sabato 27 dicembre 2014

C'erano molte parole

C'erano molte parole, quest'anno, che mi giravano intorno e dentro, affollate e spettinate. Ed io, affannata e spettinata al loro pari, ho lasciato che venissero soffocate dalla tosse, dal coperchio dei bolliti, da tutto quel mordere di scoiattoli sugli zigomi che mi dicono essere preludio sicuro di una bella sinusite. 
Ne avrei avuto da raccontare. Del Natale in libreria, per esempio, e di tutte quelle persone che entrano solo una volta all'anno e di come scelgono i regali e di quanto mi piace sbirciare gli acquisti e fare il match con le facce e gli accessori e quante cose mi pare di sapere di loro, tanto che potrei scrivere delle loro case e di cosa metteranno in tavola la vigilia.  
E poi naturalmente avrei avuto da raccontare di come non sia vigilia senza una rosa bianca e di come io sia entrata trafelata dal fiorista e di come l'abbia cercata fra le nuvole piatte, la mia nuvola coi baffi, e di come io l'abbia trovata, con la mano protesa verso il piattino del torrone Amor, quello che mi sforzavo di tenere ben fermo per dargli tutto il tempo di scegliere con calma il suo pezzetto, l'unico dolce che si concedeva, lo strappo al diabete, una volta all'anno. 
Mi sarebbe piaciuto anche raccontare delle persone nuove a cui fai gli auguri per la prima volta e cogli l'occasione per dire loro ci sei, sotto il mio albero, ed è un'emozione che ti concedi, affetto che lasci uscire libero dal sacco di Babbo Natale; sappiamo già che verrà il giorno in cui ci faremo giusto gli auguri a Natale, ci racconteremo tutto l'anno nel tempo della coda alla cassa e ci diremo vediamoci presto sapendo benissimo che non succederà ma sarà bello desideralo davvero, una volta all'anno. 
Soprattutto avrei voluto raccontare di certe piccole magie, che accadono intorno alle candele e dentro le preghiere, di come te le mettano dentro da piccoli, come esattamente non lo so, ma so per certo che se te le mettono dentro la piccoli quelle trovano poi sempre il modo di far luce, almeno una volta all'anno. 
C'erano molte parole quest'anno, aspettavano la neve e il suo silenzio, ed ora mi paiono scendere a frotte, troppo veloci per le mie dita. 

venerdì 12 dicembre 2014

Cara Santa Lucia

Cara Santa Lucia, 
son qui che cerco di lucidare le mie scarpette, ma ogni volta che mi sembra di esserne venuta a capo mi cade l'occhio su un graffio, un segno, uno schizzo. Una ruga, una parola di traverso, la mia benedetta impazienza. E la pigrizia, non parliamone. Per quanto ci metta dell'olio di gomito, quest'anno mi pare proprio un'impresa impossibile. Ahhhh adesso ho capito! Oh Asino, inutile che tu scuota la testa in quel modo - lo so che stai pensando ' un genio, questa Prishilla' - ognuno ha i suoi tempi, io non so cosa farci se son lenta di comprendonio. Mica si può essere belli, simpatici e intelligenti, tutto insieme.  Io son simpatica, ecco. Tu, Asino, invece sei... bellissimo! 
Va bè, dicevamo: adesso l'ho capito, che lucidare 'ste scarpe è per davvero un'impresa impossibile. Perlomeno le mie. Se le hai infangate, le hai infangate, non passa tutto con un colpo di spugna.  Però sfrega sfrega la magia si accende a lucciole, come dalla pietra focaia. Me la sento pian piano crepitare dentro, e si accende anche la voglia di esser più buona. Si Asino, non fare quella faccia scettica, lo so bene, purtroppo, che durerà quel che durerà, ma magari quest'anno... se Santa Lucia mi aiuta a tener la mano contro il vento ... Dai Asino, vieni anche tu a mangiar due biscotti, che la notte è lunga, fredda e buia. Io intanto sfrego ancora un po', che voglio un gran bel fuoco stavolta. 

lunedì 1 dicembre 2014

Io non ho paura

Me lo chiedono l'abelia grondante, le galosce lucide e un grande ombrello nuovo: quando abbiamo iniziato a investire così tanto e così spesso nella messa in piega? A costruire le nostre case sulla sabbia e a comprare scarpe con la suola così scivolosa? Quando abbiamo iniziato a lasciare che i nostri fossi si ostruissero di scorie come vene di colesterolo? Esattamente, quando abbiamo iniziato ad avere paura della pioggia?


domenica 23 novembre 2014

Ho un cavallo bianco e una giacca nuova

Ho un cavallo bianco da regalare, senza principe annesso, saldo sulla felpa del colore della notte, col cappuccio che protegga riccioli e sogni dalle piogge acide e dalle luci dei neon. 
Ho la voce stupita di sé stessa dell'unico piccolo che mi abbia mai amato prima di saper parlare che dice il mio nome.
Ho un bacio stampato sulla guancia da chi ormai si deve chinare per darmelo e ancora non gli viene in mente di infilare la porta senza avermelo dato.
Ho occhi che spalancano finestre nella frangia per guardarmi bene bene dentro prima di offrirmi l'ultima fetta di salame ed esigentissimi azzurri occhi adolescenti che mettono un mi piace a certe mie foto.

Ho una giacca nuova, windstopper e waterproof, perché le conchiglie sulla spiaggia si trovano anche d'inverno. Bisogna avere tasche dove metterle.

lunedì 10 novembre 2014

Come la vetta

' - Il popolo inuit ce la farà, Robert? - mi chiedono le persone quando racconto quello che ho scritto in questo libro- 
- No, non credo che ce la farà -  è la mia risposta, purtroppo. 
Penso che per loro sia finita. 
Per sempre. 
(...) Alcuni ragazzi inuit riusciranno ad integrarsi, magari qualcuno di loro racconterà di avere visto il  nonno pescare in un buco nel ghiaccio o di avere sentito parlare di una bisnonna che era un grande sciamano e da bambina aveva domato un orso bianco cento volte più grande di lei. Qualcuno studierà sui libri di storia che in cima al mondo, in una zona tanto remota quanto ostile, viveva un popolo bizzarro che era sopravvissuto al clima estremo e alle privazioni, ma non all'arrivo della civiltà. 
Qui la cultura è orale, ed è difficile sapere quanto della vita inuit verrà tramandato alle generazioni future. Questo libro vuole essere il mio piccolo contributo a che non tutto vada perduto.'
(Robert Peroni - Dove il vento grida più forte). 



