fieri, ordinati e lucidi come la sua cucina. Ha nei tratti, e nel portamento, una bellezza che non ne vuole sapere di cedere il passo all'artrosi, così come l'allegria che le percorre gli occhi e la bocca, in un domino di piccole rughe, tiene testa, nonostante tutto, alla malinconia.


Pela le patate e le rivolta nella padella di olio bollente con la sicurezza di chi ha mietuto svariati successi e l'attenzione di chi sa che quei successi altro non sono che la disciplinata conseguenza della massima cura. Nonostante tutto, però, spia le reazioni della lunga tavolata trattenendo il fiato, e il gesto della testa con cui accoglie i complimenti lascia intravedere il ricordo di un salto in alto ben riuscito, tanto tempo fa, e degli applausi, forse, degli spettatori con le camice nere.


Nel suo modo di piacere e di conquistare c'è un arte coltivata con passione, la stessa con cui cura il suo orto e le sue rose, ed è per  mantenerla allenata che si attarda a conversare coi medici, coi negozianti e con qualsiasi operaio le capiti a tiro, anche se ha troppa classe per ammetterlo. Fatto sta che è l'unica persona di cui si abbia notizia ad ottenere solerti e cortesi risposte dagli operatori dei call center della compagnia telefonica e si mormora di agenti immobiliari che la cercano con regolarità, pur sapendo benissimo che la sua casa non è in vendita, così, solo per fare due chiacchiere. La mia opinione è che stiano cercando di farsi invitare per la prossima padellata di patate fritte.

domenica 23 maggio 2010

Per scherzo, ma non troppo

Il guaio delle donne che non hanno la casa e la famiglia come priorità è che scelgono il loro uomo non tenendo in alcun conto l'attitudine ad occuparsi, appunto, della casa e della famiglia. Pertanto sovente si ritrovano con una casa e una famiglia e con un uomo al fianco che, assai probabilmente, si rivelerà inadatto ad occuparsene. Fregate, insomma.

sabato 15 maggio 2010

Note di piano

Pioveva e lui aveva il capo appoggiato al bracciolo e le gambe rannicchiate. C’erano troppe possibilità là fuori per prenderne seriamente in considerazione qualcuna. Così anche lei rimaneva dentro, rannicchiata, in un certo senso, anche se non nel senso fisico del reale. Ai margini, lontano, confusa come la massa dei suoi capelli quando piove, l’idea di riordinare cercava di richiamare la sua attenzione. Un lampeggiante giallo nella nebbia. Ma c’erano troppe cose in giro per prendere seriamente in considerazione l’idea di fare ordine. Così anche lei rimaneva in una specie di disordine, facendo finta di credere che spostare qualcosa da qui a lì fosse un reale progresso verso una improbabile meta. Già, una meta. Lei era una di quelle persone che credeva sempre che ci fosse una meta. Eppure, quando si era incamminata lungo la strada che attraversa lo spazio che divide il piacersi dall’amarsi, non si era accorta affatto di dove portasse. Né che fosse una strada a senso unico.

domenica 9 maggio 2010

Dolcemente ....

"Bisognerebbe sempre darle, le caramelle ai bambini. Perchè di quelli che erano grandi quando tu eri piccolo, adesso che sei grande ti ricordi le caramelle che ti davano, soprattutto. Le mou di paperina della zia A., le nougatine della nonna L., le baratti della zia R, quelle verdi di menta della signorina A., quelle rotonde di zucchero del dottor P, le quality street dello zio G, le rosse rossana della signora B, e via discorrendo. Ci potrei scrivere la mia autobiografia, una caramella via l'altra, dolcemente"


lunedì 3 maggio 2010

Rileggere

Come se avessi disegnato con le dita il contorno del mio viso riflesso nello specchio, ogni mattina, prima di uscire. Come se una sera, una qualunque, dopo la doccia, mi guardassi allo specchio e vedessi, intorno al mio viso, tutti quegli altri visi che ho disegnato, giorno dopo giorno. Tutti i miei ieri mattina in unico colpo d'occhio.

domenica 25 aprile 2010

Talenti

C’era un bambino l’altro giorno, che guidava la metropolitana. Seduto di traverso sul sedile, le mani ben ferme sul tubo giallo, lo sguardo nocciola fisso in avanti, i ricci sull’attenti, pronto a frenare raddrizzando le Kickers, svelto e preciso nell’aprire e chiudere le porte appoggiando il palmo alla parete, esattamente sul logo di Figurella. Aveva persino una spada d’argento infilata nella cintura, per difendere i passeggeri da borseggiatori e malviventi.

