Diciamolo, la maggior parte delle volte "ma cosa ho sbagliato?" è una domanda retorica.
Un'esclamazione di disappunto rivolta ai santi numi e all'avverso destino. Cinque minuti di sacrosanto mugugno con la loro sacrosanta funzione purgante e lenitiva e nulla più.
Qualche volta, invece, la domanda ce la facciamo davvero. Qualche volta siamo capaci di chiudere fuori l'autostima ferita col suo fastidioso latrare e ci lasciamo incuriosire.
Allora, attenti, ripercorriamo i nostri passi. Contiamo un'altra volta le viti e i bulloni. Cerchiamo la trappola, scrutiamo il terreno. Lucidi, curiosi. Una battuta di caccia, un enigma. Smontiamo e rimontiamo. Riavvolgiamo il nastro e riascoltiamo i pensieri. Di cosa avrei dovuto accorgermi?
E quando lo scoviamo, l'errore, eccola, quella sensazione bella di trionfo sudato.
E lui è lì che ci guarda, nidito, a fuoco. Orecchie dritte. Ci facciamo l'occhiolino. Quasi ci piace. Sì, ci piace perché abbiamo imparato.
Nessun commento:
Posta un commento