Questa è la conclusione del libro, non l'introduzione, non la premessa. Come la vetta. E' quando arrivi qui che sai perchè ci sei arrivato, che sai perchè lo hai letto tutto. 
Che sai perchè è meglio fare il proprio dovere mediocremente che il dovere di qualcun altro perfettamente. 




sabato 1 novembre 2014

Non rispondono al telefono

Le idee non rispondono al telefono, stanno nascoste nelle file o nella pila dei panni da stirare. Si infilano fra le bolle lente dello zabaione che mescoli a fuoco basso, nella ventola del phon, fra i capelli che spazzoli. 
Scappano quando le chiami, le idee, come bambini all'ora del bagno. Sbocciano quando non le guardi, affiorano se la superficie è quieta. 
A pensarci, mi pare un peccato acchiapparle. Ripulirle, impadellarle in un progetto. Sminuzzarle, condirle con sale e pepe e servirle alla platea. Santo cielo, poverette. Io ho deciso: oggi le guardo passare e le lascio volar via. 

mercoledì 22 ottobre 2014

Le persone speciali

Ammettiamolo, le persone speciali ci sono. Persone che fanno il loro lavoro quiete, che crescono figli felici. Persone che sorridono e cantano nelle difficoltà, che piangono calde lacrime torrenziali e poi le asciugano, che a volte sanno lasciarsi cadere. Poi avanti, un passo dopo l'altro, questa è la strada. 
Ci sono persone speciali che non abitano il palcoscenico, che abitano alla porta accanto; alcune hanno perfino il mio stesso modo di ridere, che il sangue non mente. 

Ammettiamolo, le persone speciali a volte vengono a riposare un attimo sulle nostre poltrone e ci si sente un po' sciocchi a non avere altro che un sacchetto di biscotti da offrire al loro zaino. Cosa vuoi che sia. Eppure, io vorrei averli pronti, caldi di forno. Quindi mi auguro che certi giorni, non si sa come, un soffio di vento fra gli stipiti mi faccia venire voglia di rompere le uova e pesare lo zucchero.

giovedì 16 ottobre 2014

Pozzanghere

Attraverso questo mare di foglie cadute -angeli forse, fangosi e umidi, inequivocabilmente perduti - e ho le orecchie dritte e la coda fremente. Entro nelle pozzanghere, ricordi che si allargano, contagiosi e fondi. Negli stivali di gomma ho infilate zampe impavide e fedeli. 
La forza del torrente mi ha riportato in un mondo dove non squilla mai il telefono. Ho abbaiato, per un po'. Ho corso avanti e indietro, dalla porta alla finestra, e poi lungo le strade di casa. Ora sono qui, a rovistare nelle parole, cerco i tesori che ho custodito, le parole che ho messo da parte, quando ne avevo tante da rosicchiare, e la pancia piena. Sentirò i tuoi passi, e avrò qualcosa per te. 

(Lunedì, 13 ottobre 2014)

domenica 5 ottobre 2014

La prima domenica di ottobre

La prima domenica di ottobre, al parco, ci sono tutti. Quelli che soffrono il caldo e quelli che soffrono il freddo, quelli che corrono e quelli che camminano, quelli che pattinano e quelli che pedalano, perche non si suda più e non si scivola ancora. 
Ci sono le foglie verdi e quelle gialle, le signore sole con le amiche e i papà della domenica, quelli con la monovolume piena di caschetti e di rotelle e il terrore nascosto sotto ai tappetini, impolverato di noia. 
Ci sono quelle col cane pulce - e relativa faccia da pulce, e quelle col setter - e relativa coda da setter. 
Ci sono quelli che hanno iniziato la scuola nuova, perchè darsi appuntamento domenica pomeriggio al parco è un perfetto annusarsi da lontano, un serrare le fila con noncuranza, via via che le ore buche, inesorabilmente, si riducono.
Ci sono quelli che si baciano, naturalmente. Quelli che si baciano con lo struggimento senza trasporto dell'amore estivo che finisce e quelli che si baciano col fiato sospeso e lo stomaco annodato, l'amore ancora incartato con la stagnola come il panino nella cartella. 
Ci sono quelli che si sono appena alzati da tavola, due passi prima di rientrare, dopo i cappelletti e la punta al forno, e quelli che telefonano mentre spingono il passeggino, la moglie a casa che mette un po' a posto e la coscienza un po' più pulita. 
Questa domenica, al parco, c'era anche una bambina che faceva le bolle di sapone. Era un po' più grande di una bambina, ma di poco. Di così poco che non c'è un'altra parola per definirla. Aveva i jeans e la maglietta con le maniche lunghe e la coda da giovane setter. Stava in mezzo al vialetto, del tutto incurante dell'ingombro che procurava, e faceva le bolle di sapone. Lentamente. Non correva e non le agitava. Le soffiava fuori una alla volta e le scrutava fisse, concentrata. Io so sempre a colpo d'occhio cosa faranno da grandi i bambini che incontro, ma con questa proprio non riuscivo a decidermi. Scienziata o maga indovina? Poi lei mi ha visto, e senza cambiare espressione - e senza smettere di soffiare - mi ha strizzato l'occhio. Così ho deciso. 

lunedì 22 settembre 2014

Ninna nanna, tanti anni fa

Vento,
ma lontano, fra i rami

Crepuscolo,
di montagna,
di rocce bianche e poi più scure, 
di animali morbidi, nelle tane

Suono di pianoforte, 
in sordina, 
in altre stanze, in altre case
lo senti anche tu (ecco: adesso) oppure ho sognato? 