Non mi ero mai sentita così in buone mani durante il mio viaggio mattutino in metrò.  Gli ho perfino fatto ciao con la mano, scendendo, e avrei voluto dirgli che mi auguravo che facesse una brillante carriera: macchinista del treno, pilota d’aereo, comandante d’astronave, ma mi sono trattenuta, perché lo so bene che è severamente vietato parlare al conducente.

giovedì 8 aprile 2010

Una collana di caramelle d'orzo

Ci sono persone che ti hanno insegnato cose grandi, cose come la Gratitudine, il Rispetto, la Generosità, la Tolleranza e il Perdono. Tu pensi che non le imparerai mai abbastanza e le tieni sempre intorno al tuo collo come una collana di pietre preziose. E quando incontri l’Egoismo, l'Arroganza, la Noncuranza, l’Offesa, tu accarezzi le tue pietre preziose, senti la loro superficie liscia e traslucida, chiara e dolce come quella delle caramelle d’orzo e le stringi dapprima come fossero amuleti, magie, poi come fossero speranze, e, quando sei abbastanza grande, come fossero promesse, impegni, responsabilità.

Ma quando capita che la Noncuranza, l'Arroganza, l’Egoismo e l’Offesa, vengano rivolte a chi ti ha regalato le tue caramelle di orzo e le tue promesse, allora il desiderio è quello di strapparti la collana dal collo e di usarla per Ferire, Vendicare, Proteggere, Ripulire, Annullare. Ma non lo farai: perché la Fiducia (e l’Amore) verso chi ti ha fatto il più grande dei doni, e delle responsabilità, non sarà mai seconda a nessun altro sentire.

domenica 4 aprile 2010

Ci sarò

Occhi di coniglio e ombra di orecchie ripiegate spuntano, timidi come l’erba nuova sotto un cielo tuonante come certe sopracciglia.  

Con un cuore accartocciato dipinto a colori pastello mi avvicino, tenendo ben stretto fra le labbra il mio piccolo ramoscello di primavera: perché tira un vento freddo affatto amico, e, a dirla tutta, saggio sarebbe un repentino dietro front verso la tana. Eppure mi pare che luccichi qualcosa, dietro il nero, quando il vento scompiglia le nubi, ed io vorrò esserci quando spalancherai le braccia, colme di sole.

Perciò, occhi di coniglio e ombra di orecchie ripiegate, il mio cuore accartocciato dipinto a colori pastello si acquatta e striscia sotto alla siepe. Due passi avanti e uno indietro. Naso fremente e coda prudente, sarò qui.

sabato 27 marzo 2010

Orribile e inconfessabile...

… come la cicatrice che nascondi, come il sogno che ti coglie nel cuore della notte, il timore di girare su te stessa, dentro al cerchio delle persone a cui vuoi bene, e vedere nei loro occhi la Delusione.

domenica 21 marzo 2010

Ventun Marzo

Era il giorno del suo debutto. Tutti, ma proprio tutti, l’attendevano, seppure con stati d’animo diversi: chi con la gioia smaniosa del cucciolo pronto per uscire a giocare, chi con lo scetticismo un po’ snob del bastian contrario, chi un po’ lamentosamente come qualcuno che da tempo aspetta di essere nutrito e scaldato. Ed ognuno si stava diversamente preparando, secondo le proprie inclinazioni. C’era chi occhieggiava nelle vetrine freschi abitini cercando di capire quali avrebbero meglio messo in risalto le proprie forme e i propri colori; chi metteva a punto i più appropriati mezzi di trasporto: biciclette, moto, perfino qualche barca; e c’era chi potava rami e annaffiava bulbi nel tentativo di rendere giardini e terrazzi il più possibile festosamente decorati.


Da tanto di quel tempo se ne parlava, ormai. Ne parlavano i giovani come gli anziani, gli esperti e gli ignoranti, quelli che si affidavano alla saggezza popolare e quelli che sapevano leggere i grafici e tutti i numeri delle statistiche. C’era perfino chi sosteneva che non esistesse più, ma nessuno ci credeva per davvero.


Era arrivato, finalmente, il giorno del suo debutto, e tutti, ancora in pigiama, alzarono tapparelle, spalancarono persiane, e si affacciarono alle finestre pronti ad applaudirne la comparsa, ad incoraggiare lo sprigionarsi della sua grazia e della sua potenza.


Ma la Primavera non era venuta.

lunedì 15 marzo 2010

Chi ha nascosto il direttore?


