venerdì 24 maggio 2013

La tristezza bella

Uscivamo dalla finestra della camera, dopo essere rientrate dalla serata intorno ai tavolini del bar del paese, con i ragazzi del posto e la compagnia dell’estate, quella che si radunava quando i villeggianti riaprivano le case, portando i figli e gli amici dei figli dalle città vicine. Mi piaceva immensamente, quella settimana  sugli appenini, ospite dei genitori della mia migliore amica. Il bagno al fiume, la passeggiata a cavallo, i motorini, uscire dopocena e rientrare a piedi con la pila, chiacchierando fitto nonostante la salita. Nella cucina con le finestre sul bosco ci facevamo la camomilla - attente a non fare rumore-  e staccavamo due grossi pezzi di cioccolato dalla tavoletta. Poi scavalcavamo la finestra della camera - usare la porta ci pareva prosaico -  e attraversavamo il prato.

Ci sedevamo in faccia alla luna e, con la tazza fra le ginocchia e il cioccolato sotto il palato, davamo la stura alla tristezza bella. La chiamavamo così, quella specie di nostalgia preventiva che riversavamo come un romantico rigurgito sui ragazzi che ci piacevano. Naturalmente ci piacevano immensamente di più quando erano lontani e potevamo sfocare la loro immagine a nostro piacimento.  Perché la tristezza bella era la nostalgia di qualcosa che ancora non avevamo provato. La dolce sfrontata certezza che lo avremmo provato. La paura segreta di non provarlo mai.

Dopo un congruo numero di lui mi ha detto e io ho risposto e di cosa dici domani gli telefono – perché si andava al bar a telefonare coi gettoni e poteva anche capitare che non rispondesse nessuno o, peggio, sua madre –  arrivavamo al punto. Il punto era che venti giorni fa ci sembrava di morire per uno che ora a ripensarci ci faceva venire i brividi. Come si fa a sapere se è quello giusto. Mia nonna dice che devi immaginartelo sul water: se ci riesci e non ti fa ridere è lui. Silenzio. Risata. Non è lui.
 
Finivamo la camomilla ormai tiepida e gli scampoli di risata,  scuotevamo l’erba dai pigiami e tornavamo a scavalcare la finestra. Nei lettini gemelli, con la luce spenta e le palpebre pesanti,  chiedevo in un sussurro: ... Ba? ma per te esiste l’amore eterno?
Per me sì - rispondeva la mia migliore amica - scusa, pensa ai tuoi nonni.

 

lunedì 13 maggio 2013

Ricevere


Avete un bel dire voi, che dobbiamo star tranquille, che non importa. E' una causa persa, rassegnatevi.
Quando gli ultimi trenta minuti iniziano a rintoccarci fra un'orecchia e l'altra, ecco che le spie cominciano a lampeggiare. Se osservi bene la nostra fronte puoi vederle in trasparenza.
Gialla: infornare lo sformato; blu: attenzione non hai messo le salviette in bagno; rossa: bip bip bip gatto superstite a ore quattro, gatto superstite a ore quattro biiip biiip; gialla: disporre gli aperitivi; blu: attenzione non hai messo le salviette in bagno; gialla: il lavandino é ancora pieno di pentole; rossa: biiip biiiiiip  ciabatte nell'ingresso biiiiip biiiip; gialla: mescolare la zuppa;  blu: attenzione non hai messo le salviette in bagno; rossa: la zuppa é troppo asciutta, assaggiare la zuppa, biiiiiip zuppa salata. E sopra tutto c'è quella scritta che scorre, di un verde tenue, ingannevolmente innocua: p o t r e b b e r o a r r i v a r e i n a n t i c i p o

Capisci? Non possiamo farci niente: a quelle come noi, in età prenatale, un essere diabolico ha impiantato sull'osso frontale il pannello di controllo. Non serve a nulla che ci diciate stai calma. Come quello sprovveduto di cameriere che disse alla padrona di casa: signora non si agiti, e lei rispose: certo che mi agito, mi agito moltissimo, e infatti poi riesce tutto bene. Che, nella fattispecie, era pure vero: in altri casi (ehm) magari basta a malapena per evitar disastri, ma questo é un altro discorso.
Il punto é che se tentate di far conversazione negli ultimi cruciali trenta minuti vi beccate uno sssth che vi spettina (e poi luce rossa: biip biiip marito impresentabile); uno sssth come quello che ci becchiamo noi quando apriamo la bocca il minuto prima della partenza del gran premio, per intenderci, quando le macchinine sono sulla griglia di partenza e fanno fare la voce grossa ai motori.

Quello che vorrei che capiste, però, è che proprio come per voi é un piacere la tensione di quella partenza, altrettanto é per noi il piacere di quei fatidici meno trenta, in cui rincorriamo a perdifiato l'idea che potremmo anche riuscirci, ad accogliere i nostri ospiti in uno sfavillare di semplice, allegra, domestica magia.

Come dici? Tante belle parole però poi quando sta per partire il gran premio a stare zitta non ce la faccio mai?

Ehm. Vabè facciamo così: ognuno si becca il proprio sssth e amen.

lunedì 6 maggio 2013

Caccia

Sapevo che c’era. Schiacciata sul fondo, mimetizzata nella sabbia. Ho nuotato piano piano tutt’intorno cercando di distinguere gli occhi, come mi hai insegnato tu. Le gambe lente e il sole sulla schiena, finchè l’ho vista guizzare – sapevo che c’era. Ha alzato uno spruzzo di sabbia leggero come un velo di malinconia e si è riconficcata sotto. Sono rimasta immobile, senza opporre resistenza alla corrente, senza perdere di vista i suoi occhi. Un bastoncino, una foglia. Il tempo. Ho aspettato che la sabbia tornasse a posarsi, poi ho spinto l’aria in fondo ai polmoni e mi sono immersa fino a sentire i granelli sulla pancia. Ho mosso appena l’acqua intorno, con le mani aperte, e subito si è sollevata svolazzante, ha preso il largo, la tua allegria. Allora ho preso fiato e le sono andata dietro.