Risacca sulla sabbia,
quando si avvicina l’aurora, 
stanca e densa, 
parole e musica agli sgoccioli

Porte socchiuse, 
che filtrano lame di luce 
e ombre di mamme, di papà e di nonne,
in punta di piedi.




lunedì 15 settembre 2014

Senza staccare la penna

Davvero ci sarà un giorno in cui nessuno scriverà più con la penna e la matita, tracciando segni, con la propria mano, sulla carta? Perfino io, che istintivamente risponderei ma và a questa domanda, mi accorgo che sempre più spesso la lista della spesa la scrivo sul telefono, che quando dico aspetta che me lo segno la mia mano nella borsa non sta cercando la penna, che vado alle riunioni senza il blocco degli appunti e che se dico mi metto un memo non intendo quasi mai un post it. Eccetera. E se capita a me, irrimediabilmente innamorata del gesto dello scrivere, che snocciolando le parole dalle dita alla carta ritrovo la quiete come certuni coi grani del rosario... A me, dico, che ho passato tutti gli esami della mia vita grazie alla manuale trascrizione e ritrascrizione dei concetti, che di rileggere e di ripetere non ne ho mai voluto sapere e sono andata per anni sostenendo di avere la memoria grafica... Se capita a me, insomma, credemi se dico che il segno non è da sottovalutare. E se ci penso, se penso davvero che questo giorno verrà, mi viene un gran desiderio di vivere fino ad allora, per allestire un gran tavolo di legno forte e soave, riempirlo di penne di ogni tipo, matite e temperini, di carta di ogni grammatura e di ogni sfumatura di bianco e di crema. Anche un sottomano di pelle, ecco, che sognare per sognare, l'avarizia può crepare. Lo metterei in un salone con grandi finestre, questo tavolo, o sotto il portico, d'estate. Per la sera una lampada rotonda,  che illumini solo il foglio e intorno buio. Inviterei i bambini a provare,  e sarebbero tutti timidi, all'inizio. Alcuni però continuerebbero a tornare.

lunedì 8 settembre 2014

D'altronde

Le sembrava di aver capito che col tempo l'anima - un po' come le ossa, d'altronde - diventa molto porosa, e fragile, oppure molto rigida. Che è un modo di essere fragile completamente diverso. 
Le sembrava, inoltre, di trovarsi - ora -  nel punto esatto in cui,  in qualche modo, si poteva scegliere. E tirava un gran vento. 


lunedì 1 settembre 2014

Primo settembre, lunedì

Mi manca solo l'astuccio con le matite nuove. Ho i piedi abbronzati e una buona scorta di azzurro e vento, ho collezionato terrazze e tramonti e perfino un biglietto a quadretti con nomi e indirizzi. Maschera e pinne sgocciolano nella vasca. Ho comprato il formaggio greco e anche questa volta lo lascerò scadere.  E' venuta la pioggia, stanotte, a lavare via agosto; ha lasciato dietro di sè la luce d'oro di settembre, come la fatina dei denti un brillante soldino. Il mio ipad è ricoperto di un colore nuovo che invoglia a cominciare.Via. 


mercoledì 13 agosto 2014

Per ingannar l'attesa

Bisognerebbe che il tempo che passiamo aspettando ci venisse in qualche modo restituito. Una specie di recupero, come nel calcio. Novanta minuti, più il recupero. Lasciamo stare i supplementari, che se nel tempo che ti è dato non ti riesce di mettere a segno una palla, quello resta un problema tuo. Ma il tempo che passi ad aspettare, per quello ci vorrebbe proprio una qualche forma di risarcimento. Perlomeno per la quota in cui ti riesce di aspettare con pazienza e con lo spirito ben disposto. Perchè certo, se riempi l'attesa mangiandoti il fegato o sacramentando, allora non vale. Sarebbe anche un bell'incentivo: quanta gente vedremmo, serafica, in attesa... Prego passi lei, ma si figuri. Scusa ti ho fatto aspettare? Ma non c'è problema, capirai. Anzi, ti ringrazio: può darsi perfino che questa mezz'ora mi serva meglio poi. 
Poi, ecco, ci sarebbe il problema di quando farlo, questo recupero. Perchè se arriva sempre e comunque alla fine del nostro tempo regolamentare,  senza ulteriori specifiche o eccezioni in funzione delle condizioni soggettive, potrebbe rivelarsi perfino una fregatura. No, così non può funzionare. Sarebbe meglio che ciascuno avesse il proprio serbatoio a cui attingere al momento del bisogno. Quanta gentilezza, quante ulcere in meno, e meno clacson, se aspettando potessimo immaginare il serbatoio che si riempie... E poi, quando stai per perdere il treno, o quando è già sera e la giornata così bella, magari ti viene in mente che hai una bella riserva e potresti anche prelevarti una bella oretta tonda tonda. 
E se questa bella pensata l'avessero già avuta? Magari è già così e noi non lo sappiamo. Magari il recupero dell'attesa ci viene regalato, al momento giusto. O casualmente, chissà. Ma solo se abbiamo atteso con spirito sereno.
Ecco, io lo so che questa è solo fantasia di un pomeriggio afoso, ma ora che il dubbio mi è saltato nell'orecchio, credo proprio che farò un bel respiro, prima di iniziare a guardare con astio l'orologio. Almeno finchè il dubbio non sarà stufo di star lì a ronzare. 