Qualcuno ha detto che il direttore d’orchestra serve forse più al pubblico per capire la musica che all’orchestra per suonarla. Se è così ci sono giorni in cui mi chiedo dove abbiano nascosto il direttore. Avrei un gran bisogno dell’aiuto della sua bacchetta per punteggiare l’armonia del mondo, e forse anche quella del mio confuso cuore. Guardare le braccia nere sollevate dalla marea della musica che sale - o sono loro che alzandosi fanno gonfiare la musica? – seguire la bacchetta che indica precisa il punto da cui sta per nascere – ora – il movimento nuovo, trattenere il fiato - e le attese -  sotto al palmo aperto di un pianissimo. Affidarmi alle code solenni del frac che seguono, o guidano, l’armonia. Direttore, dove sei?


lunedì 8 marzo 2010

Lady Oscar... ?

E’ curioso che immediatamente dopo il prevedibile tentativo di ammantare di giallo mimosa l'oscar di Kathryn Bigelow - neanche fosse, peraltro, l’affermazione di una categoria invece che il successo di una professionista e del suo specifico, peculiare e personalissimo lavoro -  dallo stesso microfono venga sciorinata la graduatoria dellE più eleganti.


Guardando il panorama, dall’alto di questa vetta di ambiguità e banalità comunicativa, mi chiedo: a chi giova?

sabato 27 febbraio 2010

Febbraio

Ho bisogno di sole come di carezze. Appoggio la guancia al tepore socchiudendo gli occhi, e penso resta ancora, o meglio non andartene mai più. Mi infastidisce il freddo dell’aria che senza riguardo si insinua fra la mia pelle e i raggi: vorrei che il vento restasse in rispettosa attesa o quantomeno che i rami ancora nudi dei tigli avessero la premura di trattenerlo, chè il sole è tornato e vorrei godermi un lungo, lungo, abbraccio.


lunedì 22 febbraio 2010

Ahimè non è solo un film di fantascienza...

1) ... e mentre fuori infuria la battaglia, lo spietato colonnello, l'impareggiabile stratega, contemplando il putiferio di esplosioni e raffiche di mitragliatrice, ad un tratto impartisce l'ordine decisivo, quello che solo una mente diabolica come la sua avrebbe mai potuto concepire. Attaccate Il Nemico.


2) ... lei, la donna della foresta, quella che gli ha insegnato come correre, come cacciare, come parlare, come sopravvivere. lei che è connessa con la grande madre natura, che trasuda saggezza millenaria dai giganteschi occhi felini, lei che combatte come una fiera. lei gli graffia il petto come una casalinga isterica e, tirando fuori una vocetta strozzata che richiama un aia ben più di una foresta, lancia un lacrimevole stridulo acuto "io mi fidavo di teeeeee".


 

lunedì 15 febbraio 2010

Una volta tanto

"Una volta tanto mi lasciai andare, senza volermi sentire superiore alla mia felicità, senza volermi guardare dall'alto o essere più intelligente dei miei sentimenti" (P. Auster)


Perché, in fondo, la felicità è una scelta o, qualche volta, una resa.


Resa, da rendere. Dare in mano. Consegnarsi nelle mani di qualcuno. Rinunciare al capriccio per cui il controllo dei propri sentimenti vale il prezzo del disprezzo della felicità.

domenica 7 febbraio 2010

Neve

C’era la neve, che turbinava in grossi fiocchi apparentemente privi di direzione e di qualunque simmetria.  Il cielo era bianco e bianca era la strada e bianca tutt’intorno la pianura. Bianca era la luce e, come la neve, apparentemente priva di direzione:  diffusa tutt’intorno a creare un tunnel bianco come un sogno. Solo i fari della vettura davanti alla sua sembravano dotati di autonomo colore e di autonomo movimento. Le sembrava che la sua auto fosse legata a loro come certi giocattoli, papera a rotelle tirata da un filo tenuto stretto da un’invisibile mano cicciottella.


I fiocchi di neve le venivano incontro sempre più veloci e puntualmente si impennavano verso l’alto a pochi centimetri dal suo viso. Le sembrava che avrebbe potuto procedere così per sempre: l’involucro caldo e tondo dell’auto a separarla dal bianco che aveva invaso il mondo, la voce di Phil Collins intorno a lei e dentro di lei la voce di sua nonna che diceva “guardate che tormenta, bambini” e aveva la sua solita risata nascosta dentro, e c’era la guancia di suo cugino così vicina alla sua che poteva sentirne il calore e il vetro si appannava dei loro respiri, aggiungendo altro bianco al bianco di fuori.


