Davvero ci sarà un giorno in cui nessuno scriverà più con la penna e la matita, tracciando segni, con la propria mano, sulla carta? Perfino io, che istintivamente risponderei ma và a questa domanda, mi accorgo che sempre più spesso la lista della spesa la scrivo sul telefono, che quando dico aspetta che me lo segno la mia mano nella borsa non sta cercando la penna, che vado alle riunioni senza il blocco degli appunti e che se dico mi metto un memo non intendo quasi mai un post it. Eccetera. E se capita a me, irrimediabilmente innamorata del gesto dello scrivere, che snocciolando le parole dalle dita alla carta ritrovo la quiete come certuni coi grani del rosario... A me, dico, che ho passato tutti gli esami della mia vita grazie alla manuale trascrizione e ritrascrizione dei concetti, che di rileggere e di ripetere non ne ho mai voluto sapere e sono andata per anni sostenendo di avere la memoria grafica... Se capita a me, insomma, credemi se dico che il segno non è da sottovalutare. E se ci penso, se penso davvero che questo giorno verrà, mi viene un gran desiderio di vivere fino ad allora, per allestire un gran tavolo di legno forte e soave, riempirlo di penne di ogni tipo, matite e temperini, di carta di ogni grammatura e di ogni sfumatura di bianco e di crema. Anche un sottomano di pelle, ecco, che sognare per sognare, l'avarizia può crepare. Lo metterei in un salone con grandi finestre, questo tavolo, o sotto il portico, d'estate. Per la sera una lampada rotonda, che illumini solo il foglio e intorno buio. Inviterei i bambini a provare, e sarebbero tutti timidi, all'inizio. Alcuni però continuerebbero a tornare.