martedì 5 agosto 2014

Cattivo, Lupo

- Lupo? ... Lupoo? ...... Luuuupoooo??
- Lupo Cattivo, per cortesia. Non ci prendiamo troppe confidenze eh, Bella Bambina. Non è che perchè sei quasi imparentata col cacciatore che qui puoi venire quando ti pare a fare il bello e il cattivo tempo...
- Ma magari, Lupo. Cattivo. Signor Lupo Cattivo. Ma magari, potessi fare il bel tempo. Qua piove un giorno si e l'altro pure... Ma non sarò mica venuta sin qui a parlarti del tempo
- Appunto. Mi chiedevo, cosa sei venuta a fare qui tutta sola soletta? Senza neppure le frittelle. Dì, non se le sarà mica fatte fuori tutte il cacciatore...
-  E dai con questo cacciatore. Non sarai mica geloso? Ihih dì la verità che sei geloso... ihih a star nei panni della nonnina ti son venuti degli strani pensieri.....
- Oh, Cappuccetto dei miei stivali...
- Quello è il Gatto
- Cosa centra il Gatto?
- Degli stivali
- Delle sette leghe?
- Il Gatto?
- Oh, io sarò fissato col cacciatore, ma pure tu con sto Gatto.. Insomma, mi hai svegliato dal mio pisolino post prandiale per straparlare?
- Post prandiale??! Lupo, cosa hai mangiato??
- Ma no niente
- Lupo???
- Ma niente due ovetti... in questo bosco non passa più nessuno, da quando han fatto la tangenziale...
- Invece pare che ci sia una sciocchina che s'è venuta ad addormentare proprio nel bosco. Io non lo so cosa si sarà bevuta, fatto sta che è qua da qualche parte a dormirsela della grossa...
- Una sciocchina dici? Ma è abbastanza in carne?
- In carne? Non credo, una Bella, magrolina, capelli lunghi, hai capito il tipo...
- Mmmm secca dici?
- Ma cosa ti importa... Ahhh, ma cosa ti viene in mente, Lupo!!! Non è roba per te
- Bè, mi sarei accontentato di tua nonna....
- Accontentato? Che non ti senta se no ti sistema. E asciugati quell'acquolina, che schifo!!
- Ufff ho una fame... va bè, carina, io andrei. Sempre un piacere eh, incontrarti...
- Aspetta!! c'è il principe che non sa che pesci pigliare
- Si sa, chi dorme...
- Ma non è lui che dorme! è che si è smarrito. Sta le ore a guardarsi allo specchio con le scarpe di cristallo, parla con le mele... è andato, pare che voglia perfino tornar ranocchio.
- E chi può dargli torto? qua gran baci, ma poi in concreto...
-Lupo, sei proprio un animale
-Già
-Sì. Però dai, aiutami a trovare quella là che voglio far carriera, non posso mica far tutta la vita avanti e indietro col cestino delle frittelle...
-A no? e cosa vorresti fare?
-Bè un bacio prima o poi...
-Siete tutte uguali, vieni qua che te lo do io un bel bacio
- Sei mica tanto Azzurro, tu...
- Quante storie. Va là, ce l'ho io un'idea: stavolta la Bella me la metto in pancia, e per ringraziarti della soffiata, questa volta puoi travestirti tu e aspettare che l'Azzurro ritrovi la retta via....
- Lo sapevo che c'era del buono in te, Lupo.
- Io l'ammazzo....

lunedì 28 luglio 2014

Certi lunedì

Certi lunedì hanno il cielo pieno di quelle nubi che sembran sempre pronte a sbuffare via e invece restano lì, a stringersi e spingersi. 
Poi tu dici 'stamattina metto proprio le scarpe belle' e io ad un tratto credo proprio che non pioverà. Me lo tengo lì, questo pensiero, come quel po' d'azzurro spinto e stretto negli angoli dalle nubi. Forse vogliono solo giocare. 

lunedì 21 luglio 2014

Il paradosso dell'ombrello

Mi interrogo sull’ombrello da tempo immemore. Non c’è nulla, a mio avviso, di così assurdamente anacronistico come l’ombrello. 
Possiamo parlarci – e vederci – da un capo all’altro del pianeta con un click del mouse. Possiamo controllare la chimica del nostro complicato organismo con qualche barattolo di pastigliette. Solchiamo i cieli su navicelle dotate di ogni comfort e  illuminiamo palazzi e città con un interruttore. Abbiamo perfino, e da un bel po’ di tempo, trovato il modo di guardare negli occhi l’atomo e le sue particelle.  Eppure, quando Giove Pluvio punta il dito, andiamo in giro con un bastone con attaccato in cima uno straccetto.  

E’ mai possibile che per ripararci la testa quando piove non abbiamo ancora inventato niente di meglio di una specie di fazzoletto da tenere sulla testa? Niente di meglio di questo sistema che, giusto per stare in tema, fa acqua da tutte le parti? Sgocciola sul collo e sulle spalle, quando lo chiudiamo ci restituisce tutta l’acqua da cui ci ha riparato lungo la via e ha la fastidiosa abitudine di sparire ogni volta che lo lasciamo incustodito. E quando non sparisce c’è un’unica ragione: nel lasso di tempo in cui lo abbiamo lasciato nel portaombrelli è spuntato il sole. Nel tal caso, però, è certo che lo dimenticheremo.


Insomma, questa cosa dell’ombrello mi pare davvero inspiegabile. Gli unici progressi che abbiamo fatto riguardano l'ombrello tascabile, l'apertura automatica e quella specie di tubo raccogli-gocce. Un bel po' sotto la media, direi. Ergo, nonostante mi interroghi sulla questione quasi ogni volta che sono costretta a servirmene, la spiegazione più convincente resta, nella sua incredibilità, quella del complotto. Ovvero, che esista una potentissima lobby degli ombrelli che boicotta ogni tentativo di rendere i suoi membri obsoleti. Se lascio la mia instabile fantasia libera di sguazzare in questo spunto come un bimbo – senza ombrello – in una pozzanghera, posso perfino immaginare gli ignari scienziati che incautamente approcciano lo studio del problema, rapiti e torturati in recondite segrete da loschi ombrelli spietati.  E con un sussulto guardo il mio, che invariabilmente ha una stecca piegata  - o altri segni del mio scarso rispetto -  e mi auguro che sia clemente. 

lunedì 7 luglio 2014

Sasso o piuma

Sassi o piume. Ranocchie o Delfini. 
Grandi occhi e piccoli occhialini. 
Ti sembra proprio di ricordare, 
che immaginare è diventare, 
che il vestito da fata non è un gioco da poco 
e se la luna è tua amica, 
un ululato dal cuore non è peccato. 
La linea blu l'hai disegnata, 
è una pulce nell'orecchio la monetina tuffata.
Piuma o sasso. Delfino o Ranocchio. 
Forse la metto, la testa sotto. 



