Leonardo si riscosse. La creta sarebbe rimasta morbida e lavorabile per mezz'ora ancora, al massimo. Bisognava fare presto. Ecco, qui. Tocca qui, e poi là. Vedi, torna. Si vede, e si sente.
Dov'è il confine fra me e te, cavallo? Qui, dove la mia mano ti tocca? Ma questo è il confine del tatto. Se premo, cambia. E come faccio a distinguere te, cavallo, da un mucchio di creta nuovo col tatto e basta?
Se mi allontano non ti tocco ma sento il tuo odore. Odore di buoni, di creta e d'acqua, di terra e fresco. E se qualcuno ti tocca, ti dà un colpo sento il rumore. Fin quando mi allontano e non lo sento più. Forse è lì il confine fra me e te, cavallo? Ma se apro gli occhi ecco che ti vedo. E se mi allontano continuo a vederti, e mi rimani negli occhi finchè non scompari all'orizzonte. Allora è all'orizzonte, il confine fra me e te, cavallo?
Leonardo si guardò intorno, e gettò un occhio alla candela di cera che ardeva in un angolo, consumata di due pollici buoni da quando aveva iniziato (...). Cinque giorni ancora, per consegnare quell'opera. Mancava la coda, c'era tempo. E c'era creata, che sarebbe diventata coda, plasmata dalle mani mie, di Leonardo figlio di ser Piero, che da Vinci sono venuto a Milano, e a Milano chissà quanto resterò. Magari resteremo qui insieme tutta la vita, bel cavallo mio. Ti vedrò tutti i giorni.
E se non ti vedrò, perchè andrò via, pazienza. Sei così ben fatto che magari potrei incontrare un viandante che mi parla di te. Che ti descrive, che mi dice della tue curve, e magari mi mostra un tuo disegno. Non è come vederti, ma va oltre. Posso fingerti nella mente, come sei, o più bello ancora. E così saresti il mio cavallo davvero.
Allora forse per davvero non c'è un confine fra me e te, cavallo.
(Marco Malvaldi, La misura dell'uomo)