Mi sono fermata davanti al cancello chiuso. Ho spento il motore, aperto i finestrini. Non avevo le chiavi. Volevo sapere cosa si prova ad arrivare qui e non poter entrare.
Ho percorso con gli occhi il viale, sotto l'ombra mossa delle piante. Nel silenzio pieno di suoni di una carraia in collina.
Sono arrivati, ed erano tantissimi.
I ricordi.
C'erano quelli consueti, comodi come i jeans del cuore, quelli che mi chiacchierano continuamente in testa, che popolano il mio cuscino e le mie fioriere sul terrazzo, quelli che annodo coi lacci delle scarpe ogni mattina. C'erano quelli più timidi, che appaiono ogni tanto e sono come stupiti, affascinati, pronti a dileguarsi. Come caprioli sorpresi dall'aprirsi delle persiane.
E c'erano anche quelli che non sapevo di avere. Come bulbi sotterrati tanto tanto tempo fa che ad un certo punto fioriscono, e lo fanno proprio certe mattine.
Si sono affollati, mescolati e vocianti. Un abbraccio.
Appoggiato al cancello, che mi guardava sornione, c'era anche lui. Quello di una poesia scritta da ragazzina, sul quaderno nocciola di Sarah Key. La avevo anche battuta a macchina, in un pomeriggio afoso, nascosta nel fresco silenzioso della taverna. Alcune lettere erano venute un po' sopra la riga e alcune altre le avevo corrette col bianchetto.
Ogni verso iniziava con C'era una volta e la poesia terminava cosi:
...perché le cose che C'erano una volta ci saranno per sempre.
Ecco, ora lo posso dire, a quella ragazzina con le gambe secche e i capelli esplosi, che davvero, davvero, è proprio così.
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