lunedì 30 giugno 2014

Dove

Il bagno delle signore,  il bosco scricchiolante di silenzio, l'ombra fresca di una frangia troppo lunga, il retro grande e forte di una reflex, la folla sfocata di un centro commerciale... Qualche volta, per un poco, dove nessuno sa.




lunedì 16 giugno 2014

Le spine delle gaggie

Sono punte di rabbia le spine delle gaggie, sotto le foglie gentili. Mi manca la ghiaia da schiacciare sotto le ruote, la polvere. La prima da ingranare, come una porta sbattuta. Salgo e ci sei. La spietata rovente lucidità di novantanni vissuti. Rovistando fra le tue rughe un sorriso almeno salta sempre fuori. E finalmente mi è chiaro che prendersi cura è sempre un doppio senso. Srotoliamo insieme la malinconia, lungo tutta la pianura. La facciamo respirare. Strappiamo due foglie secche, leghiamo i pomodori. Ripartiamo. 

lunedì 9 giugno 2014

Quasi a casa

Quasi a casa, ed è l'ora in cui i fanali iniziano a fare il loro mestiere e tutti i colori del cielo si acquietano sotto la loro coperta blu. 
Abbasso la musica. Non la spengo, che davvero il silenzio farebbe eccessivo rumore. Ho piedi densi che calzano suole sottili. 
Ora la macchina conosce la strada e io la lascio andare. Hanno detto che questo weekend sarà estate. 
Stanotte ho solo me da cullare. 

(6 giugno, 2014)

lunedì 2 giugno 2014

Se ci sei

C'è un modo di cicalare che è come abbracciarsi senza parere. Come un cuscino di piccole piume sotto un' incipiente mal di testa. 
Non so se anche i maschi hanno l'eguale. Non l'ho mai visto accadere, d'altro canto anche quello che mettiamo in campo noi quando non siamo sole è piuttosto riduttivo.
Lo impariamo da piccole - sgranando fagioli, intrecciando capelli, prendendo un po' di sole o mettendo su il te - e non smetteremmo mai, come certe serate in cui il tempo vola e i bicchieri sono freschi e frizzanti come l'aria di maggio. 
Se ci sei batti un colpo. Toc toc. Tutto qui, che non è che poi chiedi sai che ore sono o cosa fa sette per otto. Toc toc. Sistole e diastole. Tutto qui. Non ho bisogno di sapere cos'hai in quella valigia per aiutarti a portarla. 

lunedì 26 maggio 2014

Tripadvisor

Una bella hall con la sua porta girevole, un giovane portiere compito e un fattorino in divisa pronto a prenderti la valigia che scivola lieve sulla guida verde scuro. Tu un po' affannata dal viaggio e dal caldo ti ritrovi a pensare che b&b e agritur son belli assai, però anche questi grand hotel di una volta hanno il loro bel perchè. Tant'è che chiedi la sveglia alla reception -  e non è solo perchè non ti fidi più tanto del tuo smartphone, dopo l'ultimo volo che gli hai  fatto fare - e saresti tentata di chiedere pure di mandare un fax, o se sono arrivati messaggi per te, qualcosa del genere. 
Ti lasci cadere sul letto, non prima di aver constatato con pigra e voluttuosa soddisfazione che nell'armadio c'è un bell'accapatoio bianco e le ciabattine di spugna, e ti addormenti pensando bella scelta. E quando dopo quello che ti è sembrato un amen ti svegli con il pianto disperato di un bimbo che ti piove dall'alto come una doccia fredda, tutto quello che riesci a pensare è: era troppo bello per essere vero. Torni coi piedi per terra, ti consoli col wireless che è in effetti è una freccia e ti riaddormenti, un po' a spizzichi, sognando di guerre e rapimenti, chissà perchè. 
La colazione ti rimette in pace, con quel pane fragrante che piace a te e i salumi profumati, i muffin, le torte per tutti i gusti, più uno, e la cameriera felpata e sorridente. Buona giornata, buon lavoro. 
Ed il lavoro è buono ma faticoso assai, così la sera, avvolgendoti nell'accappatoio, dedichi un lungo, intenso pensiero alla famiglia del piano di sopra. Che siate partiti, miei cari, che siate partiti. Ed è con questo mantra che scivoli nel sonno. 
Eri ancora a cavallo, una gamba nel mondo dei sogni, l'altra ancora qui da noi, quando al di là della testiera del letto iniziano i fuochi d'artificio. L'intensità con cui la signora comunica al mondo il suo piacere è tale e tanta che nonostante lo sconcerto e la botta di nervoso ti scappa pure un po' da ridere. E ti dici: finirà presto. Invece no. La signora comunica al mondo il suo piacere con tale e tanta intensità per tutta la notte. Per questo, nonostante i muffin ai semi di papavero e le focaccine paffute che ti accolgono a colazione, entro le 8.00 avrai già aperto Tripadvisor e avrai messo un bell'uno al grand hotel di una volta, che pure colpa non ha, perchè credetemi, fra i polmoni del bimbo e le follie della signora, probabilmente neppure nella camera di sicurezza della Gringott Bank sarebbe stato possibile chiudere occhio. Ma tant'è. 

lunedì 19 maggio 2014

Rispolverando

“L’archeologa”.

Ho detto per anni che dopo il liceo avrei fatto l’archeologa: mi sembrava una buona mediazione tra tutto quello che gli altri si aspettavano da me.
Ma non era vero: io volevo fare la commessa come la mamma di Katia.La commessa alla Upim, part-time. Tutta la vita.
Noi studiavamo la matematica, e poi alle medie la tecnica, e poi al liceo il greco, e lei sempre i giorni dispari ad un certo punto si alzava e si andava a preparare per il lavoro. Io la seguivo in bagno per guardare come si truccava, ero affascinata dalla procedura. Katia di là mi chiamava sulle analisi logiche, per lei erano la conquista, la chiave per il cambiamento. Io di logico non ci trovavo niente su quei fogli e l’unica cosa che sognavo di cambiare nella mia vita era il colore dell’ombretto. Tutti i giorni.
La mamma di Katia si truccava, chiacchierava di cose bellissime, leggere come la cipria. Cose che non andavano valutate, sulle quali non si reggeva il mondo. Cose che non ricordo più.Al loro posto ricordo che il predicativo del soggetto non è quello dell’oggetto, anche se può sembrarlo.
Insomma la realtà si poteva scomporre su vari livelli, mentre sulla faccia della mamma di Katia si ricomponeva perfettamente nel make up e,  senza che lei lo sapesse, nella sua parola, la parola che portava in un vortice le comari, i costumi, le diete, la scopa elettrica. Poi se ne andava al lavoro e io, se potevo immaginarmi in un modo, mi ci immaginavo così. Con il camice del negozio a passare per gli scaffali. “L’archeologa”, dicevo sempre, ma gli unici pezzi che avrei voluto inventariare erano i saponi, le schiume da barba, quelle per i capelli. Avrei voluto togliermi le scarpe sotto la cassa e chiacchierare con i clienti, vedere tutti i giorni le stesse persone per quarant’anni, e a fine giornata lamentarmi del mal di schiena, delle nuove arrivate, del caldo.

“L’archeologa”.



(Mosca più balena, V.Parrella)

martedì 13 maggio 2014

Controluce

Camminava da tempo, da tanto tempo, da così tanto tempo che i piedi cotti e il sole alto nel cielo - e la polvere, e la salita, e le buche e tutto il resto - come mosche moleste, avevano iniziato ad insinuare che forse aveva sbagliato strada. Era già da qualche curva, quindi, che le capitava di ripensare al bivio, e la mente si riempiva della dolcezza della mattina, della freschezza della sue gambe e del gusto ancora fragrante della recente colazione. Così aveva iniziato a pensare che forse aveva sbagliato strada. Ora, che cambiarla era impossibile. Avrebbe anche potuto portarsi questo dubbio fino in vetta, se le caleidoscopiche circostanze di cui qualche volta la vita ci fa dono, non le avessero messo sotto il naso, improvvisamente, di nuovo, il profumo di quel bivio. Di certe stanze, di certe sedie. Di certe parole. Che gran regalo ci fa la vita, certe volte, quando ci fa affacciare alle finestre dopo che siamo usciti dalle porte. Quando mette il ricordo dritto controluce, e la nostalgia sbiadisce e la filigrana e' lì, nitida come fosse ora, e indica senza ombra di dubbio una certa, seppure impervia, direzione. 

martedì 6 maggio 2014

Matteo, il vento

Tenere strette le foglie secche non è un'opzione, e in fondo non lo è neppure rincorrere i tovagliolini. Un bel sasso, questo sì. E una fascia gialla per tenere i capelli lontani dagli occhi. Fermare le persiane, rinunciare alle tovaglie. Allontanare le spalle dalle orecchie. Allargare le dita dei piedi. E poi lasciarsi squassare. Niente e nessuno pulisce l'orizzonte come lui.

martedì 22 aprile 2014

Un buon compleanno

Occhi di principessa e guance di bimba appena sveglia, lo so che passerai di qua. Sarà domani, se non sarà oggi, ma due minuti li ruberai, e passerai, ed io vorrei che fosse come una sigaretta a metà, fuori dalla finestra del bagno. Scusa mamma. Diciamo allora come il sedano sgranocchiato alle tre del mattino, lui mi ha detto e io ho risposto, ci siamo capite, no? Perché oggi mi sembra un po' come il primo giorno in cui anche tu hai indossato il grembiule bianco e il fiocco di velluto. Come me. Solo che tu avevi un perfetto caschetto lucido di riflessi castani e io i miei ispidi pseudo codini. E anche oggi come allora mi prende una gran voglia di dire lei è mia sorella  - lasciando ovviamente  intendere e farò secco chiunque ci provi a farle del male. Però. Io te lo devo proprio dire. Suonasse oggi la campanella, al passaggio pedonale sarei io a infilare la mano nella tua. Perché non c'è niente di più solido, luminoso e vero della preghiera della sera recitata nella cameretta che hai costruito. E perché c'è un motivo se lo zucchero si attacca sempre alle tue mandorle tostate. Però se vuoi ti porto la cartella. E ti aiuto a soffiare. Buon compleanno! 

lunedì 14 aprile 2014

Passati di lì

Ferito da un enorme gatto ben pasciuto, l'uccellino sbatacchiando era caduto nella fontana. Stava lì, il felino, gonfia coda ritta e sguardo puntato, sul bordo dell'acqua. Appena fuori dalla luce del lampione. Pronto. Sempre più fermo e sempre più piccolo, l'uccellino alla deriva.
Fu il soffio del gatto, spazientito dal nostro rumoroso incedere lungo il vialetto, ad attirare la nostra attenzione. E appena l'ebbe attirata, appurato che non intendevamo retrocedere, con un balzo scocciato fu oltre il cancellino, oltre la siepe, la caccia ormai compromessa dagli stupidi umani.
Stupidi umani in ginocchio sulla fontana, l'uccellino grondante, pesante solo d'acqua e di paura. La luce gialla del lampione implacabile dentro la ferita mortale. Inutili eppure passati di lì.
 

lunedì 7 aprile 2014

Le ragioni

Le ragioni delle scelte sono molteplici e opache. Intricate, come i miei capelli, certe mattine. Cangianti e sfuggenti, bugiarde. Chiare come un bicchier d'acqua, certe mattine, forti come il mio caffè.
Questa mattina, la ragione di questa scelta, è il profilo delle montagne, aprendo le imposte.