Ad un certo punto le capitò di desiderare che il parabrezza si infrangesse. Che l’aria fredda le toccasse la pelle e che i fiocchi di neve invadessero l’abitacolo, le bagnassero i capelli, il cappotto. Che la musica volasse fuori. Che lei stessa potesse infrangersi in una moltitudine di fiocchi bianchi e turbinare via. In cielo.

lunedì 1 febbraio 2010

Un poco di erba voglio

Ho imparato ad usare le parole come carezze, lievi trenini carichi di affetto. Ho imparato ad usare le parole come riccioli di pasta sfoglia, inutili fragranti divertimenti. Ho imparato ad usare le parole come stampelle, sostegno e retta via per zoppicanti divaganti pensieri.


Voglio imparare ad usare le parole come scalpelli, per rompere la crosta, per graffiare molto oltre la superficie. Voglio una striscia di muro andato in polvere, dopo il mio passaggio, e voglio che accada con le parole.

lunedì 25 gennaio 2010

Grazie, Damigella Chicca

rit bouquetSfogliando l’album bianco e fragrante di carta velina Lei si chiese, ad un tratto, come sarebbe stato il capitolo sei, e forse anche il capitolo cinque, senza la sua preziosa damigella.


Senza l’alacre chiacchiericcio stipato nelle pause pranzo cariche di pacchetti. Senza la corsa sfrenata delle idee contagiose, che rotolano e si scontrano esplodendo in una risata. Senza il profumo della colla e i riccioli di carta ritagliata. Senza le prove delle parole, scritte, riscritte e ancora aggiustate ed infine annodate nella morbidezza di nastri di raso e seta. Senza il gioco degli assaggi, un confetto in ogni mano, ed il puzzle del menù, e la ricerca senza confini, fra scaffali e siti web, di quell’esatto punto di blu.


 Cosa ne sarebbe, si chiese Lei, ad un certo punto, di un matrimonio, di una cerimonia o di una festa importante, senza una appassionata e lieve damigella creativa? Prese dunque la penna e scrisse. Non sapremo mai cosa scrisse, poiché fra una sposa ed una damigella è d’obbligo il massimo riserbo, sappiamo però che la lettera iniziava così: grazie, Damigella Chicca.

sabato 16 gennaio 2010

Saggia o codarda?

Tra Decidere Insieme e Dividersi Equamente gli Ambiti di Comando esiste innegabilmente un abisso.


Talvolta mi assale la tentazione di saltare l’abisso, di lasciare il territorio sicuro della suddivisione, coi suoi confini calibrati e geometricamente armonici, per tentare la conquista del selvaggio, affascinante, territorio del decidere insieme.


Esito però, intravedendo le sagome dei coccodrilli che pattugliano l’abisso e altro non aspettano che di trasformare in lauto pranzo quegli sconsiderati che si ritengono in grado di aprire all’altro la propria stanza dei bottoni, di confondere i bottoni, e i polpastrelli che li premono.


Ed invariabilmente mi basta veder lampeggiare i denti appuntiti, sentire da lontano lo schiocco delle ganasce, per tornare a più miti consigli e alla confortante geografia dei confini, saggiamente disegnati.

domenica 10 gennaio 2010

Oggi

Ci sono giorni in cui ognuno dovrebbe avere un camino, per raccogliere le scintille e soffiare ed offrire a qualcun altro il calore di una fiamma che ha acceso e coltivato con le sue mani. Oggi più che mai.


Qualcuno ha acceso il fuoco in un camino, per me, un giorno, ed io ancora mi riscaldo a quella fiamma. Oggi più che mai.

sabato 2 gennaio 2010

Non più giovane

Arriva a volte un momento in cui all’improvviso vedi con nitidezza straordinaria la prospettiva di qualcun altro, la prospettiva che prima di quell’attimo ti era sempre sembrata di una estraneità e di una incomprensibilità assolute. Ad esempio capita, con il passare degli anni, che ti trovi ad un punto preciso della medesima via in cui nonni e genitori sono passati prima di te e ti ritrovi a pronunciare quella frase che hai sempre sentito e che sempre ti è sembrata assurda. Una di quelle da cartellino rosso, di quelle che per una vita quando le hai sentite hai detto ai fratelli, o ai cugini, se mai la dirò io fatemi interdire. Poi ad un tratto la dici. E non solo la dici, ma ciò che è ben più grave, ad un tratto La Pensi. Io l’ho detta, l’ho Pensata.


Con questo nel cuore -  e con l’immagine di mio cugino che vagamente sbigottito afferra la fettina lentigginosa di panettone e ammette: quest’anno mi  piace più del pandoro - con questo nel cuore, inizio questo nuovo anno e mi sento tanto non più giovane