martedì 1 aprile 2014

Ora Legale

Ed io ogni volta penso che allora forse quell'altra, la solare, magari aveva un conto in sospeso con la legge. E solo per questa volta mi sento solidale. Perchè io ho un debole per l'ora solare, che chiamandosi così poi non poteva che farmi simpatia. Ma soprattutto io lo odio questo salto avanti che mi ruba un'ora da sotto al cuscino. Vado controcorrente, lo so, tutti a dire che bello che quando esco dal lavoro c'è luce e che lunghe le giornate.
Io invece la mattina mi trascino sbadigliando con quel senso di irrealtà di quando ti sei svegliato nel cuore della notte, magari per prendere l'aereo delle vacanze, solo che qui non ci sono valige e biglietti e di vacanze non se parla proprio. Quindi, invece della caramella di adrenalina che sveglia le membra col pensiero della partenza, tutto quello che ho da mandar giù è il mio fedele caffè. Se non l'ho rovesciato, che mi sento le membra così assonnate che son più le mattine che combino un guaio che quelle che fila tutto liscio. Ma la mattina pazienza, un'oretta e passa. Il problema è che per tutto il giorno quando guardo l'ora mi passa dentro un'onda d'ansia. Come è tardi. Già mezzogiorno. Epperò sono già le tre.  Aiuto son le cinque. Niente, in che men che non si dica è ora di cena e le finestre son piene di luce beffarda.
Poi mi abituo, e son ben felice  anch'io di cenare in terrazza col sole ancora sveglio e di godere un po' di fresco alla mattina. Ma questi primi giorni mi chiedo di continuo chi l'avrà poi mai deciso che tutto questo è legale.

lunedì 24 marzo 2014

Le famiglie che non sono la mia

Hanno grandi case e giardini disordinati, antichi e sontuosi. Ricevono spesso, con noncuranza; con quella consuetudine senza confidenza, perfettamente ribadita da quei loro abiti informali esattamente codificati. Una tabella che da sempre mi affascina e mi sfugge.
 
C’è sempre un pianoforte, ne sento il sottofondo anche se ha il coperchio chiuso e nessuno ricorda l’ultima volta che è stato accordato. C’è sempre un uomo, o una donna - più raramente una coppia -  che le governa. Non puoi sbagliare, senti il rumore che fa il grande anello delle chiavi appeso alla cintura. Li vedi che passano a salutare, augurano la buona notte, offrono quell’esatta misura di attenzione cui, di nuovo, il complesso codice mi sfugge.
 
Sono famiglie grandi e hanno strane forme, tenute insieme da fili di molti colori, fili spezzati e riannodati, fili di fumo e fili di spago, fili di lama e di zucchero filato. Viaggiano molto, iniziano da piccoli, imparano a tessere. Vanno e vengono, in compagnia, tornano sotto i portici pieni d’aria, sulle terrazze.  C’è sempre una cena da mettere insieme, qualcuno da fuori, provviste, cantine, e una camera preparata, dove lasciare la valigia e l’intimità.
 
Le attraverso, queste famiglie che non sono la mia, come coccinella fra le farfalle, curiosamente, lentamente. Intimidita dalle loro grandi ali, ripiego strette le mie piccole, sotto i miei pois familiari.

martedì 18 marzo 2014

Dedicato alle mamme, e un po' anche ai papà

'Al corso di scienze la signorina Williams ci fece firmare un contratto che ci vincolava a fare del nostro meglio. Quello che nelle intenzioni della signorina Williams avrebbe dovuto essere un sistema geniale per motivarci, per me fu come una condanna a morte. Esaminai attentamente il contratto, rimpiangendo di non essere già un avvocato per riuscire a trovare qualche scappatoia. Tutte le mattine, col contratto nello zaino, salivo sul pulmino della scuola come se andassi ai lavori forzati. Poco dopo, il pulmino passava davanti a una casa di riposo. Io premevo la faccia contro il vetro e invidiavo quei vecchi seduti nelle loro sedie a dondolo, liberi di guardare la tv e leggere tutto il giorno.
Quando lo riferii a mia madre, lei rispose a voce molto bassa: 'Sali in macchina'.
Mentre giravamo per Manhasset con la T-Bird, mia madre mi disse che dovevo smettere di angosciarmi. 'Fa solo del tuo meglio tesoro'.
'E' esattamente quello che dice il contratto della signorina Williams' piagnucolai. 'Come faccio a sapere qual è il mio meglio?'
'Il tuo meglio è quel che riesci a fare tranquillamente senza farti venire un esaurimento nervoso.'
 
(J.R. Moehringer, Il bar delle grandi speranze)

lunedì 10 marzo 2014

Certi occhi

Passano in un lampo, certi occhi blu, dalla trasparenza delle acque cristalline dell'estate alla profondità di certi mari pescosi. Si increspano di grigio e di verde, di viola. Se potessi ti infileresti maschera e bombola e faresti un tuffo giù, a dare un'occhiata, tanto è evidente che stan celando tesori.
E invece resti lì, sulla battigia, a far tesoro delle onde che ti lambiscono i piedi. Ma in certi giorni, giorni d'aria tersa e di schiuma - per esempio-  può capitare che da certi occhi spunti fuori una poesia, proprio come da certi mari ondosi la bottiglia col suo messaggio.



domenica 2 marzo 2014

Perfetti

Per il miei ....ehm anni i miei genitori mi hanno regalato un paio di orecchini che per certe occasioni sono semplicemente perfetti. Danno luce ed eleganza, sono sempre intonati, come certi sorrisi: evidentemente preziosi eppure così classici e discreti da non essere mai fuori luogo. Si adattano ad ogni abito e ad ogni acconciatura, senza imporsi mai, senza mai passare davvero inosservati. Li indosso così spesso che ieri, infilandoli ai lobi, mi chiedevo 'ma cosa mettevo quando non li avevo?' e la risposta è scoccata, affilata e tesa: 'quando non li avevi, non avevi neppure ...ehm anni. '
Mi è arrivata alle spalle, la risposta, ed è rimbalzata sullo specchio come il flash rivelatore di una invisibile macchina fotografica, una di quelle fatte apposta per ricordarti che per restare te stessa devi cambiare. Perchè perfino da Rogoredo a Lambrate, la verità è che non sei su un treno: sei su un tapis roulant. 



lunedì 24 febbraio 2014

E le stelle lucevan

Un giorno esplode, il sapore delle parole, in una musica che sale, e poi ancora, fino ad incrinarti, fino a lasciarti gocce di cristallo. Lampadario centenario appeso a un soffitto immenso. In bilico, raccolta dall'applauso che ad un certo punto è l'unico posto dove puoi mettere le mani.  E le stelle lucevan, nel buio e fra i velluti, da mille anni e per mille anni ancora. Mistero.

lunedì 17 febbraio 2014

Molto piccoli

L'ho imparata guardando loro, dal piatto coi topolini al tagliere dei biscotti, la bontà delle briciole. Schiacciate appena sul dito indice, scivolano attente fra le labbra. Come certi baci molto piccoli, molto preziosi.

 

lunedì 10 febbraio 2014

Glom

Lunedì, piove, treno pieno. Strizzata in piedi nel corridoio fra i sedili, la mia attenzione si divide equamente fra sbadigli soffocati e torpide recriminazioni per essermi alzata dal mio posto in anticipo. Dopo tutti questi anni ancora non ho imparato che con dieci minuti di ritardo questo treno si ferma alle porte della stazione per far passare il frecciarossa? Potevo finire di leggere il giornale e invece son qui in piedi, con la borsa che pesa e il giornale arrotolato in mano.

Il finestrino rigato di pioggia e smog mi restituisce una sconfortante immagine della sagoma dei miei capelli che lievitano. Anche quelli accanto al finestrino però non scherzano. Sposto oziosamente lo sguardo per vedere a chi appartiene la chioma meteropatica come la mia e mi accorgo che il suo proprietario sta cercando di attirare la mia attenzione. Posso vedere il giornale? Muove solo le labbra e fa un gesto con la mano, il chiacchiericcio degli studenti riempie tutto lo spazio audio disponibile. Glielo allungo meccanicamente cogliendo un paio di occhiali sottili, una spolverata di barba bionda e una gran sciarpa grigia. Poi suona il telefono e io mi contorco per raggiungerlo nella tasca. Sto entrando in stazione, fra poco arrivo. I dettagli della giornata che mi aspetta iniziano a tessere la loro trama, ma prima di esserne completamente catturata faccio in tempo a notare che il lettore del mio giornale ha estratto una penna e sta scarabocchiando. Sta scarabocchiando il mio giornale. Quello che non avevo finito di leggere. No prego fai pure, penso stizzita mentre il treno finalmente si rimette in moto ed entra in stazione. La fila davanti a me inizia a sgranarsi e sono già sulla porta della carrozza quando mi sento chiamare. Il suo giornale. Lo afferro senza guardare, sospinta in avanti dalla fila che avanza e dalla giornata che comincia.
 
Un quarto d’ora di buon passo sotto una pioggerella fine e riesco ad arrivare che la riunione non è ancora iniziata. Appoggio la borsa e il giornale e dico buongiorno al direttore che è già arrivato. Posso dare un’occhiata? Chiede lui gentilmente. Certo. Ma non l’ha comprato nessuno, oggi, il giornale? penso intanto che faccio un salto in bagno a legarmi i capelli, che nel frattempo hanno raggiunto un volume ragguardevole.
 
Quando rientro la sala riunioni si è riempita. Il direttore ha uno sguardo stranamente divertito mentre mi chiede ‘ha fatto buon viaggio?’ e mi restituisce il giornale, piegato a pagina tre. Sto per partire in quarta coi ritardi e le ferrovie quando mi accorgo che in cima alla pagina c’è scritto ‘hai degli occhi bellissimi’.  E in un lampo capisco cosa vuol dire, esattamente, quando nei fumetti c’era scritto ‘glom’.

domenica 2 febbraio 2014

Smilla

Un rifugio - uno di quelli che c'è una ragione se si chiamano così. Le slitte nel sottoscala e la stufa, i piedi umidi di neve assaporata. Lo zaino in terra, la pila dei guanti al davanzale della finestra, lambita dolcemente dal crepuscolo blu. Le mani intorno alle tazze calde e lo sfogliare di una macchina fotografica, paniere colmo di momenti catturati. La labbra arse di freddo e di risate, le gambe grate, della salita e del riposo. 
Fuori solo neve e un pezzetto di luna. Nessuna traccia, nessun rumore. E mentre lo zucchero a velo cade lento sul kaisserschmarren ti rendi conto che forse finalmente ce l'hai fatta, questa volta l'hai seminata, la paura della felicità.

domenica 26 gennaio 2014

Regali

Essere zii è la cosa più strana del mondo. Una cosa che ad un certo punto diventi in modo del tutto indipendente dalla tua volontà e dal tuo controllo. Non hai fatto nulla, ma proprio nulla. Non hai sudato, non hai studiato. Non hai chiesto, non hai bussato. Non hai cercato, non hai covato. Non hai seminato e neppure soffiato. Non hai fatto nulla eppure ad un certo punto lo diventi e, per esempio, hai la possibilità di raccontare fiabe e cantare le più sciocche canzoni e riempire la porta del frigo di disegni. Di insegnare parole. Di colorare mezz'ore. Di spegnere pochissime candeline. Se vuoi. Perchè la cosa più strana è che non ci sono regole, nè scritte nè parlate e neppure solo pensate: puoi giocare a questo gioco come vuoi. Puoi giocare. Se vuoi. Se non è un regalo questo....

domenica 19 gennaio 2014

Aggiornando sistemi. Aggiornando, sistemi

Tra un backup e un sincronizza, mi accorgo che certi cambiamenti son veri e propri traslochi e mi ritrovo col naso negli scatoloni ad aprire vecchie lettere e sospiri di sollievo, rispolvero le piccole magie dei miei tutti i giorni, batto un cinque a jack in the box che ripete ubbidiente le sue sorprese e misuro quanto bruciano ancora febbri e ferite. E fra un lo butto e un non lo butto, elimina e svuota cestino, scopro che unisci cartelle, qualche volta, assomiglia tanto ad unisci i puntini.

domenica 12 gennaio 2014

Sotto l'ala, bianca, delle Odle

Sotto l'ala bianca delle Odle, le parole restano, silenziose. Scintillano, come il sole sulla neve, riflettendo solo un grazie puro. Affondano, come gli scarponi, si lasciano sopraffare - e non è, come potrebbe sembrare, una semplice questione di fiato grosso